La concettualizzazione del cervello come una struttura complessa, caratterizzata da elementi interconnessi, è di lunga data. Risale addirittura al 1906, quando Camillo Golgi e Ramon Y Cajal condivisero il Premio Nobel, anche se con idee diverse (Jacobson, 1995; Rapport, 2005). Tuttavia, essendo un fenomeno complesso, va inquadrato attentamente mediante l’utilizzo di un framework teoretico. Questo perché, come sottolineato da Cornelis Stam (citando Carter Butts), to represent an empirical phenomenon as a network is a theoretical act (Stam & van Straaten, 2012). Un network complesso è infatti molto di più che la semplice somma dei suoi elementi, o la somma delle sue interazioni: è un sistema che ha delle peculiari caratteristiche che richiedono precise teorie matematiche per essere comprese (Newman, Barabasi, & Watts, 2006). A tal fine, negli ultimi anni studiosi e ricercatori si sono impegnati a sviluppare e potenziare la network theory, che ha permesso di introdurre nuovi modelli matematici finalizzati allo studio di fenomeni complessi in ambiti come la fisica, lo studio dei sistemi di trasporto, la comunicazione, la biologia, la sociologia e la psicologia (Boccaletti, Latora, Moreno, Chavez, & Hwang, 2006; Borgatti, Mehra, Brass, & Labianca, 2009). Grazie a questi modelli, oggi siamo in grado di effettuare studi quantitativi sul cervello umano, che ci permettono di comprendere meglio fenomeni complessi come la crescita, lo sviluppo, l’apprendimento, la plasticità cerebrale e il fallimento (come nel caso di determinate patologie) del funzionamento di determinati network neurali (Stam & van Straaten, 2012). In particolare, è divenuto possibile studiare le caratteristiche topologiche dei network cerebrali, la loro architettura, e il modo in cui il cervello si organizza mediante quella che è stata definita come hierarchical modularity (Stam & van Straaten, 2012). Questo è stato reso possibile anche grazie mediante la migliore e più diffusa applicazione delle tecniche di neuroimmagine. Infatti, grazie all’utilizzo di metodologie come l’elettroencefalografia o la magnetoencefalografia (MEG), è oggi possibile indagare nel dettaglio come diverse aree cerebrali comunicano, e come tale comunicazione fallisca in determinate condizioni patologiche (Stam & van Straaten, 2012). L’utilizzo combinato di queste tecniche e della network theory non è solamente il metodo più efficace e diretto per valutare le funzionalità del cervello umano, bensì permettono anche di inquadrarlo come sistema complesso in continua evoluzione (Nunez, 2010). A tal fine, il presente studio si prefigge, mediante l’utilizzo della EEG Connectivity Network Analisys, di valutare in maniera esplorativa le caratteristiche topologiche di global e local efficiency di pazienti caratterizzati da Disturbi Dissociativi, confrontati con un gruppo di controllo. Ad oggi, con il termine dissociazione si fa riferimento a tre concetti, ovvero ad una categoria diagnostica, ad un cluster di sintomi e ad un processo patogenetico che trae origine dalle esperienze trauma-correlate (Farina, Liotti, & Imperatori, 2019). Gli eventi traumatici possono infatti causare il fenomeno del distacco dissociativo, impedendo la normale integrazione dell’esperienza nella memoria della persona, e, se ripetute nel tempo, possono portare al fenomeno della compartimentazione dissociativa e alla frammentazione della coscienza (Farina & Liotti, 2013; E. R. Nijenhuis, Spinhoven, Vanderlinden, van Dyck, & van der Hart, 1998; Putnam, 1997; Schore, 2009). Fenomeni complessi come la coscienza, la memoria e la cognizione dipendono in larga parte da ampi network cerebrali e dalla capacità di integrazione delle informazioni del nostro cervello (Farina et al., 2014; Rees, Kreiman, & Koch, 2002; Singer, 2001; Terhune, Cardena, & Lindgren, 2011; Tononi & Christof, 2008; Varela, Lachaux, Rodriguez, & Martinerie, 2001). Alterazioni di queste funzioni (come quelle caratteristiche della dimensione traumatico-dissociativa, Farina et al. 2019) potrebbero dunque essere collegate a possibili modifiche della capacità di networking del nostro cervello (Bob & Svetlak, 2011; Farina et al., 2014; Liotti & Farina, 2011; Simeon, 2009; Terhune et al., 2011). Come anticipato in precedenza, oggi mediante l’applicazione delle tecniche di neuroimmagine e la Network