I sistemi sociotecnici (e.g. i processi e gli impianti industriali, ospedali, organizzazioni multi-/sovra-nazionali, etc.) sono particolari artefatti dell’ingegno umano che realizzano lo scopo per cui sono stati ideati attraverso la cooperazione simbiotica di tecnologia, persone e organizzazioni. Nel corso degli ultimi quarant’anni, sono stati soggetti a una montante pressione di contemporanee richieste contrastanti come livelli adeguati di performance, di sicurezza e di costo. A oggi si sono evoluti a un livello tale di complessità da farli annoverare tra i cosiddetti sistemi autoadattativi. In quanto tali, i sistemi sociotecnici tendono a manifestare comportamenti cosiddetti emergenti, i.e. osservabili solo oltre un certo livello gerarchico e non direttamente spiegabili in termini del comportamento delle singole parti. La resilienza è uno di tali comportamenti caratteristici, e cioè l’abilità del sistema di modificare il proprio comportamento in modo da sostenere le operazioni per cui è stato progettato, a seguito di eventi perturbanti esterni e/o interni al sistema. L’interesse attorno alla resilienza di sistema è enorme, specie per quanto attiene particolari sue declinazioni, come la safety industriale, la sicurezza paziente o la resilienza d’impresa in mercati competitivi. La Resilience Engineering (RE) è la recentissima (2010 c.ca) disciplina che intende ingegnerizzare la resilienza: rinunciando al tradizionale approccio riduzionista di stampo cartesiano-newtoniano, in favore di quello olistico della teoria della complessità; accettando l’impossibilità anche teorica di una conoscenza esaustiva di sistema; riconoscendo nella sostanziale variabilità dell’attività umana l’origine delle performance resilienti a livello sistemico; dovendo conseguentemente sviluppare tecniche e metodi ad hoc – e descrittivi, e di analisi. Resta la necessità di misurare le performance di sistema, per valutarne lo stato, e per aprire l’analisi alle ipotesi e alle speculazioni prognostiche. Guardando in retrospettiva la storia della safety, i metodi tradizionali (i.e., la cosiddetta safety-I) si sono ingenuamente adagiati a misurare il dato più facilmente accessibile: il numero di eventi negativi – la non-sicurezza dunque – ma proprio in ragione di quei miglioramenti attesi, tale dato non è ormai più osservato (meno di 1:106 eventi). Purtroppo, le condizioni odierne non eliminano la possibilità dell’evento avverso e paradossalmente promuovono l’evento catastrofico a normale (e.g. Three Mile Island, il Challenger, Chernobyl, le epidemie zoonotiche). La cultura della safety-I, addossando l’intera responsabilità degli incidenti al fattore umano, si è dimostrata nei fatti inefficace a gestire questi rischi. La complessità e il comportamento autoadattativo fanno sì che la valutazione del rischio e delle performance non siano banali nei sistemi sociotecnici. La parziale inconoscibilità, i fenomeni fortemente non-lineari che ne caratterizzano l’evoluzione, sanciscono la loro cosiddetta intrattabilità. Il fatto che la conoscenza collettivamente espressa sia distribuita, incarnata negli operatori, incorporata nelle tecnologie, debba essere elicitata aggrava la situazione; la reticenza di sistema a tale elicitazione si esprime nell’elusività dei singoli e in fenomeni collettivi emergenti di inconsapevolezza, miopia e dissonanza cognitiva organizzative. La consapevolezza collettiva non emerge nonostante l’informazione sia disponibile. Ciò ha reso necessaria una rielaborazione dell’episteme sulla safety che ha prodotto la cosiddetta safety-II e che pertiene alla RE. Il presente lavoro di ricerca adotta la RE ei suoi metodi per definire indicatori proattivi. Il Resilience Analysis Method, il Functional Resonance Analysis Method e il Resilience Early Warning Indicator sono le metodologie adottate in questo lavoro di ricerca, piuttosto laboriose da implementare con efficacia, ma capaci di coinvolgere gli operatori direttamente nel processo di valutazione, col risultato di favorire la diffusione della cultura organizzativa diventando a tutti gli effetti strumenti di misura e di azione. Originariamente formulati come metodi qualitativi, considerano le condizioni del sistema reale, le trappole dell’accountability e dell’overburocrazia, ma sono troppo ardui da applicare tout-court nella pratica effettiva. In questa ricerca sono stati rielaborati e semi-quantificati e in modo da contemplare l’uso di strumenti di IT in ottica di semplessità, capaci cioè allo stesso tempo di comprendere la complessità dei fenomeni sondati e di proporre soluzioni semplici per gestirli. Alla stessa maniera, per quanto possibile, sono state testate soluzioni di raccolta dati che limitassero le distorsioni cognitive. Le modifiche introdotte attingono da impianti consolidati come la Network Analysis, i metodi Monte Carlo e l’Analytic Hierarchy Process, ma anche dai più recenti come la Gamification e il Crowd Participatory Sensing. Tutte sono state validate attraverso casi reali di studio che vanno dalla valutazione della resilienza di un reparto chirurgico, alla gestione del danno iatrogeno nel perioperatorio anestesiologico, alla produzione di semilavorati per utensili, fino alla gestione dei rischi in un impianto di produzione d’ammoniaca. La tesi mostra esempi di indicatori sociotecnici guidati dalle migliorie introdotte per poi delineare futuri percorsi di ricerca, peraltro già intrapresi, motivando la necessità della costruzione di un’ontologia informatica capace di chiarire le relazioni tra le diverse nature del fenomeno della resilienza.

Design sociotecnico di indicatori proattivi tramite la Resilience Engineering / Falegnami, Andrea. - (2020 Feb 13).

