Il secolo scorso vede, contrariamente a quanto affermato da Todorov e da altri studiosi, l'inequivocabile sopravvivenza in letteratura del fantastico, non solo nella forma di una sua rarefatta riutilizzazione modale, concretata in un sistematico recupero di dispositivi formali e materiale semantico da parte di ampie fasce della produzione letteraria e artistica in genere, come suggerito da Rosemary Jackson e Remo Ceserani, ma di quello che può essere considerato a tutti gli effetti un genere letterario ben specifico, la cui continuità con i grandi modelli ottocenteschi va ricercata nel suo accanito dare rappresentazione allo scarto irriducibile prodotto dall'improvviso collidere di dimensioni narrative inconciliabili e antagoniste, dal sovversivo prorompere di particelle di significato in piani di realtà che non possono in alcun modo contemplarle, se non rinunciando all'integrità dei loro paradigmi costitutivi. Una vera e propria invasione, concetto innalzato qui a criterio distintivo dell'intero genere in ragione, oltre che della sua capacità di dialogare con le più avvertite acquisizioni del recente panorama teorico, del suo rappresentare la costante strutturale su cui poggia la delicata costruzione testuale del perturbante. Tuttavia, se a cavallo tra l'età premoderna e quella moderna, in relazione all'affermarsi del razionalismo illuminista e della sua lettura scientifica del mondo, tale dialettica contrastiva vede coinvolti quasi esclusivamente gli opposti fronti del “naturale” e del “soprannaturale”, con l'auspicata capitolazione di quest'ultimo a favore del completo restauro dell'ordine costituito, nei più avanzati sviluppi del fantastico, in un contesto di graduale sfiducia verso l'univocità e la saldezza generalmente assegnate alla nozione di realtà — oltre che verso un'accezione normativa del genere letterario —, questa assume dinamiche e configurazioni di gran lunga più complesse e vertiginose, che in non pochi casi finiscono per ribaltare la struttura tradizionale, altamente codificata, del modello romantico. Proprio l'esame delle profonde evoluzioni vissute dal fantastico nel corso del Novecento evidenzia, in quest'ottica, la necessità di riaprire la partita definitoria che a lungo ha visto impegnati i teorici della letteratura, con l'obiettivo di elaborare un modello di descrizione in grado di considerare, come espressioni di un unico dominio, tanto la lunga processione di mostri, apparizioni spettrali e oggetti impossibili messa in scena, senza sostanziali variazioni, dalla grande tradizione ottocentesca, quanto le meno esibite manifestazioni dell'irrazionale proposte dal fronte più avanzato del genere, e di restituire il fenomeno alla sua dimensione di articolato sistema letterario transnazionale. Una caratteristica, quest'ultima, di cui si è dato conto, in fase di indagine testuale, ponendo sotto la lente dell'analisi comparatistica l'opera di alcuni degli autori più rappresentativi di quelle aree linguistiche che maggiore propulsione hanno dato al processo di rigenerazione del genere, vale a dire quella ispanofona (Julio Cortázar, Adolfo Bioy Casares, Cristina Fernández Cubas), quella anglofona (Angela Carter, Shirley Jackson, Richard Matheson, Ray Bradbury) e, non ultima, quella italofona (Anna Maria Ortese, Tommaso Landolfi, Dino Buzzati, Antonio Tabucchi). Muovendo dalla convinzione che il racconto fantastico vada inteso come un complesso meccanismo teso in ogni sua parte alla delineazione di un'alterità impossibile in grado di contrapporsi all'ordinario in qualità di agente invasore o territorio invaso, si è rivolta innanzitutto l'attenzione alle dinamiche che determinano quella giustapposizione di piani narrativi contraddittori dalla quale emerge il perturbante, andando ad esaminare quella dialettica dualistica che, come rileva Rosalba Campra, attraversa sottopelle ogni produzione narrativa, ma che solo nel fantastico raggiunge una “polarizzazione” delle parti tale per cui ogni traiettoria testuale è proiettata a definirne in maniera convincente la distanza, un peso specifico talmente rilevante da attrarre a sé ogni altro aspetto della narrazione. Si è dunque passati ad analizzare il vasto repertorio semantico del genere, preferendo alla compilazione di ulteriori tassonomie l'isolamento di alcuni blocchi tematici ricorrenti, allo scopo di indagarne le specificità e l'evoluzione in senso diacronico. Alla disamina delle diramazioni mediali del fantastico, in particolar modo in ambito cinematografico e fumettistico, è infine dedicata l'ultima parte del lavoro, vera e propria occasione di verifica, alla luce dell'enorme ampiamento delle possibilità espressive che caratterizza il XX secolo, dell'impianto teorico delineato e della sua applicabilità a testi non letterari o persino non verbali.

Narrare l'invasione: traiettorie e rinnovamento del fantastico novecentesco / Carnevale, Davide. - (2021 Sep 22).

