Le ‘gare artistiche’ sono le forme più diffuse con cui vengono progettati i grandi edifici del nuovo regno d’Italia e restaurati i monumenti del passato rimasti incompiuti. Queste consentono di scegliere un buon progetto ma soprattutto sollecitano l’attenzione del pubblico, della stampa, degli esperti e dell’uomo qualunque verso le problematiche delle arti, dell’architettura della cura dei monumenti. Il concorso, in tal modo, da vecchia pratica accademica rompe i confini delle mura scolastiche e si apre alla dimensione educativa dei cittadini, incrementando i dibattiti sulla funzione unificante della cultura, dello “stile nazionale” e sulla “questione restauro”. Camillo Boito vive questa temperie culturale sia in modo diretto come accademico, sia nella duplice figura di concorrente e membro delle commissioni di concorso. Le contraddizioni che caratterizzano l’incontro tra “l’antico e il nuovo” si palesano in lui in un dialogo continuo che è di confronto, ma anche di scontro e si rivolgono parimenti al patrimonio del passato nella sua oggettiva realtà storica e manifestano attraverso il bisogno di coniugare le esigenze di ammodernamento con quelle della conservazione tanto e al suo contesto, aprendo i primi spiragli alla considerazione dell’ambiente all’interno del campo disciplinare del restauro. Egli da restauratore avverte la difficoltà di un confronto diretto con il passato, sente l’esigenza di riconoscere la distanza che separa ciò che è accaduto da ciò che oggi è cogliendo il “dove” dell’antico, misurandolo e percependone i confini. In ciò risiede la definizione del canone della “distinguibilità” che sarà un punto fondamentale del suo pensiero; una distinguibilità che è insieme conservazione del presente e aggiunta e che nell’ottica di una cultura idealista, alla quale Boito non risulta estraneo, richiede ad ogni ulteriore inserzione sulla preesistenza il manifestarsi come opera del “genio creatore”. In questa prospettiva il rapporto “antico–nuovo” nel progetto di restauro, non diversamente da quanto accade per la formazione della linguistica architettonica contemporanea, si scioglie non attraverso il ricorso all’imitazione degli stilemi esistenti, ma nella ricerca di una composizione modernamente intesa che si muova oltre l’eclettismo, con un atteggiamento fondamentalmente volto al reinveramento e alla semplificazione delle forme antiche. Per analizzare questi aspetti del pensiero e dell’azione boitiana si è fatto ricorso allo studio di due importanti concorsi d’architettura avviati sul finire del XIX secolo: quello per la realizzazione dell’Emanuelion e quello per il restauro del Duomo fiorentino. L’uno si apre con la “questione dello stile nazionale” che è la ragione prima di ogni diatriba, ma ha sullo sfondo le problematiche del risanamento della città storica e del rispetto degli elementi che ne determinano i tratti caratteristici. Nell’altro la ricerca del localismo nella definizione del linguaggio architettonico regionale lascia emergere con pienezza le conflittualità proprie dell’integrazione e quelle della distinzione delle parti aggiunte all’esistente. Così il monumento al re Vittorio viene scelto a seguito di due ‘gare’, di lunghe discussioni interne al parlamento e con una infinita serie di relazioni della commissione; un lavorio fine che Boito racconta in “Questioni pratiche di belle arti” attraverso un ampio resoconto, nel quale è descritta, con toni equilibrati quanto lievemente faceti, la scalata del monumento al colle cittadino. Non diversamente da quanto accade per il Vittoriano, anche la realizzazione della facciata di Santa Maria del Fiore è accompagnata da dibattiti e polemiche. Già dai primi anni 40 dell’Ottocento rinasce l’interesse per quest’opera, ma per vederne l’esecuzione bisognerà aspettare il 1887 e il compimento di tre concorsi, ognuno dei quali è presieduto da commissioni formate dai Principi delle Accademie italiane, da figure di storici, critici e architetti di risalto internazionale come Gottfried Semper ed Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc. Capire le ragioni per le quali delle forme architettoniche del Vittoriano derivino da modelli antichi, oppure quanto per il progetto della facciata del duomo fiorentino siano stati importanti i riferimenti medioevali o rinascimentali non è tra gli obiettivi di questo studio. Qui, piuttosto, si è cercato di comprendere quali siano state le modalità in cui nell’Italia di fine Ottocento si promuove la produzione artistica e si tende a coniugare il nuovo con l’antico, nel momento in cui anche per opera di Camillo Boito si vanno precisando i termini del restauro inteso come lettura filologica dell’esistente e si va definendo la figura del’architetto come strumento addensante dei saperi e delle arti.

Il contribuito di Boito nelle gare artistiche per le grandi opere del regno d'Italia e il dibattito antico nuovo / Vitiello, Maria. - 2:(2017), pp. 479-498. (Intervento presentato al convegno Camillo Boito moderno tenutosi a Milano).