Design sociotecnico di indicatori proattivi tramite la Resilience Engineering

FALEGNAMI, ANDREA
13/02/2020

Abstract

I sistemi sociotecnici (e.g. i processi e gli impianti industriali, ospedali, organizzazioni multi-/sovra-nazionali, etc.) sono particolari artefatti dell’ingegno umano che realizzano lo scopo per cui sono stati ideati attraverso la cooperazione simbiotica di tecnologia, persone e organizzazioni. Nel corso degli ultimi quarant’anni, sono stati soggetti a una montante pressione di contemporanee richieste contrastanti come livelli adeguati di performance, di sicurezza e di costo. A oggi si sono evoluti a un livello tale di complessità da farli annoverare tra i cosiddetti sistemi autoadattativi. In quanto tali, i sistemi sociotecnici tendono a manifestare comportamenti cosiddetti emergenti, i.e. osservabili solo oltre un certo livello gerarchico e non direttamente spiegabili in termini del comportamento delle singole parti. La resilienza è uno di tali comportamenti caratteristici, e cioè l’abilità del sistema di modificare il proprio comportamento in modo da sostenere le operazioni per cui è stato progettato, a seguito di eventi perturbanti esterni e/o interni al sistema. L’interesse attorno alla resilienza di sistema è enorme, specie per quanto attiene particolari sue declinazioni, come la safety industriale, la sicurezza paziente o la resilienza d’impresa in mercati competitivi. La Resilience Engineering (RE) è la recentissima (2010 c.ca) disciplina che intende ingegnerizzare la resilienza: rinunciando al tradizionale approccio riduzionista di stampo cartesiano-newtoniano, in favore di quello olistico della teoria della complessità; accettando l’impossibilità anche teorica di una conoscenza esaustiva di sistema; riconoscendo nella sostanziale variabilità dell’attività umana l’origine delle performance resilienti a livello sistemico; dovendo conseguentemente sviluppare tecniche e metodi ad hoc – e descrittivi, e di analisi. Resta la necessità di misurare le performance di sistema, per valutarne lo stato, e per aprire l’analisi alle ipotesi e alle speculazioni prognostiche. Guardando in retrospettiva la storia della safety, i metodi tradizionali (i.e., la cosiddetta safety-I) si sono ingenuamente adagiati a misurare il dato più facilmente accessibile: il numero di eventi negativi – la non-sicurezza dunque – ma proprio in ragione di quei miglioramenti attesi, tale dato non è ormai più osservato (meno di 1:106 eventi). Purtroppo, le condizioni odierne non eliminano la possibilità dell’evento avverso e paradossalmente promuovono l’evento catastrofico a normale (e.g. Three Mile Island, il Challenger, Chernobyl, le epidemie zoonotiche). La cultura della safety-I, addossando l’intera responsabilità degli incidenti al fattore umano, si è dimostrata nei fatti inefficace a gestire questi rischi. La complessità e il comportamento autoadattativo fanno sì che la valutazione del rischio e delle performance non siano banali nei sistemi sociotecnici. La parziale inconoscibilità, i fenomeni fortemente non-lineari che ne caratterizzano l’evoluzione, sanciscono la loro cosiddetta intrattabilità. Il fatto che la conoscenza collettivamente espressa sia distribuita, incarnata negli operatori, incorporata nelle tecnologie, debba essere elicitata aggrava la situazione; la reticenza di sistema a tale elicitazione si esprime nell’elusività dei singoli e in fenomeni collettivi emergenti di inconsapevolezza, miopia e dissonanza cognitiva organizzative. La consapevolezza collettiva non emerge nonostante l’informazione sia disponibile. Ciò ha reso necessaria una rielaborazione dell’episteme sulla safety che ha prodotto la cosiddetta safety-II e che pertiene alla RE. Il presente lavoro di ricerca adotta la RE ei suoi metodi per definire indicatori proattivi. Il Resilience Analysis Method, il Functional Resonance Analysis Method e il Resilience Early Warning Indicator sono le metodologie adottate in questo lavoro di ricerca, piuttosto laboriose da implementare con efficacia, ma capaci di coinvolgere gli operatori direttamente nel processo di valutazione, col risultato di favorire la diffusione della cultura organizzativa diventando a tutti gli effetti strumenti di misura e di azione. Originariamente formulati come metodi qualitativi, considerano le condizioni del sistema reale, le trappole dell’accountability e dell’overburocrazia, ma sono troppo ardui da applicare tout-court nella pratica effettiva. In questa ricerca sono stati rielaborati e semi-quantificati e in modo da contemplare l’uso di strumenti di IT in ottica di semplessità, capaci cioè allo stesso tempo di comprendere la complessità dei fenomeni sondati e di proporre soluzioni semplici per gestirli. Alla stessa maniera, per quanto possibile, sono state testate soluzioni di raccolta dati che limitassero le distorsioni cognitive. Le modifiche introdotte attingono da impianti consolidati come la Network Analysis, i metodi Monte Carlo e l’Analytic Hierarchy Process, ma anche dai più recenti come la Gamification e il Crowd Participatory Sensing. Tutte sono state validate attraverso casi reali di studio che vanno dalla valutazione della resilienza di un reparto chirurgico, alla gestione del danno iatrogeno nel perioperatorio anestesiologico, alla produzione di semilavorati per utensili, fino alla gestione dei rischi in un impianto di produzione d’ammoniaca. La tesi mostra esempi di indicatori sociotecnici guidati dalle migliorie introdotte per poi delineare futuri percorsi di ricerca, peraltro già intrapresi, motivando la necessità della costruzione di un’ontologia informatica capace di chiarire le relazioni tra le diverse nature del fenomeno della resilienza.
13-feb-2020
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