Come si evince dal titolo, questo lavoro si occupa essenzialmente del simbolismo politico visto attraverso la lente delle trasformazioni sociali e pone come specifico caso di studio l’analisi della Repubblica di Turchia, dalla sua fondazione kemalista fino all’attuale governo. Si tratta, detto altrimenti, di uno studio articolato in quattro parti riferibili a due distinte sezioni correlate tra loro: la prima analizza ampliamente la riflessione scientifica sulla dimensione simbolica e le principali correnti di pensiero che ne hanno ricostruito il significato sul piano storico-culturale; la seconda si concentra sul simbolismo politico in generale e ha come focus specifico l’evoluzione di tale fenomeno nella Turchia moderna e contemporanea (da Atatürk a Erdoğan) così come nata a partire dalle rovine dell’Impero ottomano. Come presto vedremo in modo più analitico e dettagliato, in un primo momento si è posta, dunque, attenzione alle principali posizioni teoriche e dottrine tematiche (dalla linguistica all’ermeneutica, dall’antropologia alla psicoanalisi, dalla critica artistica alla sociologia) che hanno indagato la struttura simbolica della condizione umana e la potenza evocativa dei simboli. Si è cercato così di passare in rassegna alcune delle più importanti teorie interpretative nelle loro articolazioni tematiche (le culture dei simboli, la storia delle civiltà e delle religioni, la letteratura, l’arte, gli studi giuridici, politici, mitologici e culturali), seguendo le principali posizioni teoriche del Novecento, da Cassirer a Gadamer, da Schmitt a Simmel, da Weber a Gramsci, da Ortega a Foucault, da Benjamin ad Habermas, da Kantorowicz a Todorov, passando per l’approccio antropologico strutturalista di Lévi-Strauss fino alla psicoanalisi di Freud, Jung e Lacan, dalla lettura simbologica di Baudrillard, Bourdieau e Laclau fino alla semiologia di Barthes e Eco, e sfiorando, altresì, ambienti storici complessi, quali il futurismo e il fascismo. Questa ampia ricognizione prodromica, nella sua presentazione organica di sfondo antropologico e culturale, ha assunto un ruolo fondamentale in funzione degli obiettivi interpretativi dell’intera ricerca. Sulla base di questa ricostruzione è stato, infatti, possibile analizzare, come caso di studio, il simbolismo politico e le trasformazioni sociali in Turchia negli ultimi cento anni, precisamente dalla fondazione della moderna Repubblica turca con Atatürk al governo odierno di Erdoğan. Come si può ben capire, tali processi complessi non potevano essere spiegati sotto l’aspetto del simbolico senza aver prima evidenziato e passato in rassegna, anche se in modo non esaustivo, gli studi sul simbolismo, e senza aver sottolineato l’importanza dei simboli nella nostra vita culturale, politica e sociale. In altri termini, per comprendere sul piano simbolico le dinamiche sociali e politiche della moderna Turchia si è reso necessario estendere lo sguardo ad aspetti culturali più ampi, nella convinzione che, accanto ai grandi eventi storici e sociali di cui si conserva la memoria, esiste una dimensione simbolica in grado di restituire tratti essenziali, e sintomatici, delle trasformazioni politiche dei paesi. Si è scelto, pertanto, di analizzare la sfera politica turca a partire dalla sua dimensione simbolica. Per far questo, però, si è dovuto, in primo luogo, tener conto del vasto complesso di studi che, in modo differente, ha restituito al simbolismo un valore euristico ed esplicativo della condizione umana, per far poi chiarezza su come proprio tale percorso di studi sia utilizzabile nell’analisi dei fenomeni politici. Nell’interessarsi dei simboli come argomento di studio, infatti, il sapere culturale e la rappresentazione passano per zone oscure e ambivalenti. Le immagini, i miti e i rituali elaborati nel tempo riemergono attraverso le epoche con nuovi significati che spesso riadattano sostrati di senso mutati nel loro valore sociale e politico. Tutto ciò, indubbiamente, solleva numerosi problemi che un lavoro di tesi deve affrontare. Si è deciso così di procedere secondo un ordine che possiamo definire, in senso metaforico, a “imbuto”, dal generale al particolare, cercando poi di adottare, su questo terreno, una prospettiva interdisciplinare in grado di organizzare, attraverso i successivi passaggi, una visione sempre più definita sul piano concettuale e concentrata sul tema ad oggetto. Sulla base di questo criterio si è provveduto a dividere la tesi in quattro parti. La prima parte è stata dedicata alla ricostruzione critica degli ambiti, delle prospettive e delle teorie del simbolico che con più efficacia hanno restituito al simbolo il suo valore gnoseologico, euristico ed esistenziale. Si è cercato così, attraverso il sapere filosofico, psicoanalitico, antropologico, linguistico e semiologico, di presentare il simbolico nel suo aspetto fondamentale ovvero, di comprendere la dimensione simbolica come essenziale alla condizione umana. Dopo questa prima parte fondativa dell’intera impalcatura della tesi, sulla base degli apporti interdisciplinari offerti delle dottrine esaminate, si è passati, nella seconda parte, ad una sociologia dei processi simbolici articolata secondo alcune linee, prospettive e tendenze che hanno fatto della stessa sociologia una vera e propria “scienza” dei simboli. In tal senso si sono gettate le basi metodologiche per la configurazione di una prospettiva sociologica capace di ridare un significato essenziale alla fenomenologia del simbolico. I simboli, infatti, non possono essere studiati in modo soddisfacente in termini quantitativi, né per mezzo di sondaggi o analisi empiriche basate sul calcolo numerico. Ed è proprio per questo che si è cercato di fare appello ad una “sociologia archeologica” in grado di restituire concettualmente alla dimensione simbolica quei tratti semantici, sedimentati nel tempo, che orientano l’agire politico-sociale e strutturano, organizzano e consolidano la coscienza collettiva. È sulla scorta di tali acquisizioni che nella terza parte del lavoro, dedicata più nello specifico al simbolismo politico, si è proceduto ad un’analisi della dimensione simbolica dei processi politici e delle dinamiche e sfere del potere politico. Per comprendere a fondo i tratti specifici di determinate culture politiche, è proprio alle espressioni (e rappresentazioni) simboliche, infatti, che dobbiamo guardare, tenendo a mente che i simboli non sono soltanto semplici strumenti utilizzati dell’élite per manipolare le masse ma anche, e soprattutto, elementi importanti (ed essenziali) di quel complesso di miti e rituali che caratterizzano, nella loro forma e sostanza, i processi politici. La politica, detto altrimenti, come altre dimensioni della vita sociale è, al suo strato più profondo, un processo simbolico. Quale espressione culturale, le sue dinamiche si costituiscono e si sviluppano attraverso una varietà di funzioni simboliche (che contribuiscono a determinare i processi di integrazione, assimilazione, esclusione) e di attività che, attraverso i simboli, definiscono il consenso, il dissenso, l’identità e la legittimazione del potere. I simboli politici, del resto, come gli altri simboli, non sono qualcosa di puramente “irreale” o “accessorio”, ma anche qualcosa che, attraverso una “forza espressiva”, si impone realmente e concretamente alla vita sociale degli uomini. E se ancora oggi si registra uno scarso sviluppo degli studi (soprattutto sociologici) sulla dimensione simbolica della politica, ciò deriva, specialmente, dai metodi empirici in prevalenza usati (e legittimati) nell’ambito delle scienze sociali contemporanee. Proseguendo in tale direzione si è cercato, allora, di cogliere le dinamiche della politica turca moderna attraverso un’indagine del suo laboratorio simbolico, o meglio, di ciò che, soprattutto nel corso di un secolo, ha registrato non solo l’elaborazione (o rielaborazione) di particolari configurazioni simboliche, ma anche di ciò che ha sviluppato una fervida lotta dei simboli (per e contro i simboli). Nella quarta e ultima parte della tesi, pertanto, ci si è occupati finalmente del “caso di studio” che, seppur a conclusione del lavoro, ha giustificato l’intero percorso del lavoro. Si è cercato, infatti, di trattare il “simbolismo politico” nella Turchia moderna attraverso un arco temporale che da Mustafa Kemal Atatürk ha condotto (per quasi un secolo) fino a Recep Tayyip Erdoğan. La società turca, nell’arco di un secolo, ha subito trasformazioni radicali. Si è creata una nuova coscienza culturale e politica nei cittadini e si sono sviluppate inedite relazioni con il mondo. Il cambiamento, oltretutto, è avvenuto in una cornice geopolitica in continua evoluzione, che ha coinvolto il Medioriente e l’area del Mediterraneo. In realtà, è dalla seconda metà del XIX secolo che, sui graduali mutamenti dell’Impero Ottomano, la Turchia ha mosso i suoi primi passi verso il cammino della sua modernizzazione. E così, islamica e laica, parlamentare e democratica, la Turchia ha mostrato incredibili capacità di innovazione e sperimentazione. Nel cuore del mondo islamico sunnita ha dato luogo ad un grande laboratorio politico, sociale, culturale e simbolico; un laboratorio rivoluzionario e senza precedenti per ciò che riguarda quello stesso mondo al quale, per molti secoli, e fino a poco tempo fa, aveva assicurato una stabilità assumendone il ruolo di indiscusso garante. Oggi, in realtà, la Turchia è spesso percepita come un paese alimentato da vicende intricate, da delicati equilibri, ma è anche considerata come un soggetto politico abile che, sulla dissoluzione dell’antico Impero ottomano, si muove ora tra vecchie potenze occidentali ed europee dominanti e nuovi protagonisti mediterranei ed asiatici. Come è noto, la Turchia ha subìto grandi capovolgimenti sociali interni che hanno fatto epoca, e sta raggiungendo, non senza difficoltà, importanti risultati politico-economici a livello mondiale. In tal senso, è riduttivo affermare soltanto che l’attuale Repubblica turca sia una nazione diversa da altri paesi musulmani. È senza dubbio altro. Forse non è la loro pietra di paragone, ma in qualche modo può essere, come in molti hanno sottolineato, la loro fonte di ispirazione. Certo i dati sociali, culturali e politici della Turchia moderna suggeriscono un panorama complesso e di non facile sistemazione e schematizzazione. A fronte delle odierne gigantesche metropoli vi sono estesissime aree