Analysis, è possibile andare a indagare le caratteristiche funzionali del cervello umano, che può essere rappresentato come un vero e proprio network composto da nodi e da connessioni tra nodi (De Vico Fallani, Richiardi, Chavez, & Achard, 2014). I nodi di questo network raffigurano diverse regioni anatomiche, e i collegamenti tra i nodi la dipendenza temporale dell’attività neuronale regionale, rappresentanti pattern di comunicazione funzionale tra le diverse aree cerebrali (De Vico Fallani et al., 2014). Mediante la costruzione e l’analisi di questo network, è possibile andare a valutare le principali caratteristiche topologiche del cervello umano (De Vico Fallani et al., 2014). La plausibile alterazione della capacità di networking del cervello nei Disturbi Dissociativi (Farina et al., 2014; Liotti & Farina, 2011) e la possibilità di indagare questi network mediante l’utilizzo delle tecniche di neuroimmagine e la Network Analysis (Achard & Bullmore, 2007; De Vico Fallani et al., 2014; Latora & Marchiori, 2001) hanno fornito il razionale alla base del presente studio. È da sottolineare che, al giorno d’oggi, questo sembra essere il primo studio ad aver usato la tecnica della Network Analysis per lo studio dei Disturbi Dissociativi. In assenza di precedenti studi non è stato possibile fornire una solida ipotesi di partenza. È stato tuttavia ipotizzato che, in virtù delle caratteristiche intrinseche dei Disturbi Dissociativi, sarebbe stato plausibile trovare delle possibili alterazioni nei principali indici topologici che valutano la capacità di integrare le informazioni di un sistema e la capacità del sistema a resistere al fallimento e a trasferire efficacemente le informazioni a livello locale, come la global e la local efficiency (Achard & Bullmore, 2007; Latora & Marchiori, 2001). È questo il motivo per cui sono stati scelti questi indici di networking per valutare la differenza tra popolazioni. È stato dunque effettuato il reclutamento di pazienti con Disturbi Dissociativi (n = 13) e di partecipanti normativi (assenza di patologie mediche e psicologiche) per il gruppo di controllo (n = 16). I criteri di esclusione sono stati: 1) mancinismo 2) trauma cranico 3) presenza di patologie di ordine medico e neurologico 4) utilizzo di droghe o farmaci interferenti con l’attività del sistema nervoso centrale nelle tre settimane precedenti la registrazione; 4) presenza di anomalie nel tracciato elettroencefalografico. Il protocollo utilizzato si è basato su metodologie ben rappresentate in bibliografia e ampiamente descritte nel Capitolo II. È stata effettuata una registrazione Elettroencefalografica in resting state con una cuffia a 19 elettrodi considerando le bande di frequenza δ (0.5–4 Hz), θ (4.5–7.5 Hz), α (8–12.5 Hz), β (13–30 Hz), γ (30.5–100 Hz), ed è stata estratta una matrice di Functional Connectivity 84 x 84 (rappresentanti le 84 aree di Brodmann) mediante la computazione della lagged phase synchronization. È stato applicato un threshold al fine di mantenere esclusivamente le connessioni più significative (De Vico Fallani, Latora, & Chavez, 2017) e la matrice risultante è stata binarizzata. Successivamente, sono state effettuate le computazioni di global e local efficiency. Dallo studio è emersa una differenza significativa con dimensione dell’effetto larga tra le popolazioni nella banda theta: i risultati hanno evidenziato una minore local efficiency nel gruppo dei pazienti con Disturbi Dissociativi rispetto al gruppo di controllo (0,1098 ± 0,0583 vs 0,1718 ± 0,0540; Mann-Whitney U = 162, p = 0,01; Cohen’s d = 1,0995). Il risultato permane significativo anche a seguito della correzione di Bonferroni (p = 0,05). I risultati sembrano suggerire che i pazienti con Disturbi Dissociativi potrebbero essere caratterizzati da un network meno equilibrato, caratterizzato da una minore efficienza nella connettività funzionale locale, e dunque meno resistente al fallimento, ovvero meno fault tolerant. Il contributo fornito da questo studio si affianca a quelli che, nell’ultimo decennio, hanno utilizzato strumenti avanzati di elaborazione del segnale al fine di aumentare la nostra conoscenza del funzionamento del cervello umano.

Utilizzo della EEG Connectivity Network Analysis per lo studio dei disturbi dissociativi / Valenti, ENRICO MARIA. - (2020 Jan 23).

