La terza sessione del convegno I punti di vista e le vedute di città, svoltosi nel gennaio 2005, presso la Facoltà di Architettura dell’Università “Roma Tre”, da cui traggono spunto alcuni dei saggi che presentiamo in questa sede, nasce da un progetto concepito e curato dal compianto Enrico Guidoni, inteso ad osservare l’argomento dall’interno, penetrando le tante situazioni locali che hanno visto il rigoglioso fiorire della veduta. Le componenti della produzione locale più vicine ai più noti cicli pittorici d’autore sono certamente i cicli di affreschi che decorano molti palazzi nobiliari, volti a celebrare e riassumere le principali emergenze architettoniche presenti nel feudo di proprietà del committente; penso ad esempio alle “gallerie di carte geografiche”, come quella tardo-seicentesca di palazzo Colonna a Roma (qui illustrata da Giada Lepri) o alle originali variazioni sul tema, affidate alla commistione fra figure e vedute, che ritroviamo nei palazzi dei Pamphilj, dei Carpegna e dei Falconieri (di cui tratta Carla Benocci), fino al caso, decisamente singolare, in cui un unico centro viene rappresentato dai diversi punti di vista da cui può esser colto da più emergenze dello stesso feudo. Caso trattato in questa sede da Carlo Armati che, nell’esaminare la serie delle vedute di Marino commissionate dai Colonna e realizzate da G. van Wittel, spiega come le tre vedute, databili alle prime decadi del ‘700, siano riprese da altrettante ville (della “Baldacchina”, di “Belpoggio” e del “Barco”), di proprietà della famiglia stessa, in modo tale da suggerire, per via artistica o vedutistica, il controllo feudale della cittadina e del territorio circostante, oltre che, ovviamente, la celebrazione delle amenità del sito. Accanto a queste opere, ampiamente note e celebrate, si assiste allo sviluppo della veduta tramite canali meno evidenti, anche se localmente assai diffusi, attivati tendenziosamente, al fine di evidenziare particolari aspetti di una determinata località. La veduta di Benevento di cui tratta Antonietta Finella, realizzata nella prima metà del Seicento su disegno del pittore manierista Donato Piperno, rappresenta la città secondo una prospettiva a volo d’uccello, il cui punto di vista è fissato su una vicina altura (il colle S. Felice) da cui la città assume una forma particolarmente significativa, e gradita all’ambiente locale, perché da lì il Duomo assume una posizione centrale nel contesto urbano; analogamente Stefania Aldini, nel commentare la veduta settecentesca di anonimo della piazza di Lodi, affronta il tema della tendenziosità della veduta sotto l’aspetto politico, evidenziando come l’opera sia da valutare, non solo in relazione a ciò che è rappresentato e valorizzato, ma anche in funzione di ciò che da essa è espunto e occultato. A tematiche affini (anche se in senso lato) può essere ricondotto il saggio di Maurizio Vesco che, nell’esaminare alcune vedute di Palermo fra Seicento e Ottocento, ne storicizza le finalità diverse, mostrando come in relazione ad esse nel volger del tempo vengano prescelti, quali protagonisti della scena, luoghi e manufatti diversi: dall’antico porto della Cala, al fronte a mare con la strada Colonna, per pervenire alla affermazione di una nuova maniera, basata sul ribaltamento e allontanamento in chiave romantica del punto di vista, in cui diverranno simbolicamente centrali il mare del golfo di Palermo e la mole del monte Pellegrino. Altrettanto significativi e ben rappresentati nei saggi compresi in questo volume, i casi in cui la veduta di una particolare località, redatta con attenzione quasi scientifica, si lega ad intenti documentativi. Penso, in particolare, alla veduta di Tursi in Basilicata, di cui tratta Carmela Biscaglia, o a quella del territorio di confine fra i centri di Cimena, Brandizzo e Gassino nel Monferrato di cui tratta Claudia Bonardi. Se nel primo saggio la veduta, redatta da Francesco Cassiano de Silva, ci restituisce le strette “interrelazioni