rurali; un quarto della popolazione non è sunnita ortodosso ma invece sciita eterodosso; entro la sfera politica laica, confraternite religiose intessono rapporti con il sistema partitico; ingente è l’influenza politica degli imperi finanziari che stanno trasformando la società del Bosforo e l’altopiano anatolico. Infrastrutture moderne convivono con centinaia e centinaia di siti archeologici, moschee, musei e palazzi storici; tra i centri culturali istituzionali e religiosi si elaborano narrazioni e interpretazioni della cultura occidentale ed asiatica; il sistema educativo prosegue sui binari segnati dal nazionalismo laico ed anche sui solchi dalla tradizione islamica; ai simboli religiosi e militari si affiancano gli emblemi della laicità così come i rituali islamici sopravvivono alle cerimonie politiche della Repubblica kemalista. Seppur educata entro gli schemi della dottrina kemalista e della Repubblica laica, la popolazione turca è animata da un forte senso di appartenenza islamica. La società è al 98% musulmana, della quale una grande parte è non praticante e preferisce essere chimata “credente” piuttosto che “religiosa”, di un islam turco laico che è diverso dall’Islam che vediamo in altri paesi musulmani, poi la sua composizione culturale e religiosa è differenziata. Sociologicamente nello Stato turco convivono turchi, curdi, aleviti, cristiani ortodossi, armeni, ebrei e altra gente di diverse nazioni che non contano su una continuità territoriale che possa sostenere nitidamente le loro identità. Entro il quadro delle grandi trasformazioni politiche e culturali del Novecento, la Turchia, nazione di fondamentale importanza nello scacchiere europeo (soprattutto per ciò che riguarda i flussi migratori e gli sviluppi politici in Medioriente), ha attirato lo sguardo del mondo, come forza riformista e rivoluzionaria e come potenza economica capace di convivere con i valori islamisti. Sullo sfondo del “mito” e del “culto” laicista di Mustafa Kemal Atatürk, il “Padre della nazione”, oggi si fa sempre più strada il nuovo “ottomanesimo” di Recep Tayyip Erdoğan. La politica, che infiamma il Paese, si trova, da un lato, un consenso populistico, è oggetto, dall’altro, di discussioni e accese contestazioni. Certo è che la Turchia è una nazione densa e stratificata, portatrice di eredità che si sono sedimentate e intrecciate le une sulle altre; per la sua stessa conformazione, possiede tratti e caratteri multiformi; è ricca di simboli storici pluridimensionali. L’insieme dei suoi attuali caratteri è il risultato di singolari composizioni e ibridazioni. La sua cultura, risultato degli accumuli nella coscienza collettiva plurimillenaria dell’Anatolia e dei popoli turchi dell’Asia centrale, di scambi tra Oriente e Occidente, di flussi impressionanti di popoli e poteri, è nata e si è formata in diversi posti remoti, in ambienti dai segni complessi e dai simboli arcani: una realtà i cui tratti emblematici si sono incrociati in luoghi nevralgici, sono passati per processi accidentati e percorsi tragici. La storia della Turchia è veramente piena di impulsi e slanci che vengono da lontano. Detto altrimenti, l’odierna Turchia è il frutto di fondazioni, distruzioni e innovazioni fra loro complementari. È il risultato di commistioni e stratificazioni che incidono oggi sul tessuto politico, sociale e culturale della nazione. Lo stato attuale delle cose non può essere spiegato con un rigido concetto di “origini” o di trapianti fondativi unici. La complessa realtà che è nata proprio da intrecci di componenti disparate, ha alimentato, e ancora alimenta, riferimenti, ancoraggi, rimpianti e nostalgie (hüzün si dice in turco). Tutto ciò pesa sull’autocoscienza nazionale. La memoria e la nostalgia delle antiche conquiste territoriali e degli spostamenti di varie popolazioni – ma anche le perdite seguite al crollo dell’Impero ottomano - sono ancora spesso la base di confronto del “discorso politico” della Turchia. In tal senso, chi si accinge a studiare la politica turca, non può non imbattersi nell’intreccio di questi diversi percorsi e commistioni culturali che, a partire dalla storia della Repubblica di Turchia (che tra poco, nel 2023, compirà un secolo), restituiscono un fitto tessuto di simboli. Per chi poi come me vive tra le due “sponde” di un vecchio impero (romano e bizantino), nata e cresciuta a İstanbul, turca e italiana, con ascendenze, oltre a quelle turche, anche greche e montenegrine, tale intreccio di simboli non può che aumentare il senso di continui trasporti, travasi e traslochi, di perdite e acquisti, assenze e presenze nei margini di un’esperienza che continuamente ridisegna il dentro e il fuori, la distanza e l’appartenenza. Tuttavia, proprio questo modo fluido di vivere si trasforma in un vantaggio cognitivo nel momento in cui, dall’interno e dall’esterno, mi trovo a rileggere i processi politici e culturali che caratterizzano la storia della Turchia. I tratti che si profilano tra le linee bifronti di tale prospettiva non possono, infatti, non delinearsi come un quadro sospeso tra distacco analitico e vissuto personale, tale però da concedersi come spazio problematico e critico di chi dal di fuori indaga sempre e comunque se stesso. Ed è così che, nel tentativo di restituire le dinamiche politiche della moderna Turchia, ho cercato di cogliere quei tratti simbolici che come segni esteriori, esterni e visibili rimandano a processi identitari interiori e profondi. Basandomi sulla mia formazione di archeologa e sociologa ho tentato pertanto di dare spiegazioni di una gamma di questioni e prospettive che vanno dalla stratificazione culturale agli intrecci partitici, al patrimonio museale e archeologico, al sistema educativo, alla propaganda laicista e nazionalista e al rinnovamento islamico. Con l’intento di comporre un quadro più o meno integrato dei processi politici che attraversano l’immaginario della Turchia moderna, ho cercato così di far percepire le configurazioni simboliche entro le quali affondano le proprie radici le ideologie e le dinamiche del potere, le appartenenze e i conflitti sociali. È bene ripetere che la tesi vuole trasmettere la convinzione che, accanto ai grandi eventi storici, culturali e sociali di cui si conserva la memoria, esiste una dimensione simbolica in grado di restituire tratti essenziali, e sintomatici, delle trasformazioni politiche dei paesi. Naturalmente, il discorso che qui si propone è il risultato di una selezione parziale dei problemi incontrati e affrontati nel corso della ricerca. Il materiale raccolto è stato pertanto ordinato secondo un criterio teso a privilegiare soltanto gli aspetti più utili ai fini di una trattazione sicuramente incompleta degli eventi e dei processi che hanno caratterizzato, e che ancora caratterizzano, la vita politica turca. Al centro dello studio, pertanto, si è posta la dimensione simbolica dei processi politici della Repubblica turca, concentrando soprattutto l’attenzione sui “miti” e i “rituali” che hanno configurato e legittimato, e che ora configurano e legittimano, determinati assetti e apparati di potere, la loro narrazione ideologica e il loro strumentario di azione. In altri termini, secondo l’impostazione generale data alla tesi, si è cercato di comprendere l’utilizzo della dimensione simbolica come strumento politico: come fattore di integrazione e consenso, come elemento di costruzione e mantenimento di unità nazionale e di legittimazione delle azioni di governo. Negli ordinamenti repubblicani, come appunto quello della Turchia moderna, l’azione politica non può essere giustificata solamente attraverso la forza, ma ha bisogno del consenso popolare (e di una “guida” capace di orientare il consenso) è ciò, come si è cercato di dimostrare, ha bisogno di una base simbolica. Prima, però, di procedere in questa direzione, è stato necessario ripercorrere, per brevi tratti, il profilo storico, politico e culturale che ha dato luogo all’odierna Turchia. Quindi questa parte che costituisce il caso di studio inizia con una rassegna degli eventi storici, partendo dagli ultimi tempi dell’Impero Ottomano per arrivare ad oggi, senza l’analisi della quale non si può pretendere di capire la situazione attuale. Tutta la tesi tratta le questioni politiche e simboliche del potere nel complesso storico, mitologico e dunque simbolico con la coscienza di sapere che eventi e trasformazioni sociali importanti non nascono dal nulla, ma sono in continuo intreccio con altre dinamiche, oppure sono proprio risultati delle dinamiche di vari tipi di lungo termine. Come si evince dal titolo, questo lavoro si occupa essenzialmente del simbolismo politico visto attraverso la lente delle trasformazioni sociali e pone come specifico caso di studio l’analisi della Repubblica di Turchia, dalla sua fondazione kemalista fino all’attuale governo. Si tratta, detto altrimenti, di uno studio articolato in quattro parti riferibili a due distinte sezioni correlate tra loro: la prima analizza ampliamente la riflessione scientifica sulla dimensione simbolica e le principali correnti di pensiero che ne hanno ricostruito il significato sul piano storico-culturale; la seconda si concentra sul simbolismo politico in generale e ha come focus specifico l’evoluzione di tale fenomeno nella Turchia moderna e contemporanea (da Atatürk a Erdoğan) così come nata a partire dalle rovine dell’Impero ottomano. Come presto vedremo in modo più analitico e dettagliato, in un primo momento si è posta, dunque, attenzione alle principali posizioni teoriche e dottrine tematiche (dalla linguistica all’ermeneutica, dall’antropologia alla psicoanalisi, dalla critica artistica alla sociologia) che hanno indagato la struttura simbolica della condizione umana e la potenza evocativa dei simboli. Si è cercato così di passare in rassegna alcune delle più importanti teorie interpretative nelle loro articolazioni tematiche (le culture dei simboli, la storia delle civiltà e delle religioni, la letteratura, l’arte, gli studi giuridici, politici, mitologici e culturali), seguendo le principali posizioni teoriche del Novecento, da Cassirer a Gadamer, da Schmitt a Simmel, da Weber a Gramsci, da Ortega a Foucault, da Benjamin ad Habermas, da Kantorowicz a Todorov, passando per l’approccio antropologico strutturalista di Lévi-Strauss fino alla psicoanalisi di Freud, Jung e Lacan, dalla lettura simbologica di Baudrillard, Bourdieau e Laclau fino alla semiologia di Barthes e Eco, e