Nel secondo dopoguerra, in Italia i centri urbani delle pianure e delle coste hanno attraversato un periodo di grande sviluppo e attratto la popolazione proveniente dalle aree interne del Paese, alla ricerca di opportunità lavorative e di un miglioramento nella qualità della vita. Questo esodo interno – meno clamoroso di quello che avveniva sempre in quegli anni da Sud a Nord o verso altri Paesi – ha prodotto una profonda trasformazione dei territori e aumentato il divario tra le differenti aree italiane. Individuate a seconda del periodo storico come aree montane, aree svantaggiate, aree rurali, aree marginali, riprendendo una famosa metafora di Manlio Rossi-Doria risalente alla fine degli anni ’50, le aree interne sono l’“osso” del nostro Paese, contrapposto alla “polpa” rappresentata dalle pianure e le coste, i luoghi dell’industria, degli scambi commerciali e degli investimenti di capitale. Senza ossatura un organismo vivente fatica a sostenersi: lo sviluppo dei distretti urbani e produttivi è avvenuto proprio grazie alle risorse provenienti dalle aree interne del Paese, risorse idriche, materie prime, forza lavoro. Tuttavia, contemporaneamente, ne ha provocato il declino. La conformazione fisica tipicamente collinare e montana, un’economia incapace di reggere il confronto con quella delle aree sviluppate e la lontananza dai nuovi centri di offerta di servizi sono alcuni dei fattori che hanno sancito il progressivo abbandono delle zone interne del Paese, con evidenti gravi ripercussioni che vanno dall’accentuarsi del dissesto idrogeologico alla perdita del patrimonio culturale. Il dibattito su questi temi è in corso da alcuni decenni, ma sembra oggi riprendere nuova linfa, anche grazie all’ideazione e attuazione di nuove politiche. Da alcuni anni, su iniziativa del Ministero per la Coesione Territoriale, è infatti attiva la Strategia Nazionale per le Aree Interne, con l’obiettivo di invertire l’attuale tendenza allo spopolamento e supportare la rinascita di questi territori fragili. Alla base della Strategia vi è la volontà di tenere sotto controllo sia la dimensione locale che quella globale, ponendo grande attenzione alle necessità dei singoli Comuni, ma promuovendone l’aggregazione, esaltando l’eterogeneità dei diversi territori, senza escludere gli scambi tra le centrale e periferico. Transdiciplinarietà, e transcalarità pongono fin da subito una evidente analogia con il progetto di paesaggio, sebbene questo non sia esplicitamente richiamato all’interno della Strategia. Scopo della ricerca è, dunque, dimostrare la validità degli strumenti a disposizione della progettazione del paesaggio nell’accompagnare e supportare, nelle diverse situazioni locali, i processi auspicati dalla SNAI. A partire da una ricognizione critica dei fenomeni in atto e dall’analisi della SNAI, la ricerca individua tre temi di paesaggio capaci di dar vita a strategie concrete per le aree interne. Il lavoro è stato sviluppato in tre parti. La prima ricompone il quadro delle riflessioni e delle iniziative succedutesi negli anni a favore delle aree interne, sottolineando i cambiamenti nella percezione delle relative problematiche e negli approcci per fronteggiarle. In particolare sono stati rilevati tre tipi di criticità. La prima riguarda il fatto che, molto spesso, le politiche volte allo sviluppo dei territori, non considerando questi nel loro complesso, hanno favorito l’accentuarsi del divario tra aree interne e aree in via di sviluppo. La seconda fa riferimento ad approcci non ancora capaci di applicare logiche place-based e, quindi, lontani dalle specificità dei luoghi. La terza, che riguarda soprattutto l’ambito della tutela ambientale, consiste nel prevalere di attitudini conservative su strategie tese alla valorizzazione delle risorse e del patrimonio esistente. A partire da alcuni dati e dall’analisi dei fenomeni in atto, la ricerca pone l’attenzione su alcune delle risorse presenti nelle aree interne, considerate i punti di qualità su cui basare le politiche di sviluppo. Questi sono costituiti in particolar modo dalle attività produttive tradizionali, dalle risorse ambientali e naturalistiche, ma anche da un nuovo modo di intendere il rapporto tra uomo e territorio. Parallelamente alla crescente consapevolezza delle problematiche delle aree interne si è andata, dunque, sviluppando una speculazione intellettuale che ne ha via via messo in risalto i valori, capovolgendo il punto di vista che le vuole subordinate alle aree centrali. Certamente, è un capovolgimento che fa leva su fascinazioni poetiche che vedono nelle aree interne un rifugio dal caos della vita contemporanea, ma anche sulla consapevolezza che esse sono una preziosa riserva di valori socio-culturali e ambientali, sempre più rari nei grandi poli urbani. Nella seconda parte del lavoro la ricerca si concentra, dunque, sulla costruzione di un atlante di pratiche, temi e narrazioni, tentando di giungere a un’interpretazione innovativa e aggiornata dell’Italia Interna. Dai festival musicali agli eventi periodici, fino alle forme più costanti di presidio legate a pratiche di ricerca-azione permanente, la tesi si interroga su quali possano essere gli impatti positivi di questi nuovi modi di abitare l’entroterra, ma anche i rischi. Quella che l’atlante propone è una riflessione su stanzialità e mobilità, identità e senso di appartenenza, rapporti codificati e nuove modalità di interazione, una fotografia dei flussi materiali e immateriali rintracciabili nelle aree interne. In tal senso, i tre temi individuati – movimento, rito e gioco – sono funzionali a dimostrare come il paesaggio sia l’infrastruttura attraverso cui generare, rafforzare e accogliere questi flussi. Le strategie di paesaggio proposte a conclusione del lavoro si fondano sulla consapevolezza che la questione delle aree interne richiede un cambio di paradigma. Queste sono territori in divenire, dei quali non può essere trascurata né l’eterogeneità, né il ruolo all’interno degli scambi tra centri e periferie. Sono paesaggi della tradizione e che, tuttavia, hanno più che mai bisogno di respirare contemporaneità. Sono “campi da gioco” dal potenziale sovversivo, proprio perché non ancora imbrigliati nelle regole e nelle logiche speculative dei tessuti urbani. Per sposare pienamente quest’ottica occorre abbandonare l’idea di una natura intoccabile, di un entroterra idilliaco da fruire solo all’interno delle proposte turistiche, e che alla minima fragilità viene, però, abbandonato, dimenticato, escluso dalle politiche di sviluppo. Attuare strategie di paesaggio per le aree interne è l’occasione per interrogarsi su come tornare ad abitare i territori difficili, come supportare le piccole comunità resistenti e alimentarne di nuove, reinterpretando la stanzialità in chiave contemporanea e facendo leva sulle pratiche di innovazione sociale di cui il nostro Paese si dimostra oggi ricchissimo.

