Nel processo che conduce alla realizzazione del fatto architettonico, è il cliente a proporre all’architetto il programma di una nuova costruzione: la relazione tra questi ruoli era già stata descritta da Filarete nei termini di un soggetto fertile - l’architetto - la cui possibilità di generare l’opera rimaneva latente - improduttiva - sino al momento in cui veniva fecondata dall’attiva iniziativa di un altro soggetto, il committente. Il contributo esplora l’intreccio tra domanda e risposta nel progetto, ovvero del gioco di interdipendenza tra le volontà e gli interessi di chi esprime la richiesta e quelli di chi elabora la risposta. Non è affatto un caso che l’espressione di Louis Kahn “Una buona domanda ha più valore della più brillante delle risposte” sia collimante con l’assioma del “Problema ben posto” che Le Corbusier indicava come presupposto necessario per l’opera che intendeva ambire alla validità. Entrambe sono il segnale di un atteggiamento volto a fondare l’ipotesi progettuale come teorema in risposta ad una domanda di partenza, che non è però assunta come data e immodificabile, ma che viene completata e rimodulata - con la responsabilità di un’operazione arbitraria - affinché possa considerarsi “ben posta”. Lo scritto si sofferma nell’analizzare la propensione sviluppata da numerosi architetti a definire per conto proprio, appunto, una domanda seconda che viene affiancata - in modo non sempre palese - alla domanda prima che si è ricevuta, ovvero l’atteggiamento che Alejandro de la Sota riassumeva con la frase “dar liebre por gato”: dare attraverso il progetto qualcosa di più di quello che era stato inizialmente richiesto.
Dare più di quanto viene chiesto. Il progetto tra domande prime e domande seconde / Farris, Amanzio. - (2018), pp. 12-15. (Intervento presentato al convegno Atti del VI Forum di ProArch Società scientifica nazionale del progetto. La domanda di architettura. Le risposte del progetto tenutosi a Roma, Italia).
Dare più di quanto viene chiesto. Il progetto tra domande prime e domande seconde
Amanzio Farris
2018
Abstract
Nel processo che conduce alla realizzazione del fatto architettonico, è il cliente a proporre all’architetto il programma di una nuova costruzione: la relazione tra questi ruoli era già stata descritta da Filarete nei termini di un soggetto fertile - l’architetto - la cui possibilità di generare l’opera rimaneva latente - improduttiva - sino al momento in cui veniva fecondata dall’attiva iniziativa di un altro soggetto, il committente. Il contributo esplora l’intreccio tra domanda e risposta nel progetto, ovvero del gioco di interdipendenza tra le volontà e gli interessi di chi esprime la richiesta e quelli di chi elabora la risposta. Non è affatto un caso che l’espressione di Louis Kahn “Una buona domanda ha più valore della più brillante delle risposte” sia collimante con l’assioma del “Problema ben posto” che Le Corbusier indicava come presupposto necessario per l’opera che intendeva ambire alla validità. Entrambe sono il segnale di un atteggiamento volto a fondare l’ipotesi progettuale come teorema in risposta ad una domanda di partenza, che non è però assunta come data e immodificabile, ma che viene completata e rimodulata - con la responsabilità di un’operazione arbitraria - affinché possa considerarsi “ben posta”. Lo scritto si sofferma nell’analizzare la propensione sviluppata da numerosi architetti a definire per conto proprio, appunto, una domanda seconda che viene affiancata - in modo non sempre palese - alla domanda prima che si è ricevuta, ovvero l’atteggiamento che Alejandro de la Sota riassumeva con la frase “dar liebre por gato”: dare attraverso il progetto qualcosa di più di quello che era stato inizialmente richiesto.File | Dimensione | Formato | |
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