Una convinzione molto diffusa vuole che la discussione sulla giustizia si disponga all’interno di un contesto territoriale ben definito e riguardi principalmente le relazioni tra cittadini di uno Stato nazionale. Questa è l’opinione che non soltanto fa sfondo alle classiche trattazioni della giustizia, da Platone a Rawls, passando per Hume, ma che permea la comprensione comune dei problemi di giustizia. Anche se nella storia non è mai stata del tutto assente l’attenzione per le questioni di giustizia che superano i confini, occorre rilevare che il fenomeno della globalizzazione sta modificando il nostro modo di pensare e di impostare i problemi di giustizia. Al radicarsi della globalizzazione cresce esponenzialmente la percezione che esistono problemi di giustizia oltre le frontiere che incidono fortemente nell’assetto interno. Il modo come operano le istituzioni a livello domestico, talvolta, producono le circostanze di ingiustizie oltre i confini nazionali, mettendo in pericolo la sopravvivenza di molti esseri umani e creando squilibri sociali estremi. Tali circostanze di ingiustizie innescano il fenomeno migratorio (cap. III e IV). Accanto a questa percezione perdura l’idea che il luogo proprio della giustizia sia l’ambito domestico. Le teorie della giustizia si dividono allora in due gruppi: quelle che continuano a sostenere l’esclusiva pertinenza della giustizia nella comunità politica e quelle che si attrezzano per dare conto di queste nuove percezioni (cap. I e II). L’idea che le questioni di giustizia siano correttamente impostate all’interno dei confini è profondamente unita a quella secondo cui il luogo tradizionale per dibattere questioni di giustizia è il foro pubblico nazionale, soprattutto a motivo dell’importanza dell’autodeterminazione. Oltre al principio di autonomia e di partecipazione all’individuazione dei criteri di giustizia, anche le ragioni della comunanza degli orizzonti culturali e della prossimità territoriale alimentano la tesi della giustizia domestica. La giustizia globale, dal punto di vista della sua realizzabilità e praticabilità, solleva perplessità. Essa è inevitabilmente astratta, utopica e manca di realismo. La giustizia globale evoca uno Stato globale o planetario o almeno istituzioni globali e planetarie, che svolgono a livello mondiale il ruolo che lo Stato svolge nella comunità politica nazionale e che siano alla stessa maniera suscettibili di ricevere legittimazione. Dunque, è difficile pensare ad una giustizia globale se non si istituzionalizza un sistema effettivo della sovranità planetaria. L’obiettivo principale di questa tesi non è quello di abbracciare l’idea di giustizia domestica, scartando quella di giustizia globale o viceversa, ma quello di armonizzare entrambe. Si tratta di individuare una teoria normativa che non abolisca il diritto degli Stato all’integrità territoriale e all’indipendenza politica e decisionale, ma ammetta al tempo stesso l’esistenza di obblighi di natura politica al di là dei confini dello Stato. La comunità nazionale può continuare a rivendicare la propria utilità e adeguatezza rispetto ad alcuni obiettivi ma ciò non toglie che vi possa essere una giustizia oltre i confini. Il quadro teorico di riferimento è costituito dalla teoria della giustizia sul diritto morale di migrare e riguarda tre questioni principali: l’ammissione degli immigrati, i trattamenti degli immigrati e la convivenza in società di pluralismo culturale. In questa tesi la nostra attenzione è rivolta al primo aspetto. Si sottopongono alla valutazione critica diversi aspetti del fenomeno migratorio, al fine di verificare se la pretesa dello Stato di escludere gli immigrati dal proprio territorio sia moralmente e sufficientemente giustificata. Il lavoro si conclude evidenziando diversi fattori endogeni a favore dell’ammissione degli immigrati quali: l’invecchiamento demografico, la riduzione della natalità, il fabbisogno di manodopera (cap. V e VI) e i limiti fissati dal diritto internazionale alla regola generale, secondo cui lo Stato ha il diritto di allontanare gli stranieri dal proprio territorio in virtù del principio di sovranità territoriale (cap. VII).

Giustizia e immigrazione. Un approccio etico all'ammissibilità degli immigrati / Alfredo, Rodrigues. - (2020 Feb 24).

Giustizia e immigrazione. Un approccio etico all'ammissibilità degli immigrati

ALFREDO, RODRIGUES
24/02/2020

Abstract

Una convinzione molto diffusa vuole che la discussione sulla giustizia si disponga all’interno di un contesto territoriale ben definito e riguardi principalmente le relazioni tra cittadini di uno Stato nazionale. Questa è l’opinione che non soltanto fa sfondo alle classiche trattazioni della giustizia, da Platone a Rawls, passando per Hume, ma che permea la comprensione comune dei problemi di giustizia. Anche se nella storia non è mai stata del tutto assente l’attenzione per le questioni di giustizia che superano i confini, occorre rilevare che il fenomeno della globalizzazione sta modificando il nostro modo di pensare e di impostare i problemi di giustizia. Al radicarsi della globalizzazione cresce esponenzialmente la percezione che esistono problemi di giustizia oltre le frontiere che incidono fortemente nell’assetto interno. Il modo come operano le istituzioni a livello domestico, talvolta, producono le circostanze di ingiustizie oltre i confini nazionali, mettendo in pericolo la sopravvivenza di molti esseri umani e creando squilibri sociali estremi. Tali circostanze di ingiustizie innescano il fenomeno migratorio (cap. III e IV). Accanto a questa percezione perdura l’idea che il luogo proprio della giustizia sia l’ambito domestico. Le teorie della giustizia si dividono allora in due gruppi: quelle che continuano a sostenere l’esclusiva pertinenza della giustizia nella comunità politica e quelle che si attrezzano per dare conto di queste nuove percezioni (cap. I e II). L’idea che le questioni di giustizia siano correttamente impostate all’interno dei confini è profondamente unita a quella secondo cui il luogo tradizionale per dibattere questioni di giustizia è il foro pubblico nazionale, soprattutto a motivo dell’importanza dell’autodeterminazione. Oltre al principio di autonomia e di partecipazione all’individuazione dei criteri di giustizia, anche le ragioni della comunanza degli orizzonti culturali e della prossimità territoriale alimentano la tesi della giustizia domestica. La giustizia globale, dal punto di vista della sua realizzabilità e praticabilità, solleva perplessità. Essa è inevitabilmente astratta, utopica e manca di realismo. La giustizia globale evoca uno Stato globale o planetario o almeno istituzioni globali e planetarie, che svolgono a livello mondiale il ruolo che lo Stato svolge nella comunità politica nazionale e che siano alla stessa maniera suscettibili di ricevere legittimazione. Dunque, è difficile pensare ad una giustizia globale se non si istituzionalizza un sistema effettivo della sovranità planetaria. L’obiettivo principale di questa tesi non è quello di abbracciare l’idea di giustizia domestica, scartando quella di giustizia globale o viceversa, ma quello di armonizzare entrambe. Si tratta di individuare una teoria normativa che non abolisca il diritto degli Stato all’integrità territoriale e all’indipendenza politica e decisionale, ma ammetta al tempo stesso l’esistenza di obblighi di natura politica al di là dei confini dello Stato. La comunità nazionale può continuare a rivendicare la propria utilità e adeguatezza rispetto ad alcuni obiettivi ma ciò non toglie che vi possa essere una giustizia oltre i confini. Il quadro teorico di riferimento è costituito dalla teoria della giustizia sul diritto morale di migrare e riguarda tre questioni principali: l’ammissione degli immigrati, i trattamenti degli immigrati e la convivenza in società di pluralismo culturale. In questa tesi la nostra attenzione è rivolta al primo aspetto. Si sottopongono alla valutazione critica diversi aspetti del fenomeno migratorio, al fine di verificare se la pretesa dello Stato di escludere gli immigrati dal proprio territorio sia moralmente e sufficientemente giustificata. Il lavoro si conclude evidenziando diversi fattori endogeni a favore dell’ammissione degli immigrati quali: l’invecchiamento demografico, la riduzione della natalità, il fabbisogno di manodopera (cap. V e VI) e i limiti fissati dal diritto internazionale alla regola generale, secondo cui lo Stato ha il diritto di allontanare gli stranieri dal proprio territorio in virtù del principio di sovranità territoriale (cap. VII).
24-feb-2020
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1360752
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