sfiorando, altresì, ambienti storici complessi, quali il futurismo e il fascismo. Questa ampia ricognizione prodromica, nella sua presentazione organica di sfondo antropologico e culturale, ha assunto un ruolo fondamentale in funzione degli obiettivi interpretativi dell’intera ricerca. Sulla base di questa ricostruzione è stato, infatti, possibile analizzare, come caso di studio, il simbolismo politico e le trasformazioni sociali in Turchia negli ultimi cento anni, precisamente dalla fondazione della moderna Repubblica turca con Atatürk al governo odierno di Erdoğan. Come si può ben capire, tali processi complessi non potevano essere spiegati sotto l’aspetto del simbolico senza aver prima evidenziato e passato in rassegna, anche se in modo non esaustivo, gli studi sul simbolismo, e senza aver sottolineato l’importanza dei simboli nella nostra vita culturale, politica e sociale. In altri termini, per comprendere sul piano simbolico le dinamiche sociali e politiche della moderna Turchia si è reso necessario estendere lo sguardo ad aspetti culturali più ampi, nella convinzione che, accanto ai grandi eventi storici e sociali di cui si conserva la memoria, esiste una dimensione simbolica in grado di restituire tratti essenziali, e sintomatici, delle trasformazioni politiche dei paesi. Si è scelto, pertanto, di analizzare la sfera politica turca a partire dalla sua dimensione simbolica. Per far questo, però, si è dovuto, in primo luogo, tener conto del vasto complesso di studi che, in modo differente, ha restituito al simbolismo un valore euristico ed esplicativo della condizione umana, per far poi chiarezza su come proprio tale percorso di studi sia utilizzabile nell’analisi dei fenomeni politici. Nell’interessarsi dei simboli come argomento di studio, infatti, il sapere culturale e la rappresentazione passano per zone oscure e ambivalenti. Le immagini, i miti e i rituali elaborati nel tempo riemergono attraverso le epoche con nuovi significati che spesso riadattano sostrati di senso mutati nel loro valore sociale e politico. Tutto ciò, indubbiamente, solleva numerosi problemi che un lavoro di tesi deve affrontare. Si è deciso così di procedere secondo un ordine che possiamo definire, in senso metaforico, a “imbuto”, dal generale al particolare, cercando poi di adottare, su questo terreno, una prospettiva interdisciplinare in grado di organizzare, attraverso i successivi passaggi, una visione sempre più definita sul piano concettuale e concentrata sul tema ad oggetto. Sulla base di questo criterio si è provveduto a dividere la tesi in quattro parti. La prima parte è stata dedicata alla ricostruzione critica degli ambiti, delle prospettive e delle teorie del simbolico che con più efficacia hanno restituito al simbolo il suo valore gnoseologico, euristico ed esistenziale. Si è cercato così, attraverso il sapere filosofico, psicoanalitico, antropologico, linguistico e semiologico, di presentare il simbolico nel suo aspetto fondamentale ovvero, di comprendere la dimensione simbolica come essenziale alla condizione umana. Dopo questa prima parte fondativa dell’intera impalcatura della tesi, sulla base degli apporti interdisciplinari offerti delle dottrine esaminate, si è passati, nella seconda parte, ad una sociologia dei processi simbolici articolata secondo alcune linee, prospettive e tendenze che hanno fatto della stessa sociologia una vera e propria “scienza” dei simboli. In tal senso si sono gettate le basi metodologiche per la configurazione di una prospettiva sociologica capace di ridare un significato essenziale alla fenomenologia del simbolico. I simboli, infatti, non possono essere studiati in modo soddisfacente in termini quantitativi, né per mezzo di sondaggi o analisi empiriche basate sul calcolo numerico. Ed è proprio per questo che si è cercato di fare appello ad una “sociologia archeologica” in grado di restituire concettualmente alla dimensione simbolica quei tratti semantici, sedimentati nel tempo, che orientano l’agire politico-sociale e strutturano, organizzano e consolidano la coscienza collettiva. È sulla scorta di tali acquisizioni che nella terza parte del lavoro, dedicata più nello specifico al simbolismo politico, si è proceduto ad un’analisi della dimensione simbolica dei processi politici e delle dinamiche e sfere del potere politico. Per comprendere a fondo i tratti specifici di determinate culture politiche, è proprio alle espressioni (e rappresentazioni) simboliche, infatti, che dobbiamo guardare, tenendo a mente che i simboli non sono soltanto semplici strumenti utilizzati dell’élite per manipolare le masse ma anche, e soprattutto, elementi importanti (ed essenziali) di quel complesso di miti e rituali che caratterizzano, nella loro forma e sostanza, i processi politici. La politica, detto altrimenti, come altre dimensioni della vita sociale è, al suo strato più profondo, un processo simbolico. Quale espressione culturale, le sue dinamiche si costituiscono e si sviluppano attraverso una varietà di funzioni simboliche (che contribuiscono a determinare i processi di integrazione, assimilazione, esclusione) e di attività che, attraverso i simboli, definiscono il consenso, il dissenso, l’identità e la legittimazione del potere. I simboli politici, del resto, come gli altri simboli, non sono qualcosa di puramente “irreale” o “accessorio”, ma anche qualcosa che, attraverso una “forza espressiva”, si impone realmente e concretamente alla vita sociale degli uomini. E se ancora oggi si registra uno scarso sviluppo degli studi (soprattutto sociologici) sulla dimensione simbolica della politica, ciò deriva, specialmente, dai metodi empirici in prevalenza usati (e legittimati) nell’ambito delle scienze sociali contemporanee. Proseguendo in tale direzione si è cercato, allora, di cogliere le dinamiche della politica turca moderna attraverso un’indagine del suo laboratorio simbolico, o meglio, di ciò che, soprattutto nel corso di un secolo, ha registrato non solo l’elaborazione (o rielaborazione) di particolari configurazioni simboliche, ma anche di ciò che ha sviluppato una fervida lotta dei simboli (per e contro i simboli). Nella quarta e ultima parte della tesi, pertanto, ci si è occupati finalmente del “caso di studio” che, seppur a conclusione del lavoro, ha giustificato l’intero percorso del lavoro. Si è cercato, infatti, di trattare il “simbolismo politico” nella Turchia moderna attraverso un arco temporale che da Mustafa Kemal Atatürk ha condotto (per quasi un secolo) fino a Recep Tayyip Erdoğan. La società turca, nell’arco di un secolo, ha subito trasformazioni radicali. Si è creata una nuova coscienza culturale e politica nei cittadini e si sono sviluppate inedite relazioni con il mondo. Il cambiamento, oltretutto, è avvenuto in una cornice geopolitica in continua evoluzione, che ha coinvolto il Medioriente e l’area del Mediterraneo. In realtà, è dalla seconda metà del XIX secolo che, sui graduali mutamenti dell’Impero Ottomano, la Turchia ha mosso i suoi primi passi verso il cammino della sua modernizzazione. E così, islamica e laica, parlamentare e democratica, la Turchia ha mostrato incredibili capacità di innovazione e sperimentazione. Nel cuore del mondo islamico sunnita ha dato luogo ad un grande laboratorio politico, sociale, culturale e simbolico; un laboratorio rivoluzionario e senza precedenti per ciò che riguarda quello stesso mondo al quale, per molti secoli, e fino a poco tempo fa, aveva assicurato una stabilità assumendone il ruolo di indiscusso garante. Oggi, in realtà, la Turchia è spesso percepita come un paese alimentato da vicende intricate, da delicati equilibri, ma è anche considerata come un soggetto politico abile che, sulla dissoluzione dell’antico Impero ottomano, si muove ora tra vecchie potenze occidentali ed europee dominanti e nuovi protagonisti mediterranei ed asiatici. Come è noto, la Turchia ha subìto grandi capovolgimenti sociali interni che hanno fatto epoca, e sta raggiungendo, non senza difficoltà, importanti risultati politico-economici a livello mondiale. In tal senso, è riduttivo affermare soltanto che l’attuale Repubblica turca sia una nazione diversa da altri paesi musulmani. È senza dubbio altro. Forse non è la loro pietra di paragone, ma in qualche modo può essere, come in molti hanno sottolineato, la loro fonte di ispirazione. Certo i dati sociali, culturali e politici della Turchia moderna suggeriscono un panorama complesso e di non facile sistemazione e schematizzazione. A fronte delle odierne gigantesche metropoli vi sono estesissime aree rurali; un quarto della popolazione non è sunnita ortodosso ma invece sciita eterodosso; entro la sfera politica laica, confraternite religiose intessono rapporti con il sistema partitico; ingente è l’influenza politica degli imperi finanziari che stanno trasformando la società del Bosforo e l’altopiano anatolico. Infrastrutture moderne convivono con centinaia e centinaia di siti archeologici, moschee, musei e palazzi storici; tra i centri culturali istituzionali e religiosi si elaborano narrazioni e interpretazioni della cultura occidentale ed asiatica; il sistema educativo prosegue sui binari segnati dal nazionalismo laico ed anche sui solchi dalla tradizione islamica; ai simboli religiosi e militari si affiancano gli emblemi della laicità così come i rituali islamici sopravvivono alle cerimonie politiche della Repubblica kemalista. Seppur educata entro gli schemi della dottrina kemalista e della Repubblica laica, la popolazione turca è animata da un forte senso di appartenenza islamica. La società è al 98% musulmana, della quale una grande parte è non praticante e preferisce essere chimata “credente” piuttosto che “religiosa”, di un islam turco laico che è diverso dall’Islam che vediamo in altri paesi musulmani, poi la sua composizione culturale e religiosa è differenziata. Sociologicamente nello Stato turco convivono turchi, curdi, aleviti, cristiani ortodossi, armeni, ebrei e altra gente di diverse nazioni che non contano su una continuità territoriale che possa sostenere nitidamente le loro identità. Entro il quadro delle grandi trasformazioni politiche e culturali del Novecento, la Turchia, nazione di fondamentale importanza nello scacchiere europeo (soprattutto per ciò che riguarda i flussi migratori e gli sviluppi politici in Medioriente), ha attirato lo sguardo del mondo, come forza riformista e rivoluzionaria e come potenza economica capace di convivere