The biennium 1934-1935 has a structural importance on Pavese’s human and artistic evolution. Here he faces the exile’s theme first through the translation of Joyce’sAPortrait of the Artist as a Young Man(1916), and later with his confinement’s experience. In this article, I’d like to demonstrate the structural nature of the exile’s rethematization in Pavese’s transition to prose, and in his concept of the myth as a revelatory gaze on reality. I will show this through a thematic comparation between thePortraitand the pavesianIl carcereandLa luna e i falò(1950).In his first novel,Il carcere(published only in 1948), Pavese, by narrating his confinement experience, translates thePortrait’s form through an unusual narration in third person of a story that has his own alter ego as a protagonist. This same “exiliated” gaze is constitutive of his vision of myth like Joyce’s epiphany, as it is shown in the comparation betweenLa luna e i falòand thePortrait. The point in common is the impossibility of the return on his own self: Joyce celebrates it as a symbol of the artist’s alterity, while Pavese sees it as a mark of an existential defeat

Il biennio 1934-1935 ha un’importanza strutturale nell’evoluzione umana e artistica di Cesare Pavese: in questi anni egli affronta il tema dell’esilio prima attraverso la traduzione di A Portrait of the Artist as a Young Man (1916) di James Joyce, e poi col confino a Brancaleone Calabro. In questo articolo, attraverso una comparazione tematologica tra il romanzo joyciano e Il carcere e La luna e i falò (1950) di Pavese, si vuole dimostrare come la ritematizzazione dell’esilio sia stato un elemento strutturante del passaggio pavesiano alla prosa, irradiandosi fino alla sua concezione del mito quale sguardo rivelatorio sulla realtà. Il primo romanzo pavesiano, Il carcere (pubblicato solo nel 1948), nel narrare l’esperienza del confino traduce la forma del Portrait, attraverso l’utilizzo di un’inusuale narrazione in terza persona di una storia avente il proprio alter ego per protagonista. Come dimostrato dalla comparazione tra La luna e i falò e il Portrait, questo stesso sguardo “esiliato” è costitutivo della visione del mito pavesiana e dell’epifania joyciana. Il punto d’incontro è l’impossibilità del ritorno su se stessi: un’impossibilità da una parte cercata quale simbolo dell’alterità artistica (Joyce), dall’altra segno di una grande sconfitta esistenziale (Pavese)

Elementi joyciani in Cesare Pavese. Ritematizzazione dell'esilio attraverso la traduzione / Bonasia, Mattia. - In: NOVECENTO TRANSNAZIONALE. - ISSN 2532-1994. - 5:2(2021), pp. 229-241. [10.13133/2532-1994/17344]

Elementi joyciani in Cesare Pavese. Ritematizzazione dell'esilio attraverso la traduzione

Mattia Bonasia
Primo
2021

Abstract

The biennium 1934-1935 has a structural importance on Pavese’s human and artistic evolution. Here he faces the exile’s theme first through the translation of Joyce’sAPortrait of the Artist as a Young Man(1916), and later with his confinement’s experience. In this article, I’d like to demonstrate the structural nature of the exile’s rethematization in Pavese’s transition to prose, and in his concept of the myth as a revelatory gaze on reality. I will show this through a thematic comparation between thePortraitand the pavesianIl carcereandLa luna e i falò(1950).In his first novel,Il carcere(published only in 1948), Pavese, by narrating his confinement experience, translates thePortrait’s form through an unusual narration in third person of a story that has his own alter ego as a protagonist. This same “exiliated” gaze is constitutive of his vision of myth like Joyce’s epiphany, as it is shown in the comparation betweenLa luna e i falòand thePortrait. The point in common is the impossibility of the return on his own self: Joyce celebrates it as a symbol of the artist’s alterity, while Pavese sees it as a mark of an existential defeat
2021
Il biennio 1934-1935 ha un’importanza strutturale nell’evoluzione umana e artistica di Cesare Pavese: in questi anni egli affronta il tema dell’esilio prima attraverso la traduzione di A Portrait of the Artist as a Young Man (1916) di James Joyce, e poi col confino a Brancaleone Calabro. In questo articolo, attraverso una comparazione tematologica tra il romanzo joyciano e Il carcere e La luna e i falò (1950) di Pavese, si vuole dimostrare come la ritematizzazione dell’esilio sia stato un elemento strutturante del passaggio pavesiano alla prosa, irradiandosi fino alla sua concezione del mito quale sguardo rivelatorio sulla realtà. Il primo romanzo pavesiano, Il carcere (pubblicato solo nel 1948), nel narrare l’esperienza del confino traduce la forma del Portrait, attraverso l’utilizzo di un’inusuale narrazione in terza persona di una storia avente il proprio alter ego per protagonista. Come dimostrato dalla comparazione tra La luna e i falò e il Portrait, questo stesso sguardo “esiliato” è costitutivo della visione del mito pavesiana e dell’epifania joyciana. Il punto d’incontro è l’impossibilità del ritorno su se stessi: un’impossibilità da una parte cercata quale simbolo dell’alterità artistica (Joyce), dall’altra segno di una grande sconfitta esistenziale (Pavese)
Cesare Pavese; James Joyce; Il carcere; La luna e i falò; A Portrait of the Artist as a Young Man; esilio; tematologia; translation studies
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Elementi joyciani in Cesare Pavese. Ritematizzazione dell'esilio attraverso la traduzione / Bonasia, Mattia. - In: NOVECENTO TRANSNAZIONALE. - ISSN 2532-1994. - 5:2(2021), pp. 229-241. [10.13133/2532-1994/17344]
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1586209
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