Tra XVI e XVIII secolo, il mare Mediterraneo fu lo scenario di un fenomeno storico ormai globalmente conosciuto come “schiavitù mediterranea”. Contemporanea all’avvio della tratta atlantica degli africani, la schiavitù tra i due versanti del Mare Nostrum – le coste europee e cristiane, da un lato, e quelle nordafricane e musulmane dall’altro, entrambe responsabili proprio del commercio di schiavi neri – si configura tuttavia come un fenomeno il cui carattere più evidente, a differenza di quella atlantica, è quello della reciprocità; eppure, nella produzione storiografica dedicata alla schiavitù mediterranea e ai temi ad essa legati, si osserva una notevole disparità di interesse, soprattutto per quanto riguarda gli studi sulle possibilità e sui modi di riacquistare la libertà, da un lato e dall’altro. In altre parole, è la liberazione degli schiavi cristiani in mano musulmana ad aver a lungo monopolizzato l’attenzione degli studiosi. Solo le ricerche più recenti hanno finalmente portato alla luce sempre più numerosi casi di musulmani che riuscivano a tornare in patria grazie al pagamento di un riscatto o a un accordo di scambio, sia attraverso iniziative private che tramite procedure concordate tra governi. L’obiettivo complessivo di questo lavoro è quello di indagare sulle modalità attraverso cui gli schiavi musulmani potevano riacquistare la libertà, valutandone sia gli aspetti teorici – nella giurisprudenza musulmana si possono individuare procedure ben precise, ove la responsabilità della liberazione ricade, in primo luogo, sullo Stato – che pratici, per cercare di comprendere se, pure in assenza di istituzioni specifiche per la redenzione paragonabili a quelle europee, esistesse un modello di comportamento e una qualche forma di sistematicità nell’intervento delle società musulmane per la liberazione dei propri correligionari caduti in mano cristiana. A partire dai risultati ottenuti dall’analisi di una serie di lettere in arabo indirizzate ad alcuni schiavi musulmani a Malta, rinvenute presso l'Archivio della famiglia Colonna, il presente lavoro si sviluppa seguendo una direttrice di natura geografica che pone l’isola di Malta al centro di questo studio, condotto in buona parte sui documenti d’archivio dell’Ordine di San Giovanni gerosolimitano: un fondo già ampiamente indagato dagli storici che tuttavia può ancora offrire dati validi e originali, come quelli relativi ai grandi riscatti di gruppo conclusi dal sultano del Marocco Sidi Muhammad bin Abdallah che, alla fine del XVIII secolo, riuscì a porre momentaneamente fine alla schiavitù pubblica sull'isola.
Riscatti e scambi di schiavi e captivi musulmani nel Mediterraneo tra XVI e XVIII secolo: il caso di Malta e l'operato del sultano del Marocco Sidi Muhammad / Grita, Irene. - (2020 Feb 28).
Riscatti e scambi di schiavi e captivi musulmani nel Mediterraneo tra XVI e XVIII secolo: il caso di Malta e l'operato del sultano del Marocco Sidi Muhammad
GRITA, IRENE
28/02/2020
Abstract
Tra XVI e XVIII secolo, il mare Mediterraneo fu lo scenario di un fenomeno storico ormai globalmente conosciuto come “schiavitù mediterranea”. Contemporanea all’avvio della tratta atlantica degli africani, la schiavitù tra i due versanti del Mare Nostrum – le coste europee e cristiane, da un lato, e quelle nordafricane e musulmane dall’altro, entrambe responsabili proprio del commercio di schiavi neri – si configura tuttavia come un fenomeno il cui carattere più evidente, a differenza di quella atlantica, è quello della reciprocità; eppure, nella produzione storiografica dedicata alla schiavitù mediterranea e ai temi ad essa legati, si osserva una notevole disparità di interesse, soprattutto per quanto riguarda gli studi sulle possibilità e sui modi di riacquistare la libertà, da un lato e dall’altro. In altre parole, è la liberazione degli schiavi cristiani in mano musulmana ad aver a lungo monopolizzato l’attenzione degli studiosi. Solo le ricerche più recenti hanno finalmente portato alla luce sempre più numerosi casi di musulmani che riuscivano a tornare in patria grazie al pagamento di un riscatto o a un accordo di scambio, sia attraverso iniziative private che tramite procedure concordate tra governi. L’obiettivo complessivo di questo lavoro è quello di indagare sulle modalità attraverso cui gli schiavi musulmani potevano riacquistare la libertà, valutandone sia gli aspetti teorici – nella giurisprudenza musulmana si possono individuare procedure ben precise, ove la responsabilità della liberazione ricade, in primo luogo, sullo Stato – che pratici, per cercare di comprendere se, pure in assenza di istituzioni specifiche per la redenzione paragonabili a quelle europee, esistesse un modello di comportamento e una qualche forma di sistematicità nell’intervento delle società musulmane per la liberazione dei propri correligionari caduti in mano cristiana. A partire dai risultati ottenuti dall’analisi di una serie di lettere in arabo indirizzate ad alcuni schiavi musulmani a Malta, rinvenute presso l'Archivio della famiglia Colonna, il presente lavoro si sviluppa seguendo una direttrice di natura geografica che pone l’isola di Malta al centro di questo studio, condotto in buona parte sui documenti d’archivio dell’Ordine di San Giovanni gerosolimitano: un fondo già ampiamente indagato dagli storici che tuttavia può ancora offrire dati validi e originali, come quelli relativi ai grandi riscatti di gruppo conclusi dal sultano del Marocco Sidi Muhammad bin Abdallah che, alla fine del XVIII secolo, riuscì a porre momentaneamente fine alla schiavitù pubblica sull'isola.File | Dimensione | Formato | |
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