Narrare l'invasione: traiettorie e rinnovamento del fantastico novecentesco

CARNEVALE, DAVIDE
22/09/2021

Abstract

Il secolo scorso vede, contrariamente a quanto affermato da Todorov e da altri studiosi, l'inequivocabile sopravvivenza in letteratura del fantastico, non solo nella forma di una sua rarefatta riutilizzazione modale, concretata in un sistematico recupero di dispositivi formali e materiale semantico da parte di ampie fasce della produzione letteraria e artistica in genere, come suggerito da Rosemary Jackson e Remo Ceserani, ma di quello che può essere considerato a tutti gli effetti un genere letterario ben specifico, la cui continuità con i grandi modelli ottocenteschi va ricercata nel suo accanito dare rappresentazione allo scarto irriducibile prodotto dall'improvviso collidere di dimensioni narrative inconciliabili e antagoniste, dal sovversivo prorompere di particelle di significato in piani di realtà che non possono in alcun modo contemplarle, se non rinunciando all'integrità dei loro paradigmi costitutivi. Una vera e propria invasione, concetto innalzato qui a criterio distintivo dell'intero genere in ragione, oltre che della sua capacità di dialogare con le più avvertite acquisizioni del recente panorama teorico, del suo rappresentare la costante strutturale su cui poggia la delicata costruzione testuale del perturbante. Tuttavia, se a cavallo tra l'età premoderna e quella moderna, in relazione all'affermarsi del razionalismo illuminista e della sua lettura scientifica del mondo, tale dialettica contrastiva vede coinvolti quasi esclusivamente gli opposti fronti del “naturale” e del “soprannaturale”, con l'auspicata capitolazione di quest'ultimo a favore del completo restauro dell'ordine costituito, nei più avanzati sviluppi del fantastico, in un contesto di graduale sfiducia verso l'univocità e la saldezza generalmente assegnate alla nozione di realtà — oltre che verso un'accezione normativa del genere letterario —, questa assume dinamiche e configurazioni di gran lunga più complesse e vertiginose, che in non pochi casi finiscono per ribaltare la struttura tradizionale, altamente codificata, del modello romantico. Proprio l'esame delle profonde evoluzioni vissute dal fantastico nel corso del Novecento evidenzia, in quest'ottica, la necessità di riaprire la partita definitoria che a lungo ha visto impegnati i teorici della letteratura, con l'obiettivo di elaborare un modello di descrizione in grado di considerare, come espressioni di un unico dominio, tanto la lunga processione di mostri, apparizioni spettrali e oggetti impossibili messa in scena, senza sostanziali variazioni, dalla grande tradizione ottocentesca, quanto le meno esibite manifestazioni dell'irrazionale proposte dal fronte più avanzato del genere, e di restituire il fenomeno alla sua dimensione di articolato sistema letterario transnazionale. Una caratteristica, quest'ultima, di cui si è dato conto, in fase di indagine testuale, ponendo sotto la lente dell'analisi comparatistica l'opera di alcuni degli autori più rappresentativi di quelle aree linguistiche che maggiore propulsione hanno dato al processo di rigenerazione del genere, vale a dire quella ispanofona (Julio Cortázar, Adolfo Bioy Casares, Cristina Fernández Cubas), quella anglofona (Angela Carter, Shirley Jackson, Richard Matheson, Ray Bradbury) e, non ultima, quella italofona (Anna Maria Ortese, Tommaso Landolfi, Dino Buzzati, Antonio Tabucchi). Muovendo dalla convinzione che il racconto fantastico vada inteso come un complesso meccanismo teso in ogni sua parte alla delineazione di un'alterità impossibile in grado di contrapporsi all'ordinario in qualità di agente invasore o territorio invaso, si è rivolta innanzitutto l'attenzione alle dinamiche che determinano quella giustapposizione di piani narrativi contraddittori dalla quale emerge il perturbante, andando ad esaminare quella dialettica dualistica che, come rileva Rosalba Campra, attraversa sottopelle ogni produzione narrativa, ma che solo nel fantastico raggiunge una “polarizzazione” delle parti tale per cui ogni traiettoria testuale è proiettata a definirne in maniera convincente la distanza, un peso specifico talmente rilevante da attrarre a sé ogni altro aspetto della narrazione. Si è dunque passati ad analizzare il vasto repertorio semantico del genere, preferendo alla compilazione di ulteriori tassonomie l'isolamento di alcuni blocchi tematici ricorrenti, allo scopo di indagarne le specificità e l'evoluzione in senso diacronico. Alla disamina delle diramazioni mediali del fantastico, in particolar modo in ambito cinematografico e fumettistico, è infine dedicata l'ultima parte del lavoro, vera e propria occasione di verifica, alla luce dell'enorme ampiamento delle possibilità espressive che caratterizza il XX secolo, dell'impianto teorico delineato e della sua applicabilità a testi non letterari o persino non verbali.
22-set-2021
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1571629
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