Nel 2012 l’artista Sam Durant espone l’opera Scaffold a Kassel, in occasione di Documenta13. Si tratta di una monumentale installazione in legno e ferro che denuncia gli orrori della pena di morte negli U.S.A. L’allora direttrice esecutiva del Walker Art Center di Minneapolis nota l’opera e nel 2017 la fa acquisire per il Giardino delle Sculture del museo. Ma la comunità nativa del Dakota insorge, denunciando Scaffold come offensiva e chiedendone la rimozione. Il museo sorge infatti vicino Mankato, dove nel 1982 vennero condannati e uccisi 38 indiani del Dakota. Ai loro occhi, l’opera di Durant appariva come una dolorosa rievocazione di un trauma, mortificando i superstiti della tragica vicenda. In accordo comune tra l’artista, l’istituzione museale e la comunità nativa, l’opera non solo viene rimossa, ma smantellata: le parti di metallo vengono riciclate e quelle di legno sepolte in un rituale liberatorio. La vicenda apre a un’ampia riflessione, che l’articolo si propone di sviscerare, nell’incontro-scontro tra opera e comunità. Con la sua scultura, Durant si proponeva di raccogliere la memoria collettiva per una denuncia universale, ma non ha tenuto in considerazione la voce delle persone direttamente coinvolte. Complice dell’errore di metodo, il Walker Art Center confidava che l’acquisizione dell’opera e la conseguente esposizione sarebbero servite a diffondere consapevolezza anche degli eventi accaduti nel proprio territorio, non calcolando che da parte della comunità direttamente coinvolta questo sarebbe stato letto soltanto attraverso la lente di un trauma colonialista di cui è ancora vittima. Se le opere hanno una funzione di memoria collettiva, la messa in ascolto delle parti coinvolte può caratterizzare una strategia propositiva nella realizzazione di una nuova grammatica estetica che mette in relazione sguardi e punti di vista. La presa di coscienza della parzialità del pensiero unico formulato dall’artista (maschio, bianco, occidentale), permette di costruire una memoria condivisa, raccontando la Storia con le voci delle vittime. L’articolo mette in relazione il necessario confronto tra protesta sociale e risposta istituzionale, che non può e non deve rimanere sorda alle richieste della comunità. In questo contesto, il museo si pone come piattaforma di dialogo, possibile motore del cambiamento sistemico.

Parlare della comunità, parlare con la comunità: il caso di Scaffold al Walker Art Center di Minneapolis / Riyahi, Yasmin; Neglia, Martina. - In: ROOTS§ROUTES. - ISSN 2039-5426. - (2021).

Parlare della comunità, parlare con la comunità: il caso di Scaffold al Walker Art Center di Minneapolis

Yasmin Riyahi
Co-primo
;
2021

Abstract

Nel 2012 l’artista Sam Durant espone l’opera Scaffold a Kassel, in occasione di Documenta13. Si tratta di una monumentale installazione in legno e ferro che denuncia gli orrori della pena di morte negli U.S.A. L’allora direttrice esecutiva del Walker Art Center di Minneapolis nota l’opera e nel 2017 la fa acquisire per il Giardino delle Sculture del museo. Ma la comunità nativa del Dakota insorge, denunciando Scaffold come offensiva e chiedendone la rimozione. Il museo sorge infatti vicino Mankato, dove nel 1982 vennero condannati e uccisi 38 indiani del Dakota. Ai loro occhi, l’opera di Durant appariva come una dolorosa rievocazione di un trauma, mortificando i superstiti della tragica vicenda. In accordo comune tra l’artista, l’istituzione museale e la comunità nativa, l’opera non solo viene rimossa, ma smantellata: le parti di metallo vengono riciclate e quelle di legno sepolte in un rituale liberatorio. La vicenda apre a un’ampia riflessione, che l’articolo si propone di sviscerare, nell’incontro-scontro tra opera e comunità. Con la sua scultura, Durant si proponeva di raccogliere la memoria collettiva per una denuncia universale, ma non ha tenuto in considerazione la voce delle persone direttamente coinvolte. Complice dell’errore di metodo, il Walker Art Center confidava che l’acquisizione dell’opera e la conseguente esposizione sarebbero servite a diffondere consapevolezza anche degli eventi accaduti nel proprio territorio, non calcolando che da parte della comunità direttamente coinvolta questo sarebbe stato letto soltanto attraverso la lente di un trauma colonialista di cui è ancora vittima. Se le opere hanno una funzione di memoria collettiva, la messa in ascolto delle parti coinvolte può caratterizzare una strategia propositiva nella realizzazione di una nuova grammatica estetica che mette in relazione sguardi e punti di vista. La presa di coscienza della parzialità del pensiero unico formulato dall’artista (maschio, bianco, occidentale), permette di costruire una memoria condivisa, raccontando la Storia con le voci delle vittime. L’articolo mette in relazione il necessario confronto tra protesta sociale e risposta istituzionale, che non può e non deve rimanere sorda alle richieste della comunità. In questo contesto, il museo si pone come piattaforma di dialogo, possibile motore del cambiamento sistemico.
2021
Scaffold; Sam Durant; Documenta; Walker Art Center; Dakota; Arte; Arte pubblica; Scultura; Studi postcoloniali
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Parlare della comunità, parlare con la comunità: il caso di Scaffold al Walker Art Center di Minneapolis / Riyahi, Yasmin; Neglia, Martina. - In: ROOTS§ROUTES. - ISSN 2039-5426. - (2021).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1497801
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