con i valori islamisti. Sullo sfondo del “mito” e del “culto” laicista di Mustafa Kemal Atatürk, il “Padre della nazione”, oggi si fa sempre più strada il nuovo “ottomanesimo” di Recep Tayyip Erdoğan. La politica, che infiamma il Paese, si trova, da un lato, un consenso populistico, è oggetto, dall’altro, di discussioni e accese contestazioni. Certo è che la Turchia è una nazione densa e stratificata, portatrice di eredità che si sono sedimentate e intrecciate le une sulle altre; per la sua stessa conformazione, possiede tratti e caratteri multiformi; è ricca di simboli storici pluridimensionali. L’insieme dei suoi attuali caratteri è il risultato di singolari composizioni e ibridazioni. La sua cultura, risultato degli accumuli nella coscienza collettiva plurimillenaria dell’Anatolia e dei popoli turchi dell’Asia centrale, di scambi tra Oriente e Occidente, di flussi impressionanti di popoli e poteri, è nata e si è formata in diversi posti remoti, in ambienti dai segni complessi e dai simboli arcani: una realtà i cui tratti emblematici si sono incrociati in luoghi nevralgici, sono passati per processi accidentati e percorsi tragici. La storia della Turchia è veramente piena di impulsi e slanci che vengono da lontano. Detto altrimenti, l’odierna Turchia è il frutto di fondazioni, distruzioni e innovazioni fra loro complementari. È il risultato di commistioni e stratificazioni che incidono oggi sul tessuto politico, sociale e culturale della nazione. Lo stato attuale delle cose non può essere spiegato con un rigido concetto di “origini” o di trapianti fondativi unici. La complessa realtà che è nata proprio da intrecci di componenti disparate, ha alimentato, e ancora alimenta, riferimenti, ancoraggi, rimpianti e nostalgie (hüzün si dice in turco). Tutto ciò pesa sull’autocoscienza nazionale. La memoria e la nostalgia delle antiche conquiste territoriali e degli spostamenti di varie popolazioni – ma anche le perdite seguite al crollo dell’Impero ottomano - sono ancora spesso la base di confronto del “discorso politico” della Turchia. In tal senso, chi si accinge a studiare la politica turca, non può non imbattersi nell’intreccio di questi diversi percorsi e commistioni culturali che, a partire dalla storia della Repubblica di Turchia (che tra poco, nel 2023, compirà un secolo), restituiscono un fitto tessuto di simboli. Per chi poi come me vive tra le due “sponde” di un vecchio impero (romano e bizantino), nata e cresciuta a İstanbul, turca e italiana, con ascendenze, oltre a quelle turche, anche greche e montenegrine, tale intreccio di simboli non può che aumentare il senso di continui trasporti, travasi e traslochi, di perdite e acquisti, assenze e presenze nei margini di un’esperienza che continuamente ridisegna il dentro e il fuori, la distanza e l’appartenenza. Tuttavia, proprio questo modo fluido di vivere si trasforma in un vantaggio cognitivo nel momento in cui, dall’interno e dall’esterno, mi trovo a rileggere i processi politici e culturali che caratterizzano la storia della Turchia. I tratti che si profilano tra le linee bifronti di tale prospettiva non possono, infatti, non delinearsi come un quadro sospeso tra distacco analitico e vissuto personale, tale però da concedersi come spazio problematico e critico di chi dal di fuori indaga sempre e comunque se stesso. Ed è così che, nel tentativo di restituire le dinamiche politiche della moderna Turchia, ho cercato di cogliere quei tratti simbolici che come segni esteriori, esterni e visibili rimandano a processi identitari interiori e profondi. Basandomi sulla mia formazione di archeologa e sociologa ho tentato pertanto di dare spiegazioni di una gamma di questioni e prospettive che vanno dalla stratificazione culturale agli intrecci partitici, al patrimonio museale e archeologico, al sistema educativo, alla propaganda laicista e nazionalista e al rinnovamento islamico. Con l’intento di comporre un quadro più o meno integrato dei processi politici che attraversano l’immaginario della Turchia moderna, ho cercato così di far percepire le configurazioni simboliche entro le quali affondano le proprie radici le ideologie e le dinamiche del potere, le appartenenze e i conflitti sociali. È bene ripetere che la tesi vuole trasmettere la convinzione che, accanto ai grandi eventi storici, culturali e sociali di cui si conserva la memoria, esiste una dimensione simbolica in grado di restituire tratti essenziali, e sintomatici, delle trasformazioni politiche dei paesi. Naturalmente, il discorso che qui si propone è il risultato di una selezione parziale dei problemi incontrati e affrontati nel corso della ricerca. Il materiale raccolto è stato pertanto ordinato secondo un criterio teso a privilegiare soltanto gli aspetti più utili ai fini di una trattazione sicuramente incompleta degli eventi e dei processi che hanno caratterizzato, e che ancora caratterizzano, la vita politica turca. Al centro dello studio, pertanto, si è posta la dimensione simbolica dei processi politici della Repubblica turca, concentrando soprattutto l’attenzione sui “miti” e i “rituali” che hanno configurato e legittimato, e che ora configurano e legittimano, determinati assetti e apparati di potere, la loro narrazione ideologica e il loro strumentario di azione. In altri termini, secondo l’impostazione generale data alla tesi, si è cercato di comprendere l’utilizzo della dimensione simbolica come strumento politico: come fattore di integrazione e consenso, come elemento di costruzione e mantenimento di unità nazionale e di legittimazione delle azioni di governo. Negli ordinamenti repubblicani, come appunto quello della Turchia moderna, l’azione politica non può essere giustificata solamente attraverso la forza, ma ha bisogno del consenso popolare (e di una “guida” capace di orientare il consenso) è ciò, come si è cercato di dimostrare, ha bisogno di una base simbolica. Prima, però, di procedere in questa direzione, è stato necessario ripercorrere, per brevi tratti, il profilo storico, politico e culturale che ha dato luogo all’odierna Turchia. Quindi questa parte che costituisce il caso di studio inizia con una rassegna degli eventi storici, partendo dagli ultimi tempi dell’Impero Ottomano per arrivare ad oggi, senza l’analisi della quale non si può pretendere di capire la situazione attuale. Tutta la tesi tratta le questioni politiche e simboliche del potere nel complesso storico, mitologico e dunque simbolico con la coscienza di sapere che eventi e trasformazioni sociali importanti non nascono dal nulla, ma sono in continuo intreccio con altre dinamiche, oppure sono proprio risultati delle dinamiche di vari tipi di lungo termine. Come si evince dal titolo, questo lavoro si occupa essenzialmente del simbolismo politico visto attraverso la lente delle trasformazioni sociali e pone come specifico caso di studio l’analisi della Repubblica di Turchia, dalla sua fondazione kemalista fino all’attuale governo. Si tratta, detto altrimenti, di uno studio articolato in quattro parti riferibili a due distinte sezioni correlate tra loro: la prima analizza ampliamente la riflessione scientifica sulla dimensione simbolica e le principali correnti di pensiero che ne hanno ricostruito il significato sul piano storico-culturale; la seconda si concentra sul simbolismo politico in generale e ha come focus specifico l’evoluzione di tale fenomeno nella Turchia moderna e contemporanea (da Atatürk a Erdoğan) così come nata a partire dalle rovine dell’Impero ottomano. Come presto vedremo in modo più analitico e dettagliato, in un primo momento si è posta, dunque, attenzione alle principali posizioni teoriche e dottrine tematiche (dalla linguistica all’ermeneutica, dall’antropologia alla psicoanalisi, dalla critica artistica alla sociologia) che hanno indagato la struttura simbolica della condizione umana e la potenza evocativa dei simboli. Si è cercato così di passare in rassegna alcune delle più importanti teorie interpretative nelle loro articolazioni tematiche (le culture dei simboli, la storia delle civiltà e delle religioni, la letteratura, l’arte, gli studi giuridici, politici, mitologici e culturali), seguendo le principali posizioni teoriche del Novecento, da Cassirer a Gadamer, da Schmitt a Simmel, da Weber a Gramsci, da Ortega a Foucault, da Benjamin ad Habermas, da Kantorowicz a Todorov, passando per l’approccio antropologico strutturalista di Lévi-Strauss fino alla psicoanalisi di Freud, Jung e Lacan, dalla lettura simbologica di Baudrillard, Bourdieau e Laclau fino alla semiologia di Barthes e Eco, e sfiorando, altresì, ambienti storici complessi, quali il futurismo e il fascismo. Questa ampia ricognizione prodromica, nella sua presentazione organica di sfondo antropologico e culturale, ha assunto un ruolo fondamentale in funzione degli obiettivi interpretativi dell’intera ricerca. Sulla base di questa ricostruzione è stato, infatti, possibile analizzare, come caso di studio, il simbolismo politico e le trasformazioni sociali in Turchia negli ultimi cento anni, precisamente dalla fondazione della moderna Repubblica turca con Atatürk al governo odierno di Erdoğan. Come si può ben capire, tali processi complessi non potevano essere spiegati sotto l’aspetto del simbolico senza aver prima evidenziato e passato in rassegna, anche se in modo non esaustivo, gli studi sul simbolismo, e senza aver sottolineato l’importanza dei simboli nella nostra vita culturale, politica e sociale. In altri termini, per comprendere sul piano simbolico le dinamiche sociali e politiche della moderna Turchia si è reso necessario estendere lo sguardo ad aspetti culturali più ampi, nella convinzione che, accanto ai grandi eventi storici e sociali di cui si conserva la memoria, esiste una dimensione simbolica in grado di restituire tratti essenziali, e sintomatici, delle trasformazioni politiche dei paesi. Si è scelto, pertanto, di analizzare la sfera politica turca a partire dalla sua dimensione simbolica. Per far questo, però, si è dovuto, in primo luogo, tener conto del vasto complesso di studi che, in modo differente, ha restituito al simbolismo un valore euristico ed esplicativo della condizione umana, per far poi chiarezza su come proprio tale percorso di studi sia utilizzabile nell’analisi dei fenomeni politici.

Simbolismo politico e trasformazione sociale. Un caso di studio: la Repubblica della Turchia dalla fondazione al governo di Erdoğan / Kolasin, Ozgen. - (2021 Jul 26).

