«My work is a matter of fundamental sounds», aveva dichiarato Samuel Beckett al regista Alan Schneider in una lettera del 1957. Nella sua opera, lo scrittore irlandese ha ripensato lo stream of consciousness joyciano (esemplato sulla scorta della lezione di matrice orale del Freud dell’Interpretazione dei sogni) in un più peculiare stream of perceptions (secondo la definizione di Gabriele Frasca) atto a tradurre più fedelmente ciò che risuona nella mente umana. A partire dalla “svolta mediale” degli anni Cinquanta, Beckett iniziò a sperimentare radio, cinema e televisione, destinando particolare attenzione ai due media “domestici”, i più congeniali alla rielaborazione di problematiche già affrontate a teatro e che, grazie alle soluzioni trovate in questi nuovi contesti, arricchiranno influenzandole le sperimentazioni legate all’oralità nella progettazione delle sue opere drammaturgiche successive. Oggetto precipuo dell’intervento sarà mostrare (in ottica diacronica e intratestuale) come l’impiego e la pratica di mezzi espressivi differenti – partendo dalla prosa (L’Innommable, Comment c’est) ma con sviluppi decisivi nella radio (All That Fall, Embers, Cascando) e nella televisione (Eh Joe, Ghost Trio) – l’esperienza teatrale di Beckett (Actes sans paroles I et II, Krapp’s Last Tape, Play, Not I, Quoi où) si sia raffinata al punto da consentire allo scrittore irlandese di elaborare la propria opera come «a matter of fundamental sounds» nella quale progressivamente la dimensione visiva (che tanto caratterizzò la struttura e l’ideazione stessa dei suoi lavori giovanili) abbia ceduto il passo a quella puramente acustica, rendendo la vocalità impersonale e neutra evocata sul palco il comune denominatore umano.
The Familiar Chamber. La scena vocale di Samuel Beckett / Gennaro, Tommaso. - (2018), pp. 90-100. (Intervento presentato al convegno Lingua orale e parola scenica. Risorsa e testimonianza tenutosi a Pavia).
The Familiar Chamber. La scena vocale di Samuel Beckett
Tommaso Gennaro
2018
Abstract
«My work is a matter of fundamental sounds», aveva dichiarato Samuel Beckett al regista Alan Schneider in una lettera del 1957. Nella sua opera, lo scrittore irlandese ha ripensato lo stream of consciousness joyciano (esemplato sulla scorta della lezione di matrice orale del Freud dell’Interpretazione dei sogni) in un più peculiare stream of perceptions (secondo la definizione di Gabriele Frasca) atto a tradurre più fedelmente ciò che risuona nella mente umana. A partire dalla “svolta mediale” degli anni Cinquanta, Beckett iniziò a sperimentare radio, cinema e televisione, destinando particolare attenzione ai due media “domestici”, i più congeniali alla rielaborazione di problematiche già affrontate a teatro e che, grazie alle soluzioni trovate in questi nuovi contesti, arricchiranno influenzandole le sperimentazioni legate all’oralità nella progettazione delle sue opere drammaturgiche successive. Oggetto precipuo dell’intervento sarà mostrare (in ottica diacronica e intratestuale) come l’impiego e la pratica di mezzi espressivi differenti – partendo dalla prosa (L’Innommable, Comment c’est) ma con sviluppi decisivi nella radio (All That Fall, Embers, Cascando) e nella televisione (Eh Joe, Ghost Trio) – l’esperienza teatrale di Beckett (Actes sans paroles I et II, Krapp’s Last Tape, Play, Not I, Quoi où) si sia raffinata al punto da consentire allo scrittore irlandese di elaborare la propria opera come «a matter of fundamental sounds» nella quale progressivamente la dimensione visiva (che tanto caratterizzò la struttura e l’ideazione stessa dei suoi lavori giovanili) abbia ceduto il passo a quella puramente acustica, rendendo la vocalità impersonale e neutra evocata sul palco il comune denominatore umano.File | Dimensione | Formato | |
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