tra paesaggio urbano e paesaggio agrario” in una fase in cui l’antropizzazione del sito, pur intensa, non ne aveva smantellato le qualità ambientali, nel secondo è illustrato il modo in cui la veduta, redatta da Gabriele Bertazzolo nel luglio del 1608, coniuga la artisticità della rappresentazione alla sua attendibilità topografica; il tutto adottando, come sistema di rappresentazione, quello della pianta “alzata” che troverà presto una straordinaria diffusione nelle tavole degli atlanti. Ma penso anche, con riferimento alla utilizzazione della veduta a fini geografico-conoscitivi, o addirittura esplorativi, al saggio sulla terra d’Otranto, in cui Giancarlo De Pascalis evidenzia come le vedute settecentesche del Pacichelli (Il Regno di Napoli in prospettiva) o dell’abate di Saint Non (Voyage pittoresque ou Description des Royaumes de Naples et de Sicile) contribuiscano alla conoscenza e rinascita di un territorio che dopo la battaglia di Lepanto per circa due secoli era rimasto ai margini della vita politico-culturale del mezzogiorno italiano. Al Voyage pittoresque si collega anche la serie delle vedute dello stretto di Messina, qui presentate da Clementina Barucci, che nell’individuare i collegamenti fra una così ricca produzione iconografica e la pratica del Gran Tour, evidenzia come per tal via si definiscano veri prototipi, in grado di formare una sorta di koinè internazionale, il cui veicolo di trasmissione è costituito dall’incisione e, quindi, dalla stampa, più che dalla pittura. Forse testimonianza di più ampie ricomposizioni dei rapporti fra i diversi generi iconografici che, nel mettere in discussione consolidate gerarchie, tende al policentrismo affacciandosi alla contemporaneità.
Città e paesaggio in Terra d’Otranto. I “punti di vista” tra viaggiatori e vedutisti Settecenteschi / DE PASCALIS, Donato Giancarlo. - In: STORIA DELL'URBANISTICA - TOSCANA. - II:(2011), pp. 116-137. (Intervento presentato al convegno I punti di vista e le vedute di città. (Secoli XVII e XX) tenutosi a Roma).
Città e paesaggio in Terra d’Otranto. I “punti di vista” tra viaggiatori e vedutisti Settecenteschi
De Pascalis Donato Giancarlo
2011
Abstract
La terza sessione del convegno I punti di vista e le vedute di città, svoltosi nel gennaio 2005, presso la Facoltà di Architettura dell’Università “Roma Tre”, da cui traggono spunto alcuni dei saggi che presentiamo in questa sede, nasce da un progetto concepito e curato dal compianto Enrico Guidoni, inteso ad osservare l’argomento dall’interno, penetrando le tante situazioni locali che hanno visto il rigoglioso fiorire della veduta. Le componenti della produzione locale più vicine ai più noti cicli pittorici d’autore sono certamente i cicli di affreschi che decorano molti palazzi nobiliari, volti a celebrare e riassumere le principali emergenze architettoniche presenti nel feudo di proprietà del committente; penso ad esempio alle “gallerie di carte geografiche”, come quella tardo-seicentesca di palazzo Colonna a Roma (qui illustrata da Giada Lepri) o alle originali variazioni sul tema, affidate alla commistione fra figure e vedute, che ritroviamo nei palazzi dei Pamphilj, dei Carpegna e dei Falconieri (di cui tratta Carla Benocci), fino al caso, decisamente singolare, in cui un unico centro viene rappresentato dai diversi punti di vista da cui può esser colto da più emergenze dello stesso feudo. Caso trattato in questa sede da Carlo Armati che, nell’esaminare la serie delle vedute di Marino commissionate dai Colonna e realizzate da G. van Wittel, spiega come le tre vedute, databili alle prime decadi del ‘700, siano riprese da altrettante ville (della “Baldacchina”, di “Belpoggio” e del “Barco”), di proprietà della famiglia stessa, in modo tale da suggerire, per via artistica o vedutistica, il controllo feudale della cittadina e del territorio circostante, oltre che, ovviamente, la celebrazione delle amenità del sito. Accanto a queste opere, ampiamente note e celebrate, si assiste