Simbolismo politico e trasformazione sociale. Un caso di studio: la Repubblica della Turchia dalla fondazione al governo di Erdoğan

KOLASIN, OZGEN
26/07/2021

Abstract

Come si evince dal titolo, questo lavoro si occupa essenzialmente del simbolismo politico visto attraverso la lente delle trasformazioni sociali e pone come specifico caso di studio l’analisi della Repubblica di Turchia, dalla sua fondazione kemalista fino all’attuale governo. Si tratta, detto altrimenti, di uno studio articolato in quattro parti riferibili a due distinte sezioni correlate tra loro: la prima analizza ampliamente la riflessione scientifica sulla dimensione simbolica e le principali correnti di pensiero che ne hanno ricostruito il significato sul piano storico-culturale; la seconda si concentra sul simbolismo politico in generale e ha come focus specifico l’evoluzione di tale fenomeno nella Turchia moderna e contemporanea (da Atatürk a Erdoğan) così come nata a partire dalle rovine dell’Impero ottomano. Come presto vedremo in modo più analitico e dettagliato, in un primo momento si è posta, dunque, attenzione alle principali posizioni teoriche e dottrine tematiche (dalla linguistica all’ermeneutica, dall’antropologia alla psicoanalisi, dalla critica artistica alla sociologia) che hanno indagato la struttura simbolica della condizione umana e la potenza evocativa dei simboli. Si è cercato così di passare in rassegna alcune delle più importanti teorie interpretative nelle loro articolazioni tematiche (le culture dei simboli, la storia delle civiltà e delle religioni, la letteratura, l’arte, gli studi giuridici, politici, mitologici e culturali), seguendo le principali posizioni teoriche del Novecento, da Cassirer a Gadamer, da Schmitt a Simmel, da Weber a Gramsci, da Ortega a Foucault, da Benjamin ad Habermas, da Kantorowicz a Todorov, passando per l’approccio antropologico strutturalista di Lévi-Strauss fino alla psicoanalisi di Freud, Jung e Lacan, dalla lettura simbologica di Baudrillard, Bourdieau e Laclau fino alla semiologia di Barthes e Eco, e sfiorando, altresì, ambienti storici complessi, quali il futurismo e il fascismo. Questa ampia ricognizione prodromica, nella sua presentazione organica di sfondo antropologico e culturale, ha assunto un ruolo fondamentale in funzione degli obiettivi interpretativi dell’intera ricerca. Sulla base di questa ricostruzione è stato, infatti, possibile analizzare, come caso di studio, il simbolismo politico e le trasformazioni sociali in Turchia negli ultimi cento anni, precisamente dalla fondazione della moderna Repubblica turca con Atatürk al governo odierno di Erdoğan. Come si può ben capire, tali processi complessi non potevano essere spiegati sotto l’aspetto del simbolico senza aver prima evidenziato e passato in rassegna, anche se in modo non esaustivo, gli studi sul simbolismo, e senza aver sottolineato l’importanza dei simboli nella nostra vita culturale, politica e sociale. In altri termini, per comprendere sul piano simbolico le dinamiche sociali e politiche della moderna Turchia si è reso necessario estendere lo sguardo ad aspetti culturali più ampi, nella convinzione che, accanto ai grandi eventi storici e sociali di cui si conserva la memoria, esiste una dimensione simbolica in grado di restituire tratti essenziali, e sintomatici, delle trasformazioni politiche dei paesi. Si è scelto, pertanto, di analizzare la sfera politica turca a partire dalla sua dimensione simbolica. Per far questo, però, si è dovuto, in primo luogo, tener conto del vasto complesso di studi che, in modo differente, ha restituito al simbolismo un valore euristico ed esplicativo della condizione umana, per far poi chiarezza su come proprio tale percorso di studi sia utilizzabile nell’analisi dei fenomeni politici. Nell’interessarsi dei simboli come argomento di studio, infatti, il sapere culturale e la rappresentazione passano per zone oscure e ambivalenti. Le immagini, i miti e i rituali elaborati nel tempo riemergono attraverso le epoche con nuovi significati che spesso riadattano sostrati di senso mutati nel loro valore sociale e politico. Tutto ciò, indubbiamente, solleva numerosi problemi che un lavoro di tesi deve affrontare. Si è deciso così di procedere secondo un ordine che possiamo definire, in senso metaforico, a “imbuto”, dal generale al particolare, cercando poi di adottare, su questo terreno, una prospettiva interdisciplinare in grado di organizzare, attraverso i successivi passaggi, una visione sempre più definita sul piano concettuale e concentrata sul tema ad oggetto. Sulla base di questo criterio si è provveduto a dividere la tesi in quattro parti. La prima parte è stata dedicata alla ricostruzione critica degli ambiti, delle prospettive e delle teorie del simbolico che con più efficacia hanno restituito al simbolo il suo valore gnoseologico, euristico ed esistenziale. Si è cercato così, attraverso il sapere filosofico, psicoanalitico, antropologico, linguistico e semiologico, di presentare il simbolico nel suo aspetto fondamentale ovvero, di comprendere la dimensione simbolica come essenziale alla condizione umana. Dopo questa prima parte fondativa dell’intera impalcatura della tesi, sulla base degli apporti interdisciplinari offerti delle dottrine esaminate, si è passati, nella seconda parte, ad una sociologia dei processi simbolici articolata secondo alcune linee, prospettive e tendenze che hanno fatto della stessa sociologia una vera e propria “scienza” dei simboli. In tal senso si sono gettate le basi metodologiche per la configurazione di una prospettiva sociologica capace di ridare un significato essenziale alla fenomenologia del simbolico. I simboli, infatti, non possono essere studiati in modo soddisfacente in termini quantitativi, né per mezzo di sondaggi o analisi empiriche basate sul calcolo numerico. Ed è proprio per questo che si è cercato di fare appello ad una “sociologia archeologica” in grado di restituire concettualmente alla dimensione simbolica quei tratti semantici, sedimentati nel tempo, che orientano l’agire politico-sociale e strutturano, organizzano e consolidano la coscienza collettiva. È sulla scorta di tali acquisizioni che nella terza parte del lavoro, dedicata più nello specifico al simbolismo politico, si è proceduto ad un’analisi della dimensione simbolica dei processi politici e delle dinamiche e sfere del potere politico. Per comprendere a fondo i tratti specifici di determinate culture politiche, è proprio alle espressioni (e rappresentazioni) simboliche, infatti, che dobbiamo guardare, tenendo a mente che i simboli non sono soltanto semplici strumenti utilizzati dell’élite per manipolare le masse ma anche, e soprattutto, elementi importanti (ed essenziali) di quel complesso di miti e rituali che caratterizzano, nella loro forma e sostanza, i processi politici. La politica, detto altrimenti, come altre dimensioni della vita sociale è, al suo strato più profondo, un processo simbolico. Quale espressione culturale, le sue dinamiche si costituiscono e si sviluppano attraverso una varietà di funzioni simboliche (che contribuiscono a determinare i processi di integrazione, assimilazione, esclusione) e di attività che, attraverso i simboli, definiscono il consenso, il dissenso, l’identità e la legittimazione del potere. I simboli politici, del resto, come gli altri simboli, non sono qualcosa di puramente “irreale” o “accessorio”, ma anche qualcosa che, attraverso una “forza espressiva”, si impone realmente e concretamente alla vita sociale degli uomini. E se ancora oggi si registra uno scarso sviluppo degli studi (soprattutto sociologici) sulla dimensione simbolica della politica, ciò deriva, specialmente, dai metodi empirici in prevalenza usati (e legittimati) nell’ambito delle scienze sociali contemporanee. Proseguendo in tale direzione si è cercato, allora, di cogliere le dinamiche della politica turca moderna attraverso un’indagine del suo laboratorio simbolico, o meglio, di ciò che, soprattutto nel corso di un secolo, ha registrato non solo l’elaborazione (o rielaborazione) di particolari configurazioni simboliche, ma anche di ciò che ha sviluppato una fervida lotta dei simboli (per e contro i simboli). Nella quarta e ultima parte della tesi, pertanto, ci si è occupati finalmente del “caso di studio” che, seppur a conclusione del lavoro, ha giustificato l’intero percorso del lavoro. Si è cercato, infatti, di trattare il “simbolismo politico” nella Turchia moderna attraverso un arco temporale che da Mustafa Kemal Atatürk ha condotto (per quasi un secolo) fino a Recep Tayyip Erdoğan. La società turca, nell’arco di un secolo, ha subito trasformazioni radicali. Si è creata una nuova coscienza culturale e politica nei cittadini e si sono sviluppate inedite relazioni con il mondo. Il cambiamento, oltretutto, è avvenuto in una cornice geopolitica in continua evoluzione, che ha coinvolto il Medioriente e l’area del Mediterraneo. In realtà, è dalla seconda metà del XIX secolo che, sui graduali mutamenti dell’Impero Ottomano, la Turchia ha mosso i suoi primi passi verso il cammino della sua modernizzazione. E così, islamica e laica, parlamentare e democratica, la Turchia ha mostrato incredibili capacità di innovazione e sperimentazione. Nel cuore del mondo islamico sunnita ha dato luogo ad un grande laboratorio politico, sociale, culturale e simbolico; un laboratorio rivoluzionario e senza precedenti per ciò che riguarda quello stesso mondo al quale, per molti secoli, e fino a poco tempo fa, aveva assicurato una stabilità assumendone il ruolo di indiscusso garante. Oggi, in realtà, la Turchia è spesso percepita come un paese alimentato da vicende intricate, da delicati equilibri, ma è anche considerata come un soggetto politico abile che, sulla dissoluzione dell’antico Impero ottomano, si muove ora tra vecchie potenze occidentali ed europee dominanti e nuovi protagonisti mediterranei ed asiatici. Come è noto, la Turchia ha subìto grandi capovolgimenti sociali interni che hanno fatto epoca, e sta raggiungendo, non senza difficoltà, importanti risultati politico-economici a livello mondiale. In tal senso, è riduttivo affermare soltanto che l’attuale Repubblica turca sia una nazione diversa da altri paesi musulmani. È senza dubbio altro. Forse non è la loro pietra di paragone, ma in qualche modo può essere, come in molti hanno sottolineato, la loro fonte di ispirazione. Certo i dati sociali, culturali e politici della Turchia moderna suggeriscono un