Il contribuito di Boito nelle gare artistiche per le grandi opere del regno d'Italia e il dibattito antico nuovo

Vitiello, Maria
Primo
2017

Abstract

Le ‘gare artistiche’ sono le forme più diffuse con cui vengono progettati i grandi edifici del nuovo regno d’Italia e restaurati i monumenti del passato rimasti incompiuti. Queste consentono di scegliere un buon progetto ma soprattutto sollecitano l’attenzione del pubblico, della stampa, degli esperti e dell’uomo qualunque verso le problematiche delle arti, dell’architettura della cura dei monumenti. Il concorso, in tal modo, da vecchia pratica accademica rompe i confini delle mura scolastiche e si apre alla dimensione educativa dei cittadini, incrementando i dibattiti sulla funzione unificante della cultura, dello “stile nazionale” e sulla “questione restauro”. Camillo Boito vive questa temperie culturale sia in modo diretto come accademico, sia nella duplice figura di concorrente e membro delle commissioni di concorso. Le contraddizioni che caratterizzano l’incontro tra “l’antico e il nuovo” si palesano in lui in un dialogo continuo che è di confronto, ma anche di scontro e si rivolgono parimenti al patrimonio del passato nella sua oggettiva realtà storica e manifestano attraverso il bisogno di coniugare le esigenze di ammodernamento con quelle della conservazione tanto e al suo contesto, aprendo i primi spiragli alla considerazione dell’ambiente all’interno del campo disciplinare del restauro. Egli da restauratore avverte la difficoltà di un confronto diretto con il passato, sente l’esigenza di riconoscere la distanza che separa ciò che è accaduto da ciò che oggi è cogliendo il “dove” dell’antico, misurandolo e percependone i confini. In ciò risiede la definizione del canone della “distinguibilità” che sarà un punto fondamentale del suo pensiero; una distinguibilità che è insieme conservazione del presente e aggiunta e che nell’ottica di una cultura idealista, alla quale Boito non risulta estraneo, richiede ad ogni ulteriore inserzione sulla preesistenza il manifestarsi come opera del “genio creatore”. In questa prospettiva il rapporto “antico–nuovo” nel progetto di restauro, non diversamente da quanto accade per la formazione della linguistica architettonica contemporanea, si scioglie non attraverso il ricorso all’imitazione degli stilemi esistenti, ma nella ricerca di una composizione modernamente intesa che si muova oltre l’eclettismo, con un atteggiamento fondamentalmente volto al reinveramento e alla semplificazione delle forme antiche. Per analizzare questi aspetti del pensiero e dell’azione boitiana si è fatto ricorso allo studio di due importanti concorsi d’architettura avviati sul finire del XIX secolo: quello per la realizzazione dell’Emanuelion e quello per il restauro del Duomo fiorentino. L’uno si apre con la “questione dello stile nazionale” che è la ragione prima di ogni diatriba, ma ha sullo sfondo le problematiche del risanamento della città storica e del rispetto degli elementi che ne determinano i tratti caratteristici. Nell’altro la ricerca del localismo nella definizione del linguaggio architettonico regionale lascia emergere con pienezza le conflittualità proprie dell’integrazione e quelle della distinzione delle parti aggiunte all’esistente. Così il monumento al re Vittorio viene scelto a seguito di due ‘gare’, di lunghe discussioni interne al parlamento e con una infinita serie di relazioni della commissione; un lavorio fine che Boito racconta in “Questioni pratiche di belle arti” attraverso un ampio resoconto, nel quale è descritta, con toni equilibrati quanto lievemente faceti, la scalata del monumento al colle cittadino. Non diversamente da quanto accade per il Vittoriano, anche la realizzazione della facciata di Santa Maria del Fiore è accompagnata da dibattiti e polemiche. Già dai primi anni 40 dell’Ottocento rinasce l’interesse per quest’opera, ma per vederne l’esecuzione bisognerà aspettare il 1887 e il compimento di tre concorsi, ognuno dei quali è presieduto da commissioni formate dai Principi delle Accademie italiane, da figure di storici, critici e architetti di risalto internazionale come Gottfried Semper ed Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc. Capire le ragioni per le quali delle forme architettoniche del Vittoriano derivino da modelli antichi, oppure quanto per il progetto della facciata del duomo fiorentino siano stati importanti i riferimenti medioevali o rinascimentali non è tra gli obiettivi di questo studio. Qui, piuttosto, si è cercato di comprendere quali siano state le modalità in cui nell’Italia di fine Ottocento si promuove la produzione artistica e si tende a coniugare il nuovo con l’antico, nel momento in cui anche per opera di Camillo Boito si vanno precisando i termini del restauro inteso come lettura filologica dell’esistente e si va definendo la figura del’architetto come strumento addensante dei saperi e delle arti.
2017
Camillo Boito moderno
Boito; Vittoriano; Gare artistiche
04 Pubblicazione in atti di convegno::04b Atto di convegno in volume
Il contribuito di Boito nelle gare artistiche per le grandi opere del regno d'Italia e il dibattito antico nuovo / Vitiello, Maria. - 2:(2017), pp. 479-498. (Intervento presentato al convegno Camillo Boito moderno tenutosi a Milano).
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