How does the use of new medias and social networks transform the daily life of theatres and acting companies and their relationship with the public? The Web and Facebook have become almost an inevitable meeting point for all those interested in the performing arts: artists and cultural organizations, operators, theatre enthusiasts or “simple” theatre-goers. In Italy, the most fertile grounds of the theater landscape is constituted by small and medium groups and non-profit theater companies that, already being conditioned by a not very dynamic culture market, now are suffering from the economic crisis and the cuts to public funding. This article rises from a research that has investigated the organizational life of twelve theatre companies regularly inhabiting the web and the on-line activities of thirteen public theatres; particularly, it illustrates the concrete transformations provoked by the new on-line interactions in the daily work of cultural enterprises.

Il teatro e gli spettacoli dal vivo di danza e di musica (insieme agli eventi sportivi, alle mostre e ai siti archeologici) rappresentano, nella piramide dei consumi culturali degli italiani, i settori cosiddetti di nicchia. Infatti, nonostante il passaggio di millennio sia avvenuto all’insegna di un’onda lunga di espansione dei consumi outdoor, sia nella domanda (Morcellini 2005) che nell’offerta (De Biase 2008), le arti performative risultano comunque da anni confinate sotto la soglia del 30%. Per la precisione le ultime indagini Istat (2009), che rilevano la partecipazione degli intervistati almeno una volta all’anno ai vari tipi di intrattenimento, danno il teatro a quota 20,7%, seguito a ruota dagli spettacoli musicali (19,9%); i concerti di musica classica sono il fanalino di coda dell’intera graduatoria, unica forma di intrattenimento che non riesce a raggiungere il traguardo di un decimo della popolazione (9,9%). C’è inoltre da considerare che nell’ultimo biennio, anche per effetto della crisi economica, pure il trend positivo sembra essersi invertito di segno. Le cause della marginalità di questo settore sono molteplici. Sicuramente c’è il confronto inevitabile e faticoso con un fronte, quello dei consumi mediali, che sulla stessa scena gioca avvantaggiato da continue iniezioni di novità e di mediamorfosi, in termini sia di strumenti tecnologici che di format. In secondo luogo, il teatro, la danza e la musica classica pagano di fronte al grande pubblico lo scotto di linguaggi non immediatamente accessibili, che, in assenza di politiche di istruzione e di percorsi formativi adeguati, diventano vere e proprie barriere per ampie fasce della popolazione. Alcune responsabilità sono poi imputate alla Pubblica Amministrazione, che in questo ambito svolge funzioni di indirizzo e gestionali di primo piano: in particolare, sono state indicate come criticità serie la prassi dei finanziamenti a pioggia, una cultura della valutazione ancora debole, l’assenza di logiche organizzative, la scarsa capacità di attrarre investimenti privati (De Biase 2008). Se le difficoltà di pubblico del teatro e dello spettacolo affondano le radici in problemi vecchi e complessi, il dibattito sollevato di recente dall’annuncio dell’attuale governo di tagli radicali al Fus - Fondo Unico per lo Spettacolo ha caricato la questione di una nuova, imprevista urgenza. Il nodo della discussione infatti è scivolato tanto rapidamente quanto bruscamente dal piano della sostenibilità economica del settore e dei fondi pubblici che questo assorbe (dovrebbe/non dovrebbe assorbire) a quello, molto più profondo e vischioso, del valore sociale delle opere e delle attività che esso produce. In pratica, si è arrivati a mettere in discussione la funzione civile e dunque il valore di bene pubblico del teatro e dello spettacolo – la provocazione più forte è stata senza dubbio quella lanciata da Baricco su Repubblica (2009) – appellandosi all’incapacità del sistema culturale del nostro paese di raggiungere intere fasce della popolazione. Tralasciando il problema