panorama complesso e di non facile sistemazione e schematizzazione. A fronte delle odierne gigantesche metropoli vi sono estesissime aree rurali; un quarto della popolazione non è sunnita ortodosso ma invece sciita eterodosso; entro la sfera politica laica, confraternite religiose intessono rapporti con il sistema partitico; ingente è l’influenza politica degli imperi finanziari che stanno trasformando la società del Bosforo e l’altopiano anatolico. Infrastrutture moderne convivono con centinaia e centinaia di siti archeologici, moschee, musei e palazzi storici; tra i centri culturali istituzionali e religiosi si elaborano narrazioni e interpretazioni della cultura occidentale ed asiatica; il sistema educativo prosegue sui binari segnati dal nazionalismo laico ed anche sui solchi dalla tradizione islamica; ai simboli religiosi e militari si affiancano gli emblemi della laicità così come i rituali islamici sopravvivono alle cerimonie politiche della Repubblica kemalista. Seppur educata entro gli schemi della dottrina kemalista e della Repubblica laica, la popolazione turca è animata da un forte senso di appartenenza islamica. La società è al 98% musulmana, della quale una grande parte è non praticante e preferisce essere chimata “credente” piuttosto che “religiosa”, di un islam turco laico che è diverso dall’Islam che vediamo in altri paesi musulmani, poi la sua composizione culturale e religiosa è differenziata. Sociologicamente nello Stato turco convivono turchi, curdi, aleviti, cristiani ortodossi, armeni, ebrei e altra gente di diverse nazioni che non contano su una continuità territoriale che possa sostenere nitidamente le loro identità. Entro il quadro delle grandi trasformazioni politiche e culturali del Novecento, la Turchia, nazione di fondamentale importanza nello scacchiere europeo (soprattutto per ciò che riguarda i flussi migratori e gli sviluppi politici in Medioriente), ha attirato lo sguardo del mondo, come forza riformista e rivoluzionaria e come potenza economica capace di convivere con i valori islamisti. Sullo sfondo del “mito” e del “culto” laicista di Mustafa Kemal Atatürk, il “Padre della nazione”, oggi si fa sempre più strada il nuovo “ottomanesimo” di Recep Tayyip Erdoğan. La politica, che infiamma il Paese, si trova, da un lato, un consenso populistico, è oggetto, dall’altro, di discussioni e accese contestazioni. Certo è che la Turchia è una nazione densa e stratificata, portatrice di eredità che si sono sedimentate e intrecciate le une sulle altre; per la sua stessa conformazione, possiede tratti e caratteri multiformi; è ricca di simboli storici pluridimensionali. L’insieme dei suoi attuali caratteri è il risultato di singolari composizioni e ibridazioni. La sua cultura, risultato degli accumuli nella coscienza collettiva plurimillenaria dell’Anatolia e dei popoli turchi dell’Asia centrale, di scambi tra Oriente e Occidente, di flussi impressionanti di popoli e poteri, è nata e si è formata in diversi posti remoti, in ambienti dai segni complessi e dai simboli arcani: una realtà i cui tratti emblematici si sono incrociati in luoghi nevralgici, sono passati per processi accidentati e percorsi tragici. La storia della Turchia è veramente piena di impulsi e slanci che vengono da lontano. Detto altrimenti, l’odierna Turchia è il frutto di fondazioni, distruzioni e innovazioni fra loro complementari. È il risultato di commistioni e stratificazioni che incidono oggi sul tessuto politico, sociale e culturale della nazione. Lo stato attuale delle cose non può essere spiegato con un rigido concetto di “origini” o di trapianti fondativi unici. La complessa realtà che è nata proprio da intrecci di componenti disparate, ha alimentato, e ancora alimenta, riferimenti, ancoraggi, rimpianti e nostalgie (hüzün si dice in turco). Tutto ciò pesa sull’autocoscienza nazionale. La memoria e la nostalgia delle antiche conquiste territoriali e degli spostamenti di varie popolazioni – ma anche le perdite seguite al crollo dell’Impero ottomano - sono ancora spesso la base di confronto del “discorso politico” della Turchia. In tal senso, chi si accinge a studiare la politica turca, non può non imbattersi nell’intreccio di questi diversi percorsi e commistioni culturali che, a partire dalla storia della Repubblica di Turchia (che tra poco, nel 2023, compirà un secolo), restituiscono un fitto tessuto di simboli. Per chi poi come me vive tra le due “sponde” di un vecchio impero (romano e bizantino), nata e cresciuta a İstanbul, turca e italiana, con ascendenze, oltre a quelle turche, anche greche e montenegrine, tale intreccio di simboli non può che aumentare il senso di continui trasporti, travasi e traslochi, di perdite e acquisti, assenze e presenze nei margini di un’esperienza che continuamente ridisegna il dentro e il fuori, la distanza e l’appartenenza. Tuttavia, proprio questo modo fluido di vivere si trasforma in un vantaggio cognitivo nel momento in cui, dall’interno e dall’esterno, mi trovo a rileggere i processi politici e culturali che caratterizzano la storia della Turchia. I tratti che si profilano tra le linee bifronti di tale prospettiva non possono, infatti, non delinearsi come un quadro sospeso tra distacco analitico e vissuto personale, tale però da concedersi come spazio problematico e critico di chi dal di fuori indaga sempre e comunque se stesso. Ed è così che, nel tentativo di restituire le dinamiche politiche della moderna Turchia, ho cercato di cogliere quei tratti simbolici che come segni esteriori, esterni e visibili rimandano a processi identitari interiori e profondi. Basandomi sulla mia formazione di archeologa e sociologa ho tentato pertanto di dare spiegazioni di una gamma di questioni e prospettive che vanno dalla stratificazione culturale agli intrecci partitici, al patrimonio museale e archeologico, al sistema educativo, alla propaganda laicista e nazionalista e al rinnovamento islamico. Con l’intento di comporre un quadro più o meno integrato dei processi politici che attraversano l’immaginario della Turchia moderna, ho cercato così di far percepire le configurazioni simboliche entro le quali affondano le proprie radici le ideologie e le dinamiche del potere, le appartenenze e i conflitti sociali. È bene ripetere che la tesi vuole trasmettere la convinzione che, accanto ai grandi eventi storici, culturali e sociali di cui si conserva la memoria, esiste una dimensione simbolica in grado di restituire tratti essenziali, e sintomatici, delle trasformazioni politiche dei paesi. Naturalmente, il discorso che qui si propone è il risultato di una selezione parziale dei problemi incontrati e affrontati nel corso della ricerca. Il materiale raccolto è stato pertanto ordinato secondo un criterio teso a privilegiare soltanto gli aspetti più utili ai fini di una trattazione sicuramente incompleta degli eventi e dei processi che hanno caratterizzato, e che ancora caratterizzano, la vita politica turca. Al centro dello studio, pertanto, si è posta la dimensione simbolica dei processi politici della Repubblica turca, concentrando soprattutto l’attenzione sui “miti” e i “rituali” che hanno configurato e legittimato, e che ora configurano e legittimano, determinati assetti e apparati di potere, la loro narrazione ideologica e il loro strumentario di azione. In altri termini, secondo l’impostazione generale data alla tesi, si è cercato di comprendere l’utilizzo della dimensione simbolica come strumento politico: come fattore di integrazione e consenso, come elemento di costruzione e mantenimento di unità nazionale e di legittimazione delle azioni di governo. Negli ordinamenti repubblicani, come appunto quello della Turchia moderna, l’azione politica non può essere giustificata solamente attraverso la forza, ma ha bisogno del consenso popolare (e di una “guida” capace di orientare il consenso) è ciò, come si è cercato di dimostrare, ha bisogno di una base simbolica. Prima, però, di procedere in questa direzione, è stato necessario ripercorrere, per brevi tratti, il profilo storico, politico e culturale che ha dato luogo all’odierna Turchia. Quindi questa parte che costituisce il caso di studio inizia con una rassegna degli eventi storici, partendo dagli ultimi tempi dell’Impero Ottomano per arrivare ad oggi, senza l’analisi della quale non si può pretendere di capire la situazione attuale. Tutta la tesi tratta le questioni politiche e simboliche del potere nel complesso storico, mitologico e dunque simbolico con la coscienza di sapere che eventi e trasformazioni sociali importanti non nascono dal nulla, ma sono in continuo intreccio con altre dinamiche, oppure sono proprio risultati delle dinamiche di vari tipi di lungo termine. Come si evince dal titolo, questo lavoro si occupa essenzialmente del simbolismo politico visto attraverso la lente delle trasformazioni sociali e pone come specifico caso di studio l’analisi della Repubblica di Turchia, dalla sua fondazione kemalista fino all’attuale governo. Si tratta, detto altrimenti, di uno studio articolato in quattro parti riferibili a due distinte sezioni correlate tra loro: la prima analizza ampliamente la riflessione scientifica sulla dimensione simbolica e le principali correnti di pensiero che ne hanno ricostruito il significato sul piano storico-culturale; la seconda si concentra sul simbolismo politico in generale e ha come focus specifico l’evoluzione di tale fenomeno nella Turchia moderna e contemporanea (da Atatürk a Erdoğan) così come nata a partire dalle rovine dell’Impero ottomano. Come presto vedremo in modo più analitico e dettagliato, in un primo momento si è posta, dunque, attenzione alle principali posizioni teoriche e dottrine tematiche (dalla linguistica all’ermeneutica, dall’antropologia alla psicoanalisi, dalla critica artistica alla sociologia) che hanno indagato la struttura simbolica della condizione umana e la potenza evocativa dei simboli. Si è cercato così di passare in rassegna alcune delle più importanti teorie interpretative nelle loro articolazioni tematiche (le culture dei simboli, la storia delle civiltà e delle religioni, la letteratura, l’arte, gli studi giuridici, politici, mitologici e culturali), seguendo le principali posizioni teoriche del Novecento, da Cassirer a Gadamer, da Schmitt a Simmel, da Weber a Gramsci, da Ortega a Foucault, da Benjamin ad Habermas, da Kantorowicz a Todorov, passando per l’approccio antropologico strutturalista di Lévi-Strauss fino alla psicoanalisi di Freud, Jung e