Il progetto di paesaggio per le aree interne / Guerriero, Ettore. - (2019 Feb 27).

Il progetto di paesaggio per le aree interne

GUERRIERO, ETTORE
27/02/2019

Abstract

Nel secondo dopoguerra, in Italia i centri urbani delle pianure e delle coste hanno attraversato un periodo di grande sviluppo e attratto la popolazione proveniente dalle aree interne del Paese, alla ricerca di opportunità lavorative e di un miglioramento nella qualità della vita. Questo esodo interno – meno clamoroso di quello che avveniva sempre in quegli anni da Sud a Nord o verso altri Paesi – ha prodotto una profonda trasformazione dei territori e aumentato il divario tra le differenti aree italiane. Individuate a seconda del periodo storico come aree montane, aree svantaggiate, aree rurali, aree marginali, riprendendo una famosa metafora di Manlio Rossi-Doria risalente alla fine degli anni ’50, le aree interne sono l’“osso” del nostro Paese, contrapposto alla “polpa” rappresentata dalle pianure e le coste, i luoghi dell’industria, degli scambi commerciali e degli investimenti di capitale. Senza ossatura un organismo vivente fatica a sostenersi: lo sviluppo dei distretti urbani e produttivi è avvenuto proprio grazie alle risorse provenienti dalle aree interne del Paese, risorse idriche, materie prime, forza lavoro. Tuttavia, contemporaneamente, ne ha provocato il declino. La conformazione fisica tipicamente collinare e montana, un’economia incapace di reggere il confronto con quella delle aree sviluppate e la lontananza dai nuovi centri di offerta di servizi sono alcuni dei fattori che hanno sancito il progressivo abbandono delle zone interne del Paese, con evidenti gravi ripercussioni che vanno dall’accentuarsi del dissesto idrogeologico alla perdita del patrimonio culturale. Il dibattito su questi temi è in corso da alcuni decenni, ma sembra oggi riprendere nuova linfa, anche grazie all’ideazione e attuazione di nuove politiche. Da alcuni anni, su iniziativa del Ministero per la Coesione Territoriale, è infatti attiva la Strategia Nazionale per le Aree Interne, con l’obiettivo di invertire l’attuale tendenza allo spopolamento e supportare la rinascita di questi territori fragili. Alla base della Strategia vi è la volontà di tenere sotto controllo sia la dimensione locale che quella globale, ponendo grande attenzione alle necessità dei singoli Comuni, ma promuovendone l’aggregazione, esaltando l’eterogeneità dei diversi territori, senza escludere gli scambi tra le centrale e periferico. Transdiciplinarietà, e transcalarità pongono fin da subito una evidente analogia con il progetto di paesaggio, sebbene questo non sia esplicitamente richiamato all’interno della Strategia. Scopo della ricerca è, dunque, dimostrare la validità degli strumenti a disposizione della progettazione del paesaggio nell’accompagnare e supportare, nelle diverse situazioni locali, i processi auspicati dalla SNAI. A partire da una ricognizione critica dei fenomeni in atto e dall’analisi della SNAI, la ricerca individua tre temi di paesaggio capaci di dar vita a strategie concrete per le aree interne. Il lavoro è stato sviluppato in tre parti. La prima ricompone il quadro delle riflessioni e delle iniziative succedutesi negli anni a favore delle aree interne, sottolineando i cambiamenti nella percezione delle relative problematiche e negli approcci per fronteggiarle. In particolare sono stati rilevati tre tipi di criticità. La prima riguarda il fatto che, molto spesso, le politiche volte allo sviluppo dei territori, non considerando questi nel loro complesso, hanno