In connessione con i recenti orientamenti della storiografia internazionale, sempre più attenti al nesso scienza-imperialismo, questo lavoro prende in esame i meccanismi di formazione, nell’Italia liberale e durante il regime fascista, della conoscenza medica sulle malattie tropicali: un settore del sapere medico sviluppatosi a fine ottocento sulla base delle proposte teoriche di Patrick Manson, sollecitato dalle scoperte della batteriologia di Louis Pasteur e Robert Koch e dagli avanzamenti della parassitologia. L’intento del lavoro è indagare le connessioni che intercorrono tra le esigenze di governo dei territori d’oltremare e lo strutturarsi di questo nuovo settore del sapere medico, non solo delineando i poli di sviluppo della disciplina, le reti (locali e globali) che hanno contribuito alla loro formazione, ma mettendo in evidenza l’effetto di riconfigurazione dello spazio (“scientifico”, geografico) che la nozione di “tropicale”, fatta propria dalla medicina di fine XIX sec., porta con sé. Attraverso l’esame dei caratteri della sanità bellica delle campagne di conquista coloniali - in particolare del conflitto italo-turco e della guerra d’Etiopia - lo studio si interroga sulla relazione fra dimensione strutturale e forme congiunturali di sviluppo dei saperi medici, collocando le trasformazioni conosciute dalla sanità di guerra in colonia nel più ampio quadro dei processi di modernizzazione e specializzazione dell’istituzione militare, senza dimenticare gli effetti di discontinuità introdotti nella pratica medica dalla Grande Guerra. Guardando alla scienza come luogo di sedimentazione, oltreché di produzione, di idee e stereotipi razziali, e prestando attenzione alle dinamiche di circolazione dei saperi, il lavoro prende infine in esame le rappresentazioni che la letteratura medica offre sulla fisiologia e sui meccanismi funzionali dell’organismo ai “tropici” (quello del colono e quello del colonizzato), facendo emergere come la relazione tra organismo e ambiente - cioè tra europeo e il nuovo spazio di conquista e tra "indigeno" e il proprio ambiente di vita - costituisca un nodo simbolico attorno a cui si addensano le concezioni con cui la medicina si troverà ad affrontare il problema della diversità del vivente. A preoccupare i medici sia in età liberale, come in epoca fascista, è infatti la questione dell' "acclimatazione", dell’adattamento cioè del bianco al nuovo ambiente tropicale: un tema che offre ai clinici un vero e proprio strumento di lettura degli stati patologici dell’organismo al tempo dell’espansione coloniale otto-novecentesca; non l’organismo “statico” - anatomico, dell’anatomia comparata - ma l’organismo fisiologico, “in trasformazione” nello spazio ridisegnato dall’imperialismo europeo.

Clima, razza, colonizzazione: nascita e sviluppo della medicina tropicale in Italia (fine XIX sec. - metà XX sec.) / Bonelli, Costanza. - (2020 Feb 10).

Clima, razza, colonizzazione: nascita e sviluppo della medicina tropicale in Italia (fine XIX sec. - metà XX sec.)

BONELLI, COSTANZA
10/02/2020

Abstract

In connessione con i recenti orientamenti della storiografia internazionale, sempre più attenti al nesso scienza-imperialismo, questo lavoro prende in esame i meccanismi di formazione, nell’Italia liberale e durante il regime fascista, della conoscenza medica sulle malattie tropicali: un settore del sapere medico sviluppatosi a fine ottocento sulla base delle proposte teoriche di Patrick Manson, sollecitato dalle scoperte della batteriologia di Louis Pasteur e Robert Koch e dagli avanzamenti della parassitologia. L’intento del lavoro è indagare le connessioni che intercorrono tra le esigenze di governo dei territori d’oltremare e lo strutturarsi di questo nuovo settore del sapere medico, non solo delineando i poli di sviluppo della disciplina, le reti (locali e globali) che hanno contribuito alla loro formazione, ma mettendo in evidenza l’effetto di riconfigurazione dello spazio (“scientifico”, geografico) che la nozione di “tropicale”, fatta propria dalla medicina di fine XIX sec., porta con sé. Attraverso l’esame dei caratteri della sanità bellica delle campagne di conquista coloniali - in particolare del conflitto italo-turco e della guerra d’Etiopia - lo studio si interroga sulla relazione fra dimensione strutturale e forme congiunturali di sviluppo dei saperi medici, collocando le trasformazioni conosciute dalla sanità di guerra in colonia nel più ampio quadro dei processi di modernizzazione e specializzazione dell’istituzione militare, senza dimenticare gli effetti di discontinuità introdotti nella pratica medica dalla Grande Guerra. Guardando alla scienza come luogo di sedimentazione, oltreché di produzione, di idee e stereotipi razziali, e prestando attenzione alle dinamiche di circolazione dei saperi, il lavoro prende infine in esame le rappresentazioni che la letteratura medica offre sulla fisiologia e sui meccanismi funzionali dell’organismo ai “tropici” (quello del colono e quello del colonizzato), facendo emergere come la relazione tra organismo e ambiente - cioè tra europeo e il nuovo spazio di conquista e tra "indigeno" e il proprio ambiente di vita - costituisca un nodo simbolico attorno a cui si addensano le concezioni con cui la medicina si troverà ad affrontare il problema della diversità del vivente. A preoccupare i medici sia in età liberale, come in epoca fascista, è infatti la questione dell' "acclimatazione", dell’adattamento cioè del bianco al nuovo ambiente tropicale: un tema che offre ai clinici un vero e proprio strumento di lettura degli stati patologici dell’organismo al tempo dell’espansione coloniale otto-novecentesca; non l’organismo “statico” - anatomico, dell’anatomia comparata - ma l’organismo fisiologico, “in trasformazione” nello spazio ridisegnato dall’imperialismo europeo.
10-feb-2020
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1408620
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