Lacan, dalla lettura simbologica di Baudrillard, Bourdieau e Laclau fino alla semiologia di Barthes e Eco, e sfiorando, altresì, ambienti storici complessi, quali il futurismo e il fascismo. Questa ampia ricognizione prodromica, nella sua presentazione organica di sfondo antropologico e culturale, ha assunto un ruolo fondamentale in funzione degli obiettivi interpretativi dell’intera ricerca. Sulla base di questa ricostruzione è stato, infatti, possibile analizzare, come caso di studio, il simbolismo politico e le trasformazioni sociali in Turchia negli ultimi cento anni, precisamente dalla fondazione della moderna Repubblica turca con Atatürk al governo odierno di Erdoğan. Come si può ben capire, tali processi complessi non potevano essere spiegati sotto l’aspetto del simbolico senza aver prima evidenziato e passato in rassegna, anche se in modo non esaustivo, gli studi sul simbolismo, e senza aver sottolineato l’importanza dei simboli nella nostra vita culturale, politica e sociale. In altri termini, per comprendere sul piano simbolico le dinamiche sociali e politiche della moderna Turchia si è reso necessario estendere lo sguardo ad aspetti culturali più ampi, nella convinzione che, accanto ai grandi eventi storici e sociali di cui si conserva la memoria, esiste una dimensione simbolica in grado di restituire tratti essenziali, e sintomatici, delle trasformazioni politiche dei paesi. Si è scelto, pertanto, di analizzare la sfera politica turca a partire dalla sua dimensione simbolica. Per far questo, però, si è dovuto, in primo luogo, tener conto del vasto complesso di studi che, in modo differente, ha restituito al simbolismo un valore euristico ed esplicativo della condizione umana, per far poi chiarezza su come proprio tale percorso di studi sia utilizzabile nell’analisi dei fenomeni politici. Nell’interessarsi dei simboli come argomento di studio, infatti, il sapere culturale e la rappresentazione passano per zone oscure e ambivalenti. Le immagini, i miti e i rituali elaborati nel tempo riemergono attraverso le epoche con nuovi significati che spesso riadattano sostrati di senso mutati nel loro valore sociale e politico. Tutto ciò, indubbiamente, solleva numerosi problemi che un lavoro di tesi deve affrontare. Si è deciso così di procedere secondo un ordine che possiamo definire, in senso metaforico, a “imbuto”, dal generale al particolare, cercando poi di adottare, su questo terreno, una prospettiva interdisciplinare in grado di organizzare, attraverso i successivi passaggi, una visione sempre più definita sul piano concettuale e concentrata sul tema ad oggetto. Sulla base di questo criterio si è provveduto a dividere la tesi in quattro parti. La prima parte è stata dedicata alla ricostruzione critica degli ambiti, delle prospettive e delle teorie del simbolico che con più efficacia hanno restituito al simbolo il suo valore gnoseologico, euristico ed esistenziale. Si è cercato così, attraverso il sapere filosofico, psicoanalitico, antropologico, linguistico e semiologico, di presentare il simbolico nel suo aspetto fondamentale ovvero, di comprendere la dimensione simbolica come essenziale alla condizione umana. Dopo questa prima parte fondativa dell’intera impalcatura della tesi, sulla base degli apporti interdisciplinari offerti delle dottrine esaminate, si è passati, nella seconda parte, ad una sociologia dei processi simbolici articolata secondo alcune linee, prospettive e tendenze che hanno fatto della stessa sociologia una vera e propria “scienza” dei simboli. In tal senso si sono gettate le basi metodologiche per la configurazione di una prospettiva sociologica capace di ridare un significato essenziale alla fenomenologia del simbolico. I simboli, infatti, non possono essere studiati in modo soddisfacente in termini quantitativi, né per mezzo di sondaggi o analisi empiriche basate sul calcolo numerico. Ed è proprio per questo che si è cercato di fare appello ad una “sociologia archeologica” in grado di restituire concettualmente alla dimensione simbolica quei tratti semantici, sedimentati nel tempo, che orientano l’agire politico-sociale e strutturano, organizzano e consolidano la coscienza collettiva. È sulla scorta di tali acquisizioni che nella terza parte del lavoro, dedicata più nello specifico al simbolismo politico, si è proceduto ad un’analisi della dimensione simbolica dei processi politici e delle dinamiche e sfere del potere politico. Per comprendere a fondo i tratti specifici di determinate culture politiche, è proprio alle espressioni (e rappresentazioni) simboliche, infatti, che dobbiamo guardare, tenendo a mente che i simboli non sono soltanto semplici strumenti utilizzati dell’élite per manipolare le masse ma anche, e soprattutto, elementi importanti (ed essenziali) di quel complesso di miti e rituali che caratterizzano, nella loro forma e sostanza, i processi politici. La politica, detto altrimenti, come altre dimensioni della vita sociale è, al suo strato più profondo, un processo simbolico. Quale espressione culturale, le sue dinamiche si costituiscono e si sviluppano attraverso una varietà di funzioni simboliche (che contribuiscono a determinare i processi di integrazione, assimilazione, esclusione) e di attività che, attraverso i simboli, definiscono il consenso, il dissenso, l’identità e la legittimazione del potere. I simboli politici, del resto, come gli altri simboli, non sono qualcosa di puramente “irreale” o “accessorio”, ma anche qualcosa che, attraverso una “forza espressiva”, si impone realmente e concretamente alla vita sociale degli uomini. E se ancora oggi si registra uno scarso sviluppo degli studi (soprattutto sociologici) sulla dimensione simbolica della politica, ciò deriva, specialmente, dai metodi empirici in prevalenza usati (e legittimati) nell’ambito delle scienze sociali contemporanee. Proseguendo in tale direzione si è cercato, allora, di cogliere le dinamiche della politica turca moderna attraverso un’indagine del suo laboratorio simbolico, o meglio, di ciò che, soprattutto nel corso di un secolo, ha registrato non solo l’elaborazione (o rielaborazione) di particolari configurazioni simboliche, ma anche di ciò che ha sviluppato una fervida lotta dei simboli (per e contro i simboli). Nella quarta e ultima parte della tesi, pertanto, ci si è occupati finalmente del “caso di studio” che, seppur a conclusione del lavoro, ha giustificato l’intero percorso del lavoro. Si è cercato, infatti, di trattare il “simbolismo politico” nella Turchia moderna attraverso un arco temporale che da Mustafa Kemal Atatürk ha condotto (per quasi un secolo) fino a Recep Tayyip Erdoğan. La società turca, nell’arco di un secolo, ha subito trasformazioni radicali. Si è creata una nuova coscienza culturale e politica nei cittadini e si sono sviluppate inedite relazioni con il mondo. Il cambiamento, oltretutto, è avvenuto in una cornice geopolitica in continua evoluzione, che ha coinvolto il Medioriente e l’area del Mediterraneo. In realtà, è dalla seconda metà del XIX secolo che, sui graduali mutamenti dell’Impero Ottomano, la Turchia ha mosso i suoi primi passi verso il cammino della sua modernizzazione. E così, islamica e laica, parlamentare e democratica, la Turchia ha mostrato incredibili capacità di innovazione e sperimentazione. Nel cuore del mondo islamico sunnita ha dato luogo ad un grande laboratorio politico, sociale, culturale e simbolico; un laboratorio rivoluzionario e senza precedenti per ciò che riguarda quello stesso mondo al quale, per molti secoli, e fino a poco tempo fa, aveva assicurato una stabilità assumendone il ruolo di indiscusso garante. Oggi, in realtà, la Turchia è spesso percepita come un paese alimentato da vicende intricate, da delicati equilibri, ma è anche considerata come un soggetto politico abile che, sulla dissoluzione dell’antico Impero ottomano, si muove ora tra vecchie potenze occidentali ed europee dominanti e nuovi protagonisti mediterranei ed asiatici. Come è noto, la Turchia ha subìto grandi capovolgimenti sociali interni che hanno fatto epoca, e sta raggiungendo, non senza difficoltà, importanti risultati politico-economici a livello mondiale. In tal senso, è riduttivo affermare soltanto che l’attuale Repubblica turca sia una nazione diversa da altri paesi musulmani. È senza dubbio altro. Forse non è la loro pietra di paragone, ma in qualche modo può essere, come in molti hanno sottolineato, la loro fonte di ispirazione. Certo i dati sociali, culturali e politici della Turchia moderna suggeriscono un panorama complesso e di non facile sistemazione e schematizzazione. A fronte delle odierne gigantesche metropoli vi sono estesissime aree rurali; un quarto della popolazione non è sunnita ortodosso ma invece sciita eterodosso; entro la sfera politica laica, confraternite religiose intessono rapporti con il sistema partitico; ingente è l’influenza politica degli imperi finanziari che stanno trasformando la società del Bosforo e l’altopiano anatolico. Infrastrutture moderne convivono con centinaia e centinaia di siti archeologici, moschee, musei e palazzi storici; tra i centri culturali istituzionali e religiosi si elaborano narrazioni e interpretazioni della cultura occidentale ed asiatica; il sistema educativo prosegue sui binari segnati dal nazionalismo laico ed anche sui solchi dalla tradizione islamica; ai simboli religiosi e militari si affiancano gli emblemi della laicità così come i rituali islamici sopravvivono alle cerimonie politiche della Repubblica kemalista. Seppur educata entro gli schemi della dottrina kemalista e della Repubblica laica, la popolazione turca è animata da un forte senso di appartenenza islamica. La società è al 98% musulmana, della quale una grande parte è non praticante e preferisce essere chimata “credente” piuttosto che “religiosa”, di un islam turco laico che è diverso dall’Islam che vediamo in altri paesi musulmani, poi la sua composizione culturale e religiosa è differenziata. Sociologicamente nello Stato turco convivono turchi, curdi, aleviti, cristiani ortodossi, armeni, ebrei e altra gente di diverse nazioni che non contano su una continuità territoriale che possa sostenere nitidamente le loro identità. Entro il quadro delle grandi trasformazioni politiche e culturali del Novecento, la Turchia, nazione di fondamentale importanza nello scacchiere europeo (soprattutto per ciò che riguarda i flussi migratori e gli sviluppi politici in Medioriente), ha attirato lo sguardo del mondo, come