Il presente studio intende offrire una via d’accesso alla vexata quaestio concernete la relazione dottrinaria che intercorre tra Lucrezio ed Epicuro a partire dal terreno dell’epistemologia. A scapito dell’esistenza di diversi, piuttosto recenti, studi dedicati all’indagine di singoli aspetti della gnoseologia epicurea in cui viene dedicato spazio alla valutazione del rapporto tra quanto emerge dai versi di Lucrezio e gli scritti superstiti di Epicuro, si avverte la mancanza, nel panorama della letteratura critica, di un lavoro monografico interamente dedicato al vaglio dei molteplici aspetti dell’epistemologia epicurea racchiusi nel De rerum natura (DRN). Lucrezio, ancor più del Maestro, viveva e scriveva in un’epoca in cui i problemi epistemologici erano all’ordine del giorno, e la convinzione che guida la dissertazione è che l’opera del poeta e filosofo latino, pur mantenendosi fedele agli insegnamenti cardine della dottrina epicurea (di cui fu sostenitrice e promotorice), non costituisca affatto una mera traduzione in versi latini dei (primi quindici?) libri del Περὶ φύσεως di Epicuro, quanto, piuttosto, una loro riproposizione almeno in parte critica e meditata, sulla base di un attento e strategico confronto con posizioni, istanze e problematiche filosofiche (dagli Stoici agli Scettici academici, dai Cirenaici alla letteratura paradossografica) che eccedono l’orizzonte (e, dunque, gli scritti) del maestro. Il lavoro risulta diviso in tre macro-parti, ognuna dedicata a un diverso aspetto della gnoseologia sviluppata nell’ambito della scuola di Epicuro. La Parte Prima, “La canonica”, è ripartita, a propria volta, in due capitoli: nel primo (Canonica, cap. I) è posto a tema il corrispettivo lucreziano della αἴσθησις, il sensus, il cui statuto è indagato in particolare a partire dalla questione della polemica antiscettica e dell’attendibilità dei sensi contenuta nel IV libro del DRN; il secondo (Canonica, cap. II) si concentra invece sulle affezioni (uoluptas e dolor), la prolessi (notitia/notities) e gli “slanci” dell’animo (animi iactus/iniectus), criteri rispetto ai quali Lucrezio, pur non abdicando alla maniera peculiarità con cui li concepiva il maestro, non indugia ad andare oltre il dettato dello stesso (come accade per il ruolo epistemologico che uoluptas e dolor vengono a ricoprire indipendentemente dall’intervento dell’animus), allinenadosi non di rado (come nel caso dell’inclusione dell’animi iactus/iniectus tra i criteri del vero) alle posizioni di altri Epicurei seriori. La Parte Seconda, “Il metodo delle molteplici spiegazioni”, si sofferma, da un lato, agli aspetti più teorici del πλεοναχὸς τρόπος (DRN V 526-533, VI 703-711), rispetto ai quali vengono posti in luce gli elementi della ricezione lucreziana del metodo difficilmente sovrapponibili alla formulazione offerta da Epicuro (in Hrdt. 78-80, Pyth., e Nat. XI), tra i quali l’insistenza sul darsi di una sola causa vera tra le molte possibili. Dall’altro, viene considerata la trattazione meteorologica lucreziana relativa allo studio di alcuni fenomeni specifici, allo scopo di apprezzare, al di là della teoria, come il poeta applichi il metodo delle spiegazioni molteplici e al fine di rintracciare eventuali polemiche (specialmente antistoiche) sottese ai suoi versi che non sembra di poter ricavare dai testi del maestro, non perlomeno da quelli di cui ad oggi disponiamo. Fondamentale, in relazione ai fenomeni atmosferici e terrestri indagati nel VI libro, il ruolo (plausibilmente) svolto tanto dalla Meteorologia siriaco-araba (i cui contenuti sono generalmente ascritti a Teofrasto, ma la cui paternità risulta in realtà assai controversa), quanto dalla letteratura paradossografica, il confronto con la quale costringe a chiedersi se Lucrezio non avalli una “estensione” del metodo delle molteplici spiegazioni a una classe di fenomeni di cui Epicuro, forse, non dovette occuparsi. La Parte Terza, “La semiotica”, infine, è riservata a un’indagine delle strategie lucreziane volte a «vedere l’invisibile». In essa si argomenta come il continuo porre dinnanzi allo sguardo del suo lettore l’evidenza fenomenica, che richiama, per certi versi, la tecnica “terapeutica” filodemea del «portare davanti agli occhi» (cfr. τιθέναι πρὸ ὀμμάτων, De ira, col. 1, l. 23 Armstrong-McOsker) richieda, per essere compresa appieno, che si tenga conto tanto delle leggi e dei precetti insegnati dal maestro (spec. in alcuni paragrafi di Hrdt. e Pyth., e in alcune colonne di Nat. XXXIV), quanto degli esiti conseguiti dalle ricerche degli Epicurei seriori in tema di semiotica e inferenza analogica, di cui fonte per eccellenza è il trattato De signis di Filodemo.

Fedeltà senza dogmatismo. L'epistemologia di Lucrezio / Rover, Chiara. - (2021 Jul 21).

