La distopia della città moderno-contemporanea Ogni progetto di architettura, a qualsiasi scala sia formulato, ha pulsioni utopiche. Non solo: per sta-tuto, il lavoro dell’architetto e dell’urbanista modifica e cerca di migliorare la situazione della città esistente, che è sempre criticamente vista in una luce potentemente distopica. In questo processo duale di produzione di visioni distopiche e utopiche, tuttavia, ci si dimentica spesso che la città è il prodotto del costruire degli uomini e quindi degli architetti e degli urbanisti delle generazioni prece-denti. I professionisti della città, così, con i piani urbanistici e i grandi progetti architettonici a scala urbana, alimentano in maniera ambigua la perenne visione distopica del pensiero dominante mainstream sulla città reale, proponendosi come il deus ex machina che può invece trasformarla in un paradiso terrestre. Ovviamente, se parte di questa utopia urbana viene realizzata, quasi mai coincide con la visione iniziale e quasi sempre diventa la base iconografica della percezione distopica che l’”uomo comune” ha della metropoli, come per esempio testimoniano gli enormi quartieri di edilizia sociale del Secondo dopoguerra, sorti dalle grandi visioni urbane del Novecento. Più le visioni dell’architetto sono estreme – per esempio Filarete nel Rinascimento, Ledoux nell’Illuminismo, Le Corbusier nel Moderno, I Radical nel Postmoderno, Koolhaas nel Contempora-neo – più questo rapporto tra i due estremi dell’immaginario urbano è complesso: in Le Corbusier e in molti esponenti del Movimento Moderno nord-europeo, per esempio, la visione distopica dell’esistente riguardava la città industriale ottocentesca, mentre l’antica città mediterranea vernaco-lare era poeticamente vista come un paradisiaco mondo perduto. I Radical, invece, spostarono fuo-ri dall’ambiente antropico e dal mondo abitato le visioni positive di una possibile nuova architettura, imponendo inconsciamente un atteggiamento cinico e negativo dei fatti urbani, che maturò definiti-vamente con Rem Koolhaas, il quale, con la teoria della città generica, trasformò la feroce visione distopica del mercato nella vera utopia contemporanea, realizzabile a buon mercato.

[La metropoli distopica] / Lanzetta, Alessandro. - In: COSMOPOLIS. - ISSN 1828-9231. - XV:XV(2018).

[La metropoli distopica]

Alessandro Lanzetta
Primo
2018

Abstract

La distopia della città moderno-contemporanea Ogni progetto di architettura, a qualsiasi scala sia formulato, ha pulsioni utopiche. Non solo: per sta-tuto, il lavoro dell’architetto e dell’urbanista modifica e cerca di migliorare la situazione della città esistente, che è sempre criticamente vista in una luce potentemente distopica. In questo processo duale di produzione di visioni distopiche e utopiche, tuttavia, ci si dimentica spesso che la città è il prodotto del costruire degli uomini e quindi degli architetti e degli urbanisti delle generazioni prece-denti. I professionisti della città, così, con i piani urbanistici e i grandi progetti architettonici a scala urbana, alimentano in maniera ambigua la perenne visione distopica del pensiero dominante mainstream sulla città reale, proponendosi come il deus ex machina che può invece trasformarla in un paradiso terrestre. Ovviamente, se parte di questa utopia urbana viene realizzata, quasi mai coincide con la visione iniziale e quasi sempre diventa la base iconografica della percezione distopica che l’”uomo comune” ha della metropoli, come per esempio testimoniano gli enormi quartieri di edilizia sociale del Secondo dopoguerra, sorti dalle grandi visioni urbane del Novecento. Più le visioni dell