forza riformista e rivoluzionaria e come potenza economica capace di convivere con i valori islamisti. Sullo sfondo del “mito” e del “culto” laicista di Mustafa Kemal Atatürk, il “Padre della nazione”, oggi si fa sempre più strada il nuovo “ottomanesimo” di Recep Tayyip Erdoğan. La politica, che infiamma il Paese, si trova, da un lato, un consenso populistico, è oggetto, dall’altro, di discussioni e accese contestazioni. Certo è che la Turchia è una nazione densa e stratificata, portatrice di eredità che si sono sedimentate e intrecciate le une sulle altre; per la sua stessa conformazione, possiede tratti e caratteri multiformi; è ricca di simboli storici pluridimensionali. L’insieme dei suoi attuali caratteri è il risultato di singolari composizioni e ibridazioni. La sua cultura, risultato degli accumuli nella coscienza collettiva plurimillenaria dell’Anatolia e dei popoli turchi dell’Asia centrale, di scambi tra Oriente e Occidente, di flussi impressionanti di popoli e poteri, è nata e si è formata in diversi posti remoti, in ambienti dai segni complessi e dai simboli arcani: una realtà i cui tratti emblematici si sono incrociati in luoghi nevralgici, sono passati per processi accidentati e percorsi tragici. La storia della Turchia è veramente piena di impulsi e slanci che vengono da lontano. Detto altrimenti, l’odierna Turchia è il frutto di fondazioni, distruzioni e innovazioni fra loro complementari. È il risultato di commistioni e stratificazioni che incidono oggi sul tessuto politico, sociale e culturale della nazione. Lo stato attuale delle cose non può essere spiegato con un rigido concetto di “origini” o di trapianti fondativi unici. La complessa realtà che è nata proprio da intrecci di componenti disparate, ha alimentato, e ancora alimenta, riferimenti, ancoraggi, rimpianti e nostalgie (hüzün si dice in turco). Tutto ciò pesa sull’autocoscienza nazionale. La memoria e la nostalgia delle antiche conquiste territoriali e degli spostamenti di varie popolazioni – ma anche le perdite seguite al crollo dell’Impero ottomano - sono ancora spesso la base di confronto del “discorso politico” della Turchia. In tal senso, chi si accinge a studiare la politica turca, non può non imbattersi nell’intreccio di questi diversi percorsi e commistioni culturali che, a partire dalla storia della Repubblica di Turchia (che tra poco, nel 2023, compirà un secolo), restituiscono un fitto tessuto di simboli. Per chi poi come me vive tra le due “sponde” di un vecchio impero (romano e bizantino), nata e cresciuta a İstanbul, turca e italiana, con ascendenze, oltre a quelle turche, anche greche e montenegrine, tale intreccio di simboli non può che aumentare il senso di continui trasporti, travasi e traslochi, di perdite e acquisti, assenze e presenze nei margini di un’esperienza che continuamente ridisegna il dentro e il fuori, la distanza e l’appartenenza. Tuttavia, proprio questo modo fluido di vivere si trasforma in un vantaggio cognitivo nel momento in cui, dall’interno e dall’esterno, mi trovo a rileggere i processi politici e culturali che caratterizzano la storia della Turchia. I tratti che si profilano tra le linee bifronti di tale prospettiva non possono, infatti, non delinearsi come un quadro sospeso tra distacco analitico e vissuto personale, tale però da concedersi come spazio problematico e critico di chi dal di fuori indaga sempre e comunque se stesso. Ed è così che, nel tentativo di restituire le dinamiche politiche della moderna Turchia, ho cercato di cogliere quei tratti simbolici che come segni esteriori, esterni e visibili rimandano a processi identitari interiori e profondi. Basandomi sulla mia formazione di archeologa e sociologa ho tentato pertanto di dare spiegazioni di una gamma di questioni e prospettive che vanno dalla stratificazione culturale agli intrecci partitici, al patrimonio museale e archeologico, al sistema educativo, alla propaganda laicista e nazionalista e al rinnovamento islamico. Con l’intento di comporre un quadro più o meno integrato dei processi politici che attraversano l’immaginario della Turchia moderna, ho cercato così di far percepire le configurazioni simboliche entro le quali affondano le proprie radici le ideologie e le dinamiche del potere, le appartenenze e i conflitti sociali. È bene ripetere che la tesi vuole trasmettere la convinzione che, accanto ai grandi eventi storici, culturali e sociali di cui si conserva la memoria, esiste una dimensione simbolica in grado di restituire tratti essenziali, e sintomatici, delle trasformazioni politiche dei paesi. Naturalmente, il discorso che qui si propone è il risultato di una selezione parziale dei problemi incontrati e affrontati nel corso della ricerca. Il materiale raccolto è stato pertanto ordinato secondo un criterio teso a privilegiare soltanto gli aspetti più utili ai fini di una trattazione sicuramente incompleta degli eventi e dei processi che hanno caratterizzato, e che ancora caratterizzano, la vita politica turca. Al centro dello studio, pertanto, si è posta la dimensione simbolica dei processi politici della Repubblica turca, concentrando soprattutto l’attenzione sui “miti” e i “rituali” che hanno configurato e legittimato, e che ora configurano e legittimano, determinati assetti e apparati di potere, la loro narrazione ideologica e il loro strumentario di azione. In altri termini, secondo l’impostazione generale data alla tesi, si è cercato di comprendere l’utilizzo della dimensione simbolica come strumento politico: come fattore di integrazione e consenso, come elemento di costruzione e mantenimento di unità nazionale e di legittimazione delle azioni di governo. Negli ordinamenti repubblicani, come appunto quello della Turchia moderna, l’azione politica non può essere giustificata solamente attraverso la forza, ma ha bisogno del consenso popolare (e di una “guida” capace di orientare il consenso) è ciò, come si è cercato di dimostrare, ha bisogno di una base simbolica. Prima, però, di procedere in questa direzione, è stato necessario ripercorrere, per brevi tratti, il profilo storico, politico e culturale che ha dato luogo all’odierna Turchia. Quindi questa parte che costituisce il caso di studio inizia con una rassegna degli eventi storici, partendo dagli ultimi tempi dell’Impero Ottomano per arrivare ad oggi, senza l’analisi della quale non si può pretendere di capire la situazione attuale. Tutta la tesi tratta le questioni politiche e simboliche del potere nel complesso storico, mitologico e dunque simbolico con la coscienza di sapere che eventi e trasformazioni sociali importanti non nascono dal nulla, ma sono in continuo intreccio con altre dinamiche, oppure sono proprio risultati delle dinamiche di vari tipi di lungo termine. Come si evince dal titolo, questo lavoro si occupa essenzialmente del simbolismo politico visto attraverso la lente delle trasformazioni sociali e pone come specifico caso di studio l’analisi della Repubblica di Turchia, dalla sua fondazione kemalista fino all’attuale governo. Si tratta, detto altrimenti, di uno studio articolato in quattro parti riferibili a due distinte sezioni correlate tra loro: la prima analizza ampliamente la riflessione scientifica sulla dimensione simbolica e le principali correnti di pensiero che ne hanno ricostruito il significato sul piano storico-culturale; la seconda si concentra sul simbolismo politico in generale e ha come focus specifico l’evoluzione di tale fenomeno nella Turchia moderna e contemporanea (da Atatürk a Erdoğan) così come nata a partire dalle rovine dell’Impero ottomano. Come presto vedremo in modo più analitico e dettagliato, in un primo momento si è posta, dunque, attenzione alle principali posizioni teoriche e dottrine tematiche (dalla linguistica all’ermeneutica, dall’antropologia alla psicoanalisi, dalla critica artistica alla sociologia) che hanno indagato la struttura simbolica della condizione umana e la potenza evocativa dei simboli. Si è cercato così di passare in rassegna alcune delle più importanti teorie interpretative nelle loro articolazioni tematiche (le culture dei simboli, la storia delle civiltà e delle religioni, la letteratura, l’arte, gli studi giuridici, politici, mitologici e culturali), seguendo le principali posizioni teoriche del Novecento, da Cassirer a Gadamer, da Schmitt a Simmel, da Weber a Gramsci, da Ortega a Foucault, da Benjamin ad Habermas, da Kantorowicz a Todorov, passando per l’approccio antropologico strutturalista di Lévi-Strauss fino alla psicoanalisi di Freud, Jung e Lacan, dalla lettura simbologica di Baudrillard, Bourdieau e Laclau fino alla semiologia di Barthes e Eco, e sfiorando, altresì, ambienti storici complessi, quali il futurismo e il fascismo. Questa ampia ricognizione prodromica, nella sua presentazione organica di sfondo antropologico e culturale, ha assunto un ruolo fondamentale in funzione degli obiettivi interpretativi dell’intera ricerca. Sulla base di questa ricostruzione è stato, infatti, possibile analizzare, come caso di studio, il simbolismo politico e le trasformazioni sociali in Turchia negli ultimi cento anni, precisamente dalla fondazione della moderna Repubblica turca con Atatürk al governo odierno di Erdoğan. Come si può ben capire, tali processi complessi non potevano essere spiegati sotto l’aspetto del simbolico senza aver prima evidenziato e passato in rassegna, anche se in modo non esaustivo, gli studi sul simbolismo, e senza aver sottolineato l’importanza dei simboli nella nostra vita culturale, politica e sociale. In altri termini, per comprendere sul piano simbolico le dinamiche sociali e politiche della moderna Turchia si è reso necessario estendere lo sguardo ad aspetti culturali più ampi, nella convinzione che, accanto ai grandi eventi storici e sociali di cui si conserva la memoria, esiste una dimensione simbolica in grado di restituire tratti essenziali, e sintomatici, delle trasformazioni politiche dei paesi. Si è scelto, pertanto, di analizzare la sfera politica turca a partire dalla sua dimensione simbolica. Per far questo, però, si è dovuto, in primo luogo, tener conto del vasto complesso di studi che, in modo differente, ha restituito al simbolismo un valore euristico ed esplicativo della condizione umana, per far poi chiarezza su come proprio tale percorso di studi sia utilizzabile nell’analisi dei fenomeni politici.
26-lug-2021
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1564865
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