Ripercorrendo la contrastata ricezione italiana di Goethe, lo studio si sofferma sulla sorte riservata al Goethe “epico”, il romanziere che nonostante il successo europeo del 'Werther' appare relegato per tutto l’Ottocento su un piano decisamente inferiore rispetto al poeta lirico e drammatico. Tra le ragioni di questa subalternità, oltre alla posizione di scarso prestigio che il romanzo come genere letterario ricopre ancora nell’Italia dell’epoca, interviene la singolare “situazione narrativa” che Goethe costruisce nei suoi romanzi: anziché presentarsi nei panni di una voce guida, come le convenzioni dell’epoca avrebbero prescritto, il suo narratore sembra infatti rinunciare a ogni giudizio morale e accontentarsi – questa l’accusa mossagli da Madame de Staël – di una eccessiva imparzialità. L’affidarsi al giudizio autonomo del lettore si inserisce pienamente nel quadro delle trasformazioni che, a cavallo tra Sette e Ottocento, rendono la lettura di romanzi un’esperienza sempre più silenziosa e individuale, eppure la sperimentazione goethiana è percepita da molti come disturbante, e i traduttori si ingegnano a porvi rimedio con espliciti interventi e manipolazioni testuali. I fraintendimenti che caratterizzano le prime traduzioni italiane del Werther, del Wilhelm Meister e delle Affinità elettive possono essere in gran parte ricondotti alla difficoltà di interpretare il ruolo della voce narrante, e al desiderio di far prevalere quello che, all’inizio del Novecento, Käte Friedemann definirà il “narratore ingenuo” sul “narratore sentimentale”.
«Mirate e giudicate». Il problema del narratore nelle traduzioni ottocentesche dei romanzi goethiani / Biagi, Daria. - (2021), pp. 127-144.
«Mirate e giudicate». Il problema del narratore nelle traduzioni ottocentesche dei romanzi goethiani
Daria Biagi
2021
Abstract
Ripercorrendo la contrastata ricezione italiana di Goethe, lo studio si sofferma sulla sorte riservata al Goethe “epico”, il romanziere che nonostante il successo europeo del 'Werther' appare relegato per tutto l’Ottocento su un piano decisamente inferiore rispetto al poeta lirico e drammatico. Tra le ragioni di questa subalternità, oltre alla posizione di scarso prestigio che il romanzo come genere letterario ricopre ancora nell’Italia dell’epoca, interviene la singolare “situazione narrativa” che Goethe costruisce nei suoi romanzi: anziché presentarsi nei panni di una voce guida, come le convenzioni dell’epoca avrebbero prescritto, il suo narratore sembra infatti rinunciare a ogni giudizio morale e accontentarsi – questa l’accusa mossagli da Madame de Staël – di una eccessiva imparzialità. L’affidarsi al giudizio autonomo del lettore si inserisce pienamente nel quadro delle trasformazioni che, a cavallo tra Sette e Ottocento, rendono la lettura di romanzi un’esperienza sempre più silenziosa e individuale, eppure la sperimentazione goethiana è percepita da molti come disturbante, e i traduttori si ingegnano a porvi rimedio con espliciti interventi e manipolazioni testuali. I fraintendimenti che caratterizzano le prime traduzioni italiane del Werther, del Wilhelm Meister e delle Affinità elettive possono essere in gran parte ricondotti alla difficoltà di interpretare il ruolo della voce narrante, e al desiderio di far prevalere quello che, all’inizio del Novecento, Käte Friedemann definirà il “narratore ingenuo” sul “narratore sentimentale”.File | Dimensione | Formato | |
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