di quelle che debbano essere le conseguenze politiche della questione (argomento che ovviamente non è di pertinenza di questo lavoro), il nostro contributo si interroga invece sulle possibilità di apertura a nuovi pubblici che il web può offrire al teatro e alle altre arti performative in questione. Le reti e le relazioni create con e su Internet possono trasformarsi in un’opportunità concreta per quella fetta eterogenea del mondo della cultura costituita da teatri e associazioni di danza, musica e spettacolo? I social network e le comunità on line possono incentivare una crescita in termini quantitativi e qualitativi del pubblico delle rappresentazioni dal vivo e delle arti performative, che spesso fondano la propria esistenza proprio sull’idea e sul sentimento di comunità? Nell’altra grande sfera che costituisce il settore della cultura, ovvero quella dei consumi mediali, l’avvento del web ha innescato in pochi anni processi di trasformazione profonda dei pubblici di diversi prodotti e pratiche mediali: Internet infatti non solo ha offerto agli individui la possibilità di esperire nuove modalità di essere e di agire on line, ma, secondo una regola ben nota agli studiosi (Bolter e Grusin 2000), ha riplasmato anche molte delle relazioni che le persone intrattengono con gli altri media. In alcuni casi l’assorbimento nel web di attività “preesistenti” sta avvenendo a scapito dei media più vecchi (uno degli esempi più eclatanti è forse quello della carta stampata per il giornalismo), in altri i circuiti virtuosi delle comunità virtuali sembrano invece rivitalizzare, trasformandolo, il consumo di altri prodotti. Si pensi alla produzione di immagini, foto e video, che le vetrine del web e i siti dedicati hanno fatto esplodere; o alle nuove pratiche di fandom sviluppatesi con la diffusione delle comunità on line. Tra l’altro, proprio dagli studi sui fan e sulle loro nuove pratiche nell’epoca dei media digitali sono scaturite negli ultimi anni alcune delle piste più interessanti sull’evoluzione dei concetti di pubblico e di audience (Andò 2007, Livingstone 2007). Se analoghi fenomeni si riscontrano anche per il pubblico delle discipline artistiche dal vivo, ovvero se i social network possono diventare luoghi e canali di promozione degli eventi di teatro e di spettacolo, è appunto la curiosità che muove il lavoro qui presentato. Nel progetto di ricerca gli obiettivi appena illustrati sono stati tradotti in una domanda più circoscritta e operativa: i soggetti produttori di cultura dal vivo (teatro, danza ed eventi) che hanno deciso di investire nelle tecnologie digitali, attivando servizi on line e frequentando regolarmente i social network, ricavano dei benefici concreti da questo impegno, in termini in primo luogo di pubblico, ma anche di capitale sociale e culturale in senso più ampio (nuovi contatti, nuove esperienze, nuove competenze)? La ricerca si configura come un’esplorazione, un viaggio nella vita di una decina di enti culturali pionieri nell’utilizzo delle tecnologie di comunicazione digitali e nell’attivazione di nuovi servizi on line per gli associati e per il pubblico. Il campione non pretende di essere rappresentativo. Da una breve panoramica sul settore il solo requisito dell’uso regolare del sito e dei social network è sufficiente a fare delle organizzazioni selezionate appunto delle pioniere, almeno nel panorama italiano del non profit. L’intenzione di chi scrive è piuttosto quella di portare alla luce da queste esperienze tracce, cioè indicazioni ed evidenze empiriche, delle opportunità di crescita che possono derivare in questo settore da investimenti sul web 2.0.

SOS cultura. I nuovi media salveranno il teatro e le arti dal vivo? / Peruzzi, Gaia. - In: STUDI CULTURALI. - ISSN 1824-369X. - STAMPA. - 3:3/2010(2010), pp. 451-465. (Intervento presentato al convegno Convegno Pic-Ais "Le reti socievoli. Fare ricerca sul/nel web sociale" tenutosi a Urbino (IT) nel 27 novembre 2009) [10.1405/33560].

SOS cultura. I nuovi media salveranno il teatro e le arti dal vivo?