allo sviluppo della veduta tramite canali meno evidenti, anche se localmente assai diffusi, attivati tendenziosamente, al fine di evidenziare particolari aspetti di una determinata località. La veduta di Benevento di cui tratta Antonietta Finella, realizzata nella prima metà del Seicento su disegno del pittore manierista Donato Piperno, rappresenta la città secondo una prospettiva a volo d’uccello, il cui punto di vista è fissato su una vicina altura (il colle S. Felice) da cui la città assume una forma particolarmente significativa, e gradita all’ambiente locale, perché da lì il Duomo assume una posizione centrale nel contesto urbano; analogamente Stefania Aldini, nel commentare la veduta settecentesca di anonimo della piazza di Lodi, affronta il tema della tendenziosità della veduta sotto l’aspetto politico, evidenziando come l’opera sia da valutare, non solo in relazione a ciò che è rappresentato e valorizzato, ma anche in funzione di ciò che da essa è espunto e occultato. A tematiche affini (anche se in senso lato) può essere ricondotto il saggio di Maurizio Vesco che, nell’esaminare alcune vedute di Palermo fra Seicento e Ottocento, ne storicizza le finalità diverse, mostrando come in relazione ad esse nel volger del tempo vengano prescelti, quali protagonisti della scena, luoghi e manufatti diversi: dall’antico porto della Cala, al fronte a mare con la strada Colonna, per pervenire alla affermazione di una nuova maniera, basata sul ribaltamento e allontanamento in chiave romantica del punto di vista, in cui diverranno simbolicamente centrali il mare del golfo di Palermo e la mole del monte Pellegrino. Altrettanto significativi e ben rappresentati nei saggi compresi in questo volume, i casi in cui la veduta di una particolare località, redatta con attenzione quasi scientifica, si lega ad intenti documentativi. Penso, in particolare, alla veduta di Tursi in Basilicata, di cui tratta Carmela Biscaglia, o a quella del territorio di confine fra i centri di Cimena, Brandizzo e Gassino nel Monferrato di cui tratta Claudia Bonardi. Se nel primo saggio la veduta, redatta da Francesco Cassiano de Silva, ci restituisce le strette “interrelazioni tra paesaggio urbano e paesaggio agrario” in una fase in cui l’antropizzazione del sito, pur intensa, non ne aveva smantellato le qualità ambientali, nel secondo è illustrato il modo in cui la veduta, redatta da Gabriele Bertazzolo nel luglio del 1608, coniuga la artisticità della rappresentazione alla sua attendibilità topografica; il tutto adottando, come sistema di rappresentazione, quello della pianta “alzata” che troverà presto una straordinaria diffusione nelle tavole degli atlanti. Ma penso anche, con riferimento alla utilizzazione della veduta a fini geografico-conoscitivi, o addirittura esplorativi, al saggio sulla terra d’Otranto, in cui Giancarlo De Pascalis evidenzia come le vedute settecentesche del Pacichelli (Il Regno di Napoli in prospettiva) o dell’abate di Saint Non (Voyage pittoresque ou Description des Royaumes de Naples et de Sicile) contribuiscano alla conoscenza e rinascita di un territorio che dopo la battaglia di Lepanto per circa due secoli era rimasto ai margini della vita politico-culturale del mezzogiorno italiano. Al Voyage pittoresque si collega anche la serie delle vedute dello stretto di Messina, qui presentate da Clementina Barucci, che nell’individuare i collegamenti fra una così ricca produzione iconografica e la pratica del Gran Tour, evidenzia come per tal via si definiscano veri prototipi, in grado di formare una sorta di koinè internazionale, il cui veicolo di trasmissione è costituito dall’incisione e, quindi, dalla stampa, più che dalla pittura. Forse testimonianza di più ampie ricomposizioni dei rapporti fra i diversi generi iconografici che, nel mettere in discussione consolidate gerarchie, tende al policentrismo affacciandosi alla contemporaneità.File | Dimensione | Formato | |
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