Sin dagli anni Sessanta per Giulio Paolini la dimensione teatrale dell'opera si è rivelata centrale all'interno del suo percorso artistico, affondando le sue radici nell’adesione all’Arte Povera, caratterizzata dalla ricerca di un punto di contatto tra arte e vita, sovente sconfinante in aspetti teatrali. Nella produzione dell’artista genovese, l’aspetto teatrale si afferma con particolare forza a partire dagli anni Ottanta quando, maggiormente, le sue opere e gli allestimenti si dirigono verso la ricerca di una dimensione pura dello spazio scenico, di un'essenza metafisica ed eterea. In questo modo, l'opera si annuncia costantemente all'occhio dello spettatore e, tesa verso un compimento impossibile, instaura un clima di incessante attesa. Caratteristica tipica anche del teatro stesso, ciò che si manifesta in questi lavori è la pura dimensione dell'hic et nunc. In questa tipologia di opere Paolini riflette sui concetti di opera e di teatro, cercando silenziosi ma esplicativi punti di congiunzione, riflettendo in particolare sull'elemento sipario, che annuncia la visione in quanto spazio tra lo sguardo, lo spettatore e la scena. L'essenza del teatro e dell'opera d'arte si intrecciano così in virtù della loro comune caratteristica di essere soglia, luogo deputato a contenere tutte le rappresentazioni possibili. L’incontro con la scena è stato dunque fondamentale per lo sviluppo della dimensione teatrale di Paolini, per la quale egli ha realizzato sin dal 1969 numerose scenografie. In questo frangente, particolarmente significativa si è rivelata la collaborazione con il regista Carlo Quartucci, con cui l'artista ha instaurato un lungo e proficuo rapporto creativo tra il 1970 e il 1989. Opere come Platea (1975-1984), Comédie italienne (1984-1991) e Scene di conversazione (1979-1983) sono pienamente comprensibili solo se associate ai relativi spettacoli teatrali, dai quali essi traggono lo slancio capace di farle sviluppare ed evolvere negli anni, istituendo tra opera d'arte e teatro una sorta di inesauribile moto metamorfico circolare. Altri lavori, invece, come l'incipitiale Disegno geometrico (1960), ma anche Apoteosi di Omero, Hortus clausus (1981) o L'autore? Un attore! (1986) custodiscono un'aura teatrale, una specie di profonda eco che ne determina la natura e il più profondo significato, come se arte della scena e arte visiva fossero fatti di un'unica, inscindibile sostanza. Hortus clausus, ad esempio, propone la figura dell'osservatore e mette in scena il meccanismo visivo attraverso l'uso di funi elastiche che partono dall'occhio di una figura seicentesca e vanno a toccare varie tele disposte in terra, le stesse che Paolini utilizza nella scenografia di Pentesilea / Kleist, sei frammenti, che ne misurano lo spazio, riportandoci anche alla prima opera Disegno geometrico, e incrociano l'idea di visione dell'artista, dello spettatore e dell’opera, unendo concettualmente quest’ultima con lo spettacolo teatrale. Attraverso l’analisi di un nucleo di scenografie teatrali realizzate da Giulio Paolini per gli spettacoli diretti da Carlo Quartucci, il contributo intende indagare da un lato la natura della collaborazione scenica tra l’artista e il regista e, dall’altro, l’influenza che questa ha esercitato sullo sviluppo della sua produzione, alla ricerca di richiami e punti di contatto capaci di fornire inedite indicazioni per una sua più profonda comprensione.
'Scene di conversazione' tra Giulio Paolini e Carlo Quartucci: dalla collaborazione sulla scena alla teatralità dell'opera / de Pinto, Livia. - In: CRITICA D'ARTE. - ISSN 0011-1511. - 5-6, gennaio-giugno 2020:Nona serie(2020), pp. 99-112.
'Scene di conversazione' tra Giulio Paolini e Carlo Quartucci: dalla collaborazione sulla scena alla teatralità dell'opera
de Pinto, Livia
2020
Abstract
Sin dagli anni Sessanta per Giulio Paolini la dimensione teatrale dell'opera si è rivelata centrale all'interno del suo percorso artistico, affondando le sue radici nell’adesione all’Arte Povera, caratterizzata dalla ricerca di un punto di contatto tra arte e vita, sovente sconfinante in aspetti teatrali. Nella produzione dell’artista genovese, l’aspetto teatrale si afferma con particolare forza a partire dagli anni Ottanta quando, maggiormente, le sue opere e gli allestimenti si dirigono verso la ricerca di una dimensione pura dello spazio scenico, di un'essenza metafisica ed eterea. In questo modo, l'opera si annuncia costantemente all'occhio dello spettatore e, tesa verso un compimento impossibile, instaura un clima di incessante attesa. Caratteristica tipica anche del teatro stesso, ciò che si manifesta in questi lavori è la pura dimensione dell'hic et nunc. In questa tipologia di opere Paolini riflette sui concetti di opera e di teatro, cercando silenziosi ma esplicativi punti di congiunzione, riflettendo in particolare sull'elemento sipario, che annuncia la visione in quanto spazio tra lo sguardo, lo spettatore e la scena. L'essenza del teatro e dell'opera d'arte si intrecciano così in virtù della loro comune caratteristica di essere soglia, luogo deputato a contenere tutte le rappresentazioni possibili. L’incontro con la scena è stato dunque fondamentale per lo sviluppo della dimensione teatrale di Paolini, per la quale egli ha realizzato sin dal 1969 numerose scenografie. In questo frangente, particolarmente significativa si è rivelata la collaborazione con il regista Carlo Quartucci, con cui l'artista ha instaurato un lungo e proficuo rapporto creativo tra il 1970 e il 1989. Opere come Platea (1975-1984), Comédie italienne (1984-1991) e Scene di conversazione (1979-1983) sono pienamente comprensibili solo se associate ai relativi spettacoli teatrali, dai quali essi traggono lo slancio capace di farle sviluppare ed evolvere negli anni, istituendo tra opera d'arte e teatro una sorta di inesauribile moto metamorfico circolare. Altri lavori, invece, come l'incipitiale Disegno geometrico (1960), ma anche Apoteosi di Omero, Hortus clausus (1981) o L'autore? Un attore! (1986) custodiscono un'aura teatrale, una specie di profonda eco che ne determina la natura e il più profondo significato, come se arte della scena e arte visiva fossero fatti di un'unica, inscindibile sostanza. Hortus clausus, ad esempio, propone la figura dell'osservatore e mette in scena il meccanismo visivo attraverso l'uso di funi elastiche che partono dall'occhio di una figura seicentesca e vanno a toccare varie tele disposte in terra, le stesse che Paolini utilizza nella scenografia di Pentesilea / Kleist, sei frammenti, che ne misurano lo spazio, riportandoci anche alla prima opera Disegno geometrico, e incrociano l'idea di visione dell'artista, dello spettatore e dell’opera, unendo concettualmente quest’ultima con lo spettacolo teatrale. Attraverso l’analisi di un nucleo di scenografie teatrali realizzate da Giulio Paolini per gli spettacoli diretti da Carlo Quartucci, il contributo intende indagare da un lato la natura della collaborazione scenica tra l’artista e il regista e, dall’altro, l’influenza che questa ha esercitato sullo sviluppo della sua produzione, alla ricerca di richiami e punti di contatto capaci di fornire inedite indicazioni per una sua più profonda comprensione.File | Dimensione | Formato | |
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