PERUZZI, GAIA
2010

Abstract

How does the use of new medias and social networks transform the daily life of theatres and acting companies and their relationship with the public? The Web and Facebook have become almost an inevitable meeting point for all those interested in the performing arts: artists and cultural organizations, operators, theatre enthusiasts or “simple” theatre-goers. In Italy, the most fertile grounds of the theater landscape is constituted by small and medium groups and non-profit theater companies that, already being conditioned by a not very dynamic culture market, now are suffering from the economic crisis and the cuts to public funding. This article rises from a research that has investigated the organizational life of twelve theatre companies regularly inhabiting the web and the on-line activities of thirteen public theatres; particularly, it illustrates the concrete transformations provoked by the new on-line interactions in the daily work of cultural enterprises.
2010
Il teatro e gli spettacoli dal vivo di danza e di musica (insieme agli eventi sportivi, alle mostre e ai siti archeologici) rappresentano, nella piramide dei consumi culturali degli italiani, i settori cosiddetti di nicchia. Infatti, nonostante il passaggio di millennio sia avvenuto all’insegna di un’onda lunga di espansione dei consumi outdoor, sia nella domanda (Morcellini 2005) che nell’offerta (De Biase 2008), le arti performative risultano comunque da anni confinate sotto la soglia del 30%. Per la precisione le ultime indagini Istat (2009), che rilevano la partecipazione degli intervistati almeno una volta all’anno ai vari tipi di intrattenimento, danno il teatro a quota 20,7%, seguito a ruota dagli spettacoli musicali (19,9%); i concerti di musica classica sono il fanalino di coda dell’intera graduatoria, unica forma di intrattenimento che non riesce a raggiungere il traguardo di un decimo della popolazione (9,9%). C’è inoltre da considerare che nell’ultimo biennio, anche per effetto della crisi economica, pure il trend positivo sembra essersi invertito di segno. Le cause della marginalità di questo settore sono molteplici. Sicuramente c’è il confronto inevitabile e faticoso con un fronte, quello dei consumi mediali, che sulla stessa scena gioca avvantaggiato da continue iniezioni di novità e di mediamorfosi, in termini sia di strumenti tecnologici che di format. In secondo luogo, il teatro, la danza e la musica classica pagano di fronte al grande pubblico lo scotto di linguaggi non immediatamente accessibili, che, in assenza di politiche di istruzione e di percorsi formativi adeguati, diventano vere e proprie barriere per ampie fasce della popolazione. Alcune responsabilità sono poi imputate alla Pubblica Amministrazione, che in questo ambito svolge funzioni di indirizzo e gestionali di primo piano: in particolare, sono state indicate come criticità serie la prassi dei finanziamenti a pioggia, una cultura della valutazione ancora debole, l’assenza di logiche organizzative, la scarsa capacità di attrarre investimenti privati (De Biase 2008). Se le difficoltà di pubblico del teatro e dello spettacolo affondano le radici in problemi vecchi e complessi, il dibattito sollevato di recente dall’annuncio dell’attuale governo di tagli radicali al Fus - Fondo Unico per lo Spettacolo ha caricato la questione di una nuova, imprevista urgenza. Il nodo della discussione infatti è scivolato tanto rapidamente quanto bruscamente dal piano della sostenibilità economica del settore e dei fondi pubblici che questo assorbe (dovrebbe/non dovrebbe assorbire) a quello, molto più profondo e vischioso, del valore sociale delle opere e delle attività che esso produce. In pratica, si è arrivati a mettere in discussione la funzione civile e dunque il valore di bene pubblico del teatro e dello spettacolo – la provocazione più forte è stata senza dubbio quella lanciata da Baricco su Repubblica (2009) – appellandosi all’incapacità del sistema culturale del nostro paese di raggiungere intere fasce della popolazione. Tralasciando il problema di quelle che debbano essere le conseguenze politiche