Fedeltà senza dogmatismo. L'epistemologia di Lucrezio

ROVER, CHIARA
21/07/2021

Abstract

Il presente studio intende offrire una via d’accesso alla vexata quaestio concernete la relazione dottrinaria che intercorre tra Lucrezio ed Epicuro a partire dal terreno dell’epistemologia. A scapito dell’esistenza di diversi, piuttosto recenti, studi dedicati all’indagine di singoli aspetti della gnoseologia epicurea in cui viene dedicato spazio alla valutazione del rapporto tra quanto emerge dai versi di Lucrezio e gli scritti superstiti di Epicuro, si avverte la mancanza, nel panorama della letteratura critica, di un lavoro monografico interamente dedicato al vaglio dei molteplici aspetti dell’epistemologia epicurea racchiusi nel De rerum natura (DRN). Lucrezio, ancor più del Maestro, viveva e scriveva in un’epoca in cui i problemi epistemologici erano all’ordine del giorno, e la convinzione che guida la dissertazione è che l’opera del poeta e filosofo latino, pur mantenendosi fedele agli insegnamenti cardine della dottrina epicurea (di cui fu sostenitrice e promotorice), non costituisca affatto una mera traduzione in versi latini dei (primi quindici?) libri del Περὶ φύσεως di Epicuro, quanto, piuttosto, una loro riproposizione almeno in parte critica e meditata, sulla base di un attento e strategico confronto con posizioni, istanze e problematiche filosofiche (dagli Stoici agli Scettici academici, dai Cirenaici alla letteratura paradossografica) che eccedono l’orizzonte (e, dunque, gli scritti) del maestro. Il lavoro risulta diviso in tre macro-parti, ognuna dedicata a un diverso aspetto della gnoseologia sviluppata nell’ambito della scuola di Epicuro. La Parte Prima, “La canonica”, è ripartita, a propria volta, in due capitoli: nel primo (Canonica, cap. I) è posto a tema il corrispettivo lucreziano della αἴσθησις, il sensus, il cui statuto è indagato in particolare a partire dalla questione della polemica antiscettica e dell’attendibilità dei sensi contenuta nel IV libro del DRN; il secondo (Canonica, cap. II) si concentra invece sulle affezioni (uoluptas e dolor), la prolessi (notitia/notities) e gli “slanci” dell’animo (animi iactus/iniectus), criteri rispetto ai quali Lucrezio, pur non abdicando alla maniera peculiarità con cui li concepiva il maestro, non indugia ad andare oltre il dettato dello stesso (come accade per il ruolo epistemologico che uoluptas e dolor vengono a ricoprire indipendentemente dall’intervento dell’animus), allinenadosi non di rado (come nel caso dell’inclusione dell’animi iactus/iniectus tra i criteri del vero) alle posizioni di altri Epicurei seriori. La Parte Seconda, “Il metodo delle molteplici spiegazioni”, si sofferma, da un lato, agli aspetti più teorici del πλεοναχὸς τρόπος (DRN V 526-533, VI 703-711), rispetto ai quali vengono posti in luce gli elementi della ricezione lucreziana del metodo difficilmente sovrapponibili alla formulazione offerta da Epicuro (in Hrdt. 78-80, Pyth., e Nat. XI), tra i quali l’insistenza sul darsi di una sola causa vera tra le molte possibili. Dall’altro, viene considerata la trattazione meteorologica lucreziana relativa allo studio di alcuni fenomeni specifici, allo scopo di apprezzare, al di là della teoria, come il poeta applichi il metodo delle spiegazioni molteplici e al fine di rintracciare eventuali polemiche (specialmente antistoiche) sottese ai suoi versi che non sembra di poter ricavare dai testi del maestro, non perlomeno da quelli di cui ad oggi disponiamo. Fondamentale, in relazione ai fenomeni atmosferici e terrestri indagati nel VI libro, il ruolo (plausibilmente) svolto tanto dalla Meteorologia siriaco-araba (i cui contenuti sono generalmente ascritti a Teofrasto, ma la cui paternità risulta in realtà assai controversa), quanto dalla letteratura paradossografica, il confronto con la quale costringe a chiedersi se Lucrezio non avalli una “estensione” del metodo delle molteplici spiegazioni a una classe di fenomeni di cui Epicuro, forse, non dovette occuparsi. La Parte Terza, “La semiotica”, infine, è riservata a un’indagine delle strategie lucreziane volte a «vedere l’invisibile». In essa si argomenta come il continuo porre dinnanzi allo sguardo del suo lettore l’evidenza fenomenica, che richiama, per certi versi, la tecnica “terapeutica” filodemea del «portare davanti agli occhi» (cfr. τιθέναι πρὸ ὀμμάτων, De ira, col. 1, l. 23 Armstrong-McOsker) richieda, per essere compresa appieno, che si tenga conto tanto delle leggi e dei precetti insegnati dal maestro (spec. in alcuni paragrafi di Hrdt. e Pyth., e in alcune colonne di Nat. XXXIV), quanto degli esiti conseguiti dalle ricerche degli Epicurei seriori in tema di semiotica e inferenza analogica, di cui fonte per eccellenza è il trattato De signis di Filodemo.
21-lug-2021
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