Utilizzo della EEG Connectivity Network Analysis per lo studio dei disturbi dissociativi

VALENTI, ENRICO MARIA
23/01/2020

Abstract

La concettualizzazione del cervello come una struttura complessa, caratterizzata da elementi interconnessi, è di lunga data. Risale addirittura al 1906, quando Camillo Golgi e Ramon Y Cajal condivisero il Premio Nobel, anche se con idee diverse (Jacobson, 1995; Rapport, 2005). Tuttavia, essendo un fenomeno complesso, va inquadrato attentamente mediante l’utilizzo di un framework teoretico. Questo perché, come sottolineato da Cornelis Stam (citando Carter Butts), to represent an empirical phenomenon as a network is a theoretical act (Stam & van Straaten, 2012). Un network complesso è infatti molto di più che la semplice somma dei suoi elementi, o la somma delle sue interazioni: è un sistema che ha delle peculiari caratteristiche che richiedono precise teorie matematiche per essere comprese (Newman, Barabasi, & Watts, 2006). A tal fine, negli ultimi anni studiosi e ricercatori si sono impegnati a sviluppare e potenziare la network theory, che ha permesso di introdurre nuovi modelli matematici finalizzati allo studio di fenomeni complessi in ambiti come la fisica, lo studio dei sistemi di trasporto, la comunicazione, la biologia, la sociologia e la psicologia (Boccaletti, Latora, Moreno, Chavez, & Hwang, 2006; Borgatti, Mehra, Brass, & Labianca, 2009). Grazie a questi modelli, oggi siamo in grado di effettuare studi quantitativi sul cervello umano, che ci permettono di comprendere meglio fenomeni complessi come la crescita, lo sviluppo, l’apprendimento, la plasticità cerebrale e il fallimento (come nel caso di determinate patologie) del funzionamento di determinati network neurali (Stam & van Straaten, 2012). In particolare, è divenuto possibile studiare le caratteristiche topologiche dei network cerebrali, la loro architettura, e il modo in cui il cervello si organizza mediante quella che è stata definita come hierarchical modularity (Stam & van Straaten, 2012). Questo è stato reso possibile anche grazie mediante la migliore e più diffusa applicazione delle tecniche di neuroimmagine. Infatti, grazie all’utilizzo di metodologie come l’elettroencefalografia o la magnetoencefalografia (MEG), è oggi possibile indagare nel dettaglio come diverse aree cerebrali comunicano, e come tale comunicazione fallisca in determinate condizioni patologiche (Stam & van Straaten, 2012). L’utilizzo combinato di queste tecniche e della network theory non è solamente il metodo più efficace e diretto per valutare le funzionalità del cervello umano, bensì permettono anche di inquadrarlo come sistema complesso in continua evoluzione (Nunez, 2010). A tal fine, il presente studio si prefigge, mediante l’utilizzo della EEG Connectivity Network Analisys, di valutare in maniera esplorativa le caratteristiche topologiche di global e local efficiency di pazienti caratterizzati da Disturbi Dissociativi, confrontati con un gruppo di controllo. Ad oggi, con il termine dissociazione si fa riferimento a tre concetti, ovvero ad una categoria diagnostica, ad un cluster di sintomi e ad un processo patogenetico che trae origine dalle esperienze trauma-correlate (Farina, Liotti, & Imperatori, 2019). Gli eventi traumatici possono infatti causare il fenomeno del distacco dissociativo, impedendo la normale integrazione dell’esperienza nella memoria della persona, e, se ripetute nel tempo, possono portare al fenomeno della compartimentazione dissociativa e alla frammentazione della coscienza (Farina & Liotti, 2013; E. R. Nijenhuis, Spinhoven, Vanderlinden, van Dyck, & van der Hart, 1998; Putnam, 1997; Schore, 2009). Fenomeni complessi come la coscienza, la memoria e la cognizione dipendono in larga parte da ampi network cerebrali e dalla capacità di integrazione delle informazioni del nostro cervello (Farina et al., 2014; Rees, Kreiman, & Koch, 2002; Singer, 2001; Terhune, Cardena, & Lindgren, 2011; Tononi & Christof, 2008; Varela, Lachaux, Rodriguez, & Martinerie, 2001). Alterazioni di queste funzioni (come quelle caratteristiche della dimensione traumatico-dissociativa, Farina et al. 2019) potrebbero dunque essere collegate a possibili modifiche della capacità di networking del nostro cervello (Bob & Svetlak, 2011; Farina et al., 2014; Liotti & Farina, 2011; Simeon, 2009; Terhune et al., 2011). Come