The essay aims to show how Rohrwacher's film presents itself as a work of considerable complexity, stratification of forms born in other times and in other places, surviving images, as Didi-Huberman says in the wake of Warburg, which not only mark the re-emergence of the memory of a vanished past (peasant civilization, the lesson of Italian cinema and the ethical, media dimension of the gesture underlined by Agamben), a past with respect to which we are called to respond to a debt of testimony; but they invite, in a Benjaminian way, to the redemption of this same past and, indeed, to a possible belief. If the "violation" of the very nature of death that cinema for Bazin, becoming an "interdict" for him, still appears as one of the crucial junctions of his thought and that of an entire generation whose passion for reality occurs under the paradigm of war, Rohrwacher's anthropological gaze assigns death a meaning which, not being able to ignore the disappearance and embalming of a world, nevertheless presupposes an opening to a belief, to a life.

Il saggio si propone di mostrare come il film di Rohrwacher si ponga come opera di notevole complessità, stratificazione di forme nate in altri tempi e in altri luoghi, immagini sopravviventi, come dice Didi-Huberman sulla scorta di Warburg, che non segnano solo il riemergere della memoria di un passato scomparso (la civiltà contadina, la lezione del nostro cinema e la dimensione etica, mediale del gesto sottolineata da Agamben), passato rispetto al quale si è chiamati a rispondere a un debito di testimonianza; ma invitano, benjaminianamente, al riscatto di questo stesso passato e, appunto, a una possibile credenza. Se la «violazione» della natura stessa della morte che il cinema per Bazin, divenendo per lui un «interdetto», appare ancora come uno degli snodi cruciali del suo pensiero e di quello di un’intera generazione la cui passione per il reale accade sotto il paradigma della guerra, lo sguardo antropologico di Rohrwache assegna alla morte un senso che, non potendo prescindere dal registrare una scomparsa e l’imbalsamazione di un mondo, presuppone tuttavia un’apertura a una credenza, a una vita.

Non si muore due volte. Lazzaro felice di Alice Rohrwacher / Fanara, Giulia. - (2020), pp. 241-252. (Intervento presentato al convegno La forma cinematografica del reale. Teorie, pratiche, linguaggi: da Bazin a Netflix tenutosi a Palermo).

Non si muore due volte. Lazzaro felice di Alice Rohrwacher

Giulia Fanara
2020

Abstract

The essay aims to show how Rohrwacher's film presents itself as a work of considerable complexity, stratification of forms born in other times and in other places, surviving images, as Didi-Huberman says in the wake of Warburg, which not only mark the re-emergence of the memory of a vanished past (peasant civilization, the lesson of Italian cinema and the ethical, media dimension of the gesture underlined by Agamben), a past with respect to which we are called to respond to a debt of testimony; but they invite, in a Benjaminian way, to the redemption of this same past and, indeed, to a possible belief. If the "violation" of the very nature of death that cinema for Bazin, becoming an "interdict" for him, still appears as one of the crucial junctions of his thought and that of an entire generation whose passion for reality occurs under the paradigm of war, Rohrwacher's anthropological gaze assigns death a meaning which, not being able to ignore the disappearance and embalming of a world, nevertheless presupposes an opening to a belief, to a life.
2020
La forma cinematografica del reale. Teorie, pratiche, linguaggi: da Bazin a Netflix
Il saggio si propone di mostrare come il film di Rohrwacher si ponga come opera di notevole complessità, stratificazione di forme nate in altri tempi e in altri luoghi, immagini sopravviventi, come dice Didi-Huberman sulla scorta di Warburg, che non segnano solo il riemergere della memoria di un passato scomparso (la civiltà contadina, la lezione del nostro cinema e la dimensione etica, mediale del gesto sottolineata da Agamben), passato rispetto al quale si è chiamati a rispondere a un debito di testimonianza; ma invitano, benjaminianamente, al riscatto di questo stesso passato e, appunto, a una possibile credenza. Se la «violazione» della natura stessa della morte che il cinema per Bazin, divenendo per lui un «interdetto», appare ancora come uno degli snodi cruciali del suo pensiero e di quello di un’intera generazione la cui passione per il reale accade sotto il paradigma della guerra, lo sguardo antropologico di Rohrwache assegna alla morte un senso che, non potendo prescindere dal registrare una scomparsa e l’imbalsamazione di un mondo, presuppone tuttavia un’apertura a una credenza, a una vita.
forma cinematografica del reale; sopravvivenza delle immagini; Bazin; Blanchot; Lazzaro felice; Rohrwacher
04 Pubblicazione in atti di convegno::04b Atto di convegno in volume
Non si muore due volte. Lazzaro felice di Alice Rohrwacher / Fanara, Giulia. - (2020), pp. 241-252. (Intervento presentato al convegno La forma cinematografica del reale. Teorie, pratiche, linguaggi: da Bazin a Netflix tenutosi a Palermo).
File allegati a questo prodotto
File Dimensione Formato  
Fanara_Non-si-muore-due-volte_2020.pdf

solo gestori archivio

Note: https://www.unipapress.it/it/book/la-forma-cinematografica-del-reale_274/
Tipologia: Versione editoriale (versione pubblicata con il layout dell'editore)
Licenza: Tutti i diritti riservati (All rights reserved)
Dimensione 1.28 MB
Formato Adobe PDF
1.28 MB Adobe PDF   Contatta l'autore

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1490902
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact