L’espressione ‘uso pubblico della storia’ designa tutte quelle pratiche di utilizzo della storia a fini non esclusivamente scientifici. Ricadono dunque nell’uso pubblico della storia, come afferma Nicola Gallerano, «non solo i mezzi di comunicazione di massa, ciascuno per giunta con una sua specificità (…), ma anche le arti e la letteratura; i luoghi come la scuola, i musei storici, i monumenti e gli spazi urbani”». Nessuna narrazione pubblica, anche se costruita con le migliori intenzioni, si sottrae al rischio della deformazione prospettica operata dal presente: ogni progetto, si può dire, porta con sé un potenziale di mistificazione e travisamento che passa attraverso le scelte dell’architetto e, molto spesso, anche del committente. È forse per evitare di incorrere in questo inganno che preferiamo oggi annegare in un’ipertrofia della coscienza critica, che sfocia però nell’impedimento all’azione progettuale? Se è così, quali sono le possibili vie di uscita da questa condizione di stallo?
La storia merita di avere una funzione pubblica / Raitano, Manuela. - (2019), pp. 90-93. (Intervento presentato al convegno Il progetto di architettura come intersezione di saperi. Per una nozione rinnovata di Patrimonio tenutosi a Napoli, Università Federico II).
La storia merita di avere una funzione pubblica
Manuela Raitano
2019
Abstract
L’espressione ‘uso pubblico della storia’ designa tutte quelle pratiche di utilizzo della storia a fini non esclusivamente scientifici. Ricadono dunque nell’uso pubblico della storia, come afferma Nicola Gallerano, «non solo i mezzi di comunicazione di massa, ciascuno per giunta con una sua specificità (…), ma anche le arti e la letteratura; i luoghi come la scuola, i musei storici, i monumenti e gli spazi urbani”». Nessuna narrazione pubblica, anche se costruita con le migliori intenzioni, si sottrae al rischio della deformazione prospettica operata dal presente: ogni progetto, si può dire, porta con sé un potenziale di mistificazione e travisamento che passa attraverso le scelte dell’architetto e, molto spesso, anche del committente. È forse per evitare di incorrere in questo inganno che preferiamo oggi annegare in un’ipertrofia della coscienza critica, che sfocia però nell’impedimento all’azione progettuale? Se è così, quali sono le possibili vie di uscita da questa condizione di stallo?File | Dimensione | Formato | |
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