anticipato in precedenza, oggi mediante l’applicazione delle tecniche di neuroimmagine e la Network Analysis, è possibile andare a indagare le caratteristiche funzionali del cervello umano, che può essere rappresentato come un vero e proprio network composto da nodi e da connessioni tra nodi (De Vico Fallani, Richiardi, Chavez, & Achard, 2014). I nodi di questo network raffigurano diverse regioni anatomiche, e i collegamenti tra i nodi la dipendenza temporale dell’attività neuronale regionale, rappresentanti pattern di comunicazione funzionale tra le diverse aree cerebrali (De Vico Fallani et al., 2014). Mediante la costruzione e l’analisi di questo network, è possibile andare a valutare le principali caratteristiche topologiche del cervello umano (De Vico Fallani et al., 2014). La plausibile alterazione della capacità di networking del cervello nei Disturbi Dissociativi (Farina et al., 2014; Liotti & Farina, 2011) e la possibilità di indagare questi network mediante l’utilizzo delle tecniche di neuroimmagine e la Network Analysis (Achard & Bullmore, 2007; De Vico Fallani et al., 2014; Latora & Marchiori, 2001) hanno fornito il razionale alla base del presente studio. È da sottolineare che, al giorno d’oggi, questo sembra essere il primo studio ad aver usato la tecnica della Network Analysis per lo studio dei Disturbi Dissociativi. In assenza di precedenti studi non è stato possibile fornire una solida ipotesi di partenza. È stato tuttavia ipotizzato che, in virtù delle caratteristiche intrinseche dei Disturbi Dissociativi, sarebbe stato plausibile trovare delle possibili alterazioni nei principali indici topologici che valutano la capacità di integrare le informazioni di un sistema e la capacità del sistema a resistere al fallimento e a trasferire efficacemente le informazioni a livello locale, come la global e la local efficiency (Achard & Bullmore, 2007; Latora & Marchiori, 2001). È questo il motivo per cui sono stati scelti questi indici di networking per valutare la differenza tra popolazioni. È stato dunque effettuato il reclutamento di pazienti con Disturbi Dissociativi (n = 13) e di partecipanti normativi (assenza di patologie mediche e psicologiche) per il gruppo di controllo (n = 16). I criteri di esclusione sono stati: 1) mancinismo 2) trauma cranico 3) presenza di patologie di ordine medico e neurologico 4) utilizzo di droghe o farmaci interferenti con l’attività del sistema nervoso centrale nelle tre settimane precedenti la registrazione; 4) presenza di anomalie nel tracciato elettroencefalografico. Il protocollo utilizzato si è basato su metodologie ben rappresentate in bibliografia e ampiamente descritte nel Capitolo II. È stata effettuata una registrazione Elettroencefalografica in resting state con una cuffia a 19 elettrodi considerando le bande di frequenza δ (0.5–4 Hz), θ (4.5–7.5 Hz), α (8–12.5 Hz), β (13–30 Hz), γ (30.5–100 Hz), ed è stata estratta una matrice di Functional Connectivity 84 x 84 (rappresentanti le 84 aree di Brodmann) mediante la computazione della lagged phase synchronization. È stato applicato un threshold al fine di mantenere esclusivamente le connessioni più significative (De Vico Fallani, Latora, & Chavez, 2017) e la matrice risultante è stata binarizzata. Successivamente, sono state effettuate le computazioni di global e local efficiency. Dallo studio è emersa una differenza significativa con dimensione dell’effetto larga tra le popolazioni nella banda theta: i risultati hanno evidenziato una minore local efficiency nel gruppo dei pazienti con Disturbi Dissociativi rispetto al gruppo di controllo (0,1098 ± 0,0583 vs 0,1718 ± 0,0540; Mann-Whitney U = 162, p = 0,01; Cohen’s d = 1,0995). Il risultato permane significativo anche a seguito della correzione di Bonferroni (p = 0,05). I risultati sembrano suggerire che i pazienti con Disturbi Dissociativi potrebbero essere caratterizzati da un network meno equilibrato, caratterizzato da una minore efficienza nella connettività funzionale locale, e dunque meno resistente al fallimento, ovvero meno fault tolerant. Il contributo fornito da questo studio si affianca a quelli che, nell’ultimo decennio, hanno utilizzato strumenti avanzati di elaborazione del segnale al fine di aumentare la nostra conoscenza del funzionamento del cervello umano.
23-gen-2020
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