della questione (argomento che ovviamente non è di pertinenza di questo lavoro), il nostro contributo si interroga invece sulle possibilità di apertura a nuovi pubblici che il web può offrire al teatro e alle altre arti performative in questione. Le reti e le relazioni create con e su Internet possono trasformarsi in un’opportunità concreta per quella fetta eterogenea del mondo della cultura costituita da teatri e associazioni di danza, musica e spettacolo? I social network e le comunità on line possono incentivare una crescita in termini quantitativi e qualitativi del pubblico delle rappresentazioni dal vivo e delle arti performative, che spesso fondano la propria esistenza proprio sull’idea e sul sentimento di comunità? Nell’altra grande sfera che costituisce il settore della cultura, ovvero quella dei consumi mediali, l’avvento del web ha innescato in pochi anni processi di trasformazione profonda dei pubblici di diversi prodotti e pratiche mediali: Internet infatti non solo ha offerto agli individui la possibilità di esperire nuove modalità di essere e di agire on line, ma, secondo una regola ben nota agli studiosi (Bolter e Grusin 2000), ha riplasmato anche molte delle relazioni che le persone intrattengono con gli altri media. In alcuni casi l’assorbimento nel web di attività “preesistenti” sta avvenendo a scapito dei media più vecchi (uno degli esempi più eclatanti è forse quello della carta stampata per il giornalismo), in altri i circuiti virtuosi delle comunità virtuali sembrano invece rivitalizzare, trasformandolo, il consumo di altri prodotti. Si pensi alla produzione di immagini, foto e video, che le vetrine del web e i siti dedicati hanno fatto esplodere; o alle nuove pratiche di fandom sviluppatesi con la diffusione delle comunità on line. Tra l’altro, proprio dagli studi sui fan e sulle loro nuove pratiche nell’epoca dei media digitali sono scaturite negli ultimi anni alcune delle piste più interessanti sull’evoluzione dei concetti di pubblico e di audience (Andò 2007, Livingstone 2007). Se analoghi fenomeni si riscontrano anche per il pubblico delle discipline artistiche dal vivo, ovvero se i social network possono diventare luoghi e canali di promozione degli eventi di teatro e di spettacolo, è appunto la curiosità che muove il lavoro qui presentato. Nel progetto di ricerca gli obiettivi appena illustrati sono stati tradotti in una domanda più circoscritta e operativa: i soggetti produttori di cultura dal vivo (teatro, danza ed eventi) che hanno deciso di investire nelle tecnologie digitali, attivando servizi on line e frequentando regolarmente i social network, ricavano dei benefici concreti da questo impegno, in termini in primo luogo di pubblico, ma anche di capitale sociale e culturale in senso più ampio (nuovi contatti, nuove esperienze, nuove competenze)? La ricerca si configura come un’esplorazione, un viaggio nella vita di una decina di enti culturali pionieri nell’utilizzo delle tecnologie di comunicazione digitali e nell’attivazione di nuovi servizi on line per gli associati e per il pubblico. Il campione non pretende di essere rappresentativo. Da una breve panoramica sul settore il solo requisito dell’uso regolare del sito e dei social network è sufficiente a fare delle organizzazioni selezionate appunto delle pioniere, almeno nel panorama italiano del non profit. L’intenzione di chi scrive è piuttosto quella di portare alla luce da queste esperienze tracce, cioè indicazioni ed evidenze empiriche, delle opportunità di crescita che possono derivare in questo settore da investimenti sul web 2.0.
organizzazioni; media digitali; nuovi media; teatro; comunicazione; arte; pubblico; cultura; organizzazione
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
SOS cultura. I nuovi media salveranno il teatro e le arti dal vivo? / Peruzzi, Gaia. - In: STUDI CULTURALI. - ISSN 1824-369X. - STAMPA. - 3:3/2010(2010), pp. 451-465. (Intervento presentato al convegno Convegno Pic-Ais "Le reti socievoli. Fare ricerca sul/nel web sociale" tenutosi a Urbino (IT) nel 27 novembre 2009) [10.1405/33560].
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