favorito l’accentuarsi del divario tra aree interne e aree in via di sviluppo. La seconda fa riferimento ad approcci non ancora capaci di applicare logiche place-based e, quindi, lontani dalle specificità dei luoghi. La terza, che riguarda soprattutto l’ambito della tutela ambientale, consiste nel prevalere di attitudini conservative su strategie tese alla valorizzazione delle risorse e del patrimonio esistente. A partire da alcuni dati e dall’analisi dei fenomeni in atto, la ricerca pone l’attenzione su alcune delle risorse presenti nelle aree interne, considerate i punti di qualità su cui basare le politiche di sviluppo. Questi sono costituiti in particolar modo dalle attività produttive tradizionali, dalle risorse ambientali e naturalistiche, ma anche da un nuovo modo di intendere il rapporto tra uomo e territorio. Parallelamente alla crescente consapevolezza delle problematiche delle aree interne si è andata, dunque, sviluppando una speculazione intellettuale che ne ha via via messo in risalto i valori, capovolgendo il punto di vista che le vuole subordinate alle aree centrali. Certamente, è un capovolgimento che fa leva su fascinazioni poetiche che vedono nelle aree interne un rifugio dal caos della vita contemporanea, ma anche sulla consapevolezza che esse sono una preziosa riserva di valori socio-culturali e ambientali, sempre più rari nei grandi poli urbani. Nella seconda parte del lavoro la ricerca si concentra, dunque, sulla costruzione di un atlante di pratiche, temi e narrazioni, tentando di giungere a un’interpretazione innovativa e aggiornata dell’Italia Interna. Dai festival musicali agli eventi periodici, fino alle forme più costanti di presidio legate a pratiche di ricerca-azione permanente, la tesi si interroga su quali possano essere gli impatti positivi di questi nuovi modi di abitare l’entroterra, ma anche i rischi. Quella che l’atlante propone è una riflessione su stanzialità e mobilità, identità e senso di appartenenza, rapporti codificati e nuove modalità di interazione, una fotografia dei flussi materiali e immateriali rintracciabili nelle aree interne. In tal senso, i tre temi individuati – movimento, rito e gioco – sono funzionali a dimostrare come il paesaggio sia l’infrastruttura attraverso cui generare, rafforzare e accogliere questi flussi. Le strategie di paesaggio proposte a conclusione del lavoro si fondano sulla consapevolezza che la questione delle aree interne richiede un cambio di paradigma. Queste sono territori in divenire, dei quali non può essere trascurata né l’eterogeneità, né il ruolo all’interno degli scambi tra centri e periferie. Sono paesaggi della tradizione e che, tuttavia, hanno più che mai bisogno di respirare contemporaneità. Sono “campi da gioco” dal potenziale sovversivo, proprio perché non ancora imbrigliati nelle regole e nelle logiche speculative dei tessuti urbani. Per sposare pienamente quest’ottica occorre abbandonare l’idea di una natura intoccabile, di un entroterra idilliaco da fruire solo all’interno delle proposte turistiche, e che alla minima fragilità viene, però, abbandonato, dimenticato, escluso dalle politiche di sviluppo. Attuare strategie di paesaggio per le aree interne è l’occasione per interrogarsi su come tornare ad abitare i territori difficili, come supportare le piccole comunità resistenti e alimentarne di nuove, reinterpretando la stanzialità in chiave contemporanea e facendo leva sulle pratiche di innovazione sociale di cui il nostro Paese si dimostra oggi ricchissimo.
27-feb-2019
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