Utilizzando una metafora calcistica, Ciro Cicconcelli potrebbe essere classificabile come centrocampista eclettico. Potremmo descriverlo nel suo intento di aiutare la difesa, con il suo modo di essere concreto rendendosi paladino delle esigenze della fruibilità e quindi di una architettura concreta. Quindi nulla di inadeguatamente estetizzante che allontani dal rendere sicuro il risultato positivo finale. L’avversario attacca e nella difesa non c’è spazio per i sogni. Si batte quindi per una architettura reale ed eticamente soppesata e sistematicamente contraria a quella da lui sempre esecrata autoreferenzialità del manufatto inteso come autocompiacimento estetico – narcisistico o peggio per soddisfare tornaconti speculativi e pubblicitari. Quindi un’architettura al servizio della squadra. Difendere la concretezza e tenere a bada quell’egoismo fatto di ambizione che egli rintuzzava spesso quando vedeva che un allievo, un collega più giovane, scalpitava per accelerare il proprio iter egoistico a scapito della ragione collettiva e sociale dell’architettura. Era fortemente attento a salvaguardare i comportamenti in nome dell’amore primario della materia. Un centrocampista che non bada a barocchismi da occhio di bue. Un giocatore che osserva le distanze giuste da mantenere. Entrare decisi se necessario. Gli avversari erano gli speculatori, gli arrivisti, i carrieristi, coloro che usavano la materia per scopi personalistici. Era la difesa del territorio nel suo intelligente modo di raddoppiare la marcatura aggiungendosi umilmente per rafforzare la causa.
Ciro Cicconcelli. La concretezza nell’utopia / Schiavo, Antonio; Celli Stein, Marco. - (2021).
Ciro Cicconcelli. La concretezza nell’utopia
Antonio Schiavo
;
2021
Abstract
Utilizzando una metafora calcistica, Ciro Cicconcelli potrebbe essere classificabile come centrocampista eclettico. Potremmo descriverlo nel suo intento di aiutare la difesa, con il suo modo di essere concreto rendendosi paladino delle esigenze della fruibilità e quindi di una architettura concreta. Quindi nulla di inadeguatamente estetizzante che allontani dal rendere sicuro il risultato positivo finale. L’avversario attacca e nella difesa non c’è spazio per i sogni. Si batte quindi per una architettura reale ed eticamente soppesata e sistematicamente contraria a quella da lui sempre esecrata autoreferenzialità del manufatto inteso come autocompiacimento estetico – narcisistico o peggio per soddisfare tornaconti speculativi e pubblicitari. Quindi un’architettura al servizio della squadra. Difendere la concretezza e tenere a bada quell’egoismo fatto di ambizione che egli rintuzzava spesso quando vedeva che un allievo, un collega più giovane, scalpitava per accelerare il proprio iter egoistico a scapito della ragione collettiva e sociale dell’architettura. Era fortemente attento a salvaguardare i comportamenti in nome dell’amore primario della materia. Un centrocampista che non bada a barocchismi da occhio di bue. Un giocatore che osserva le distanze giuste da mantenere. Entrare decisi se necessario. Gli avversari erano gli speculatori, gli arrivisti, i carrieristi, coloro che usavano la materia per scopi personalistici. Era la difesa del territorio nel suo intelligente modo di raddoppiare la marcatura aggiungendosi umilmente per rafforzare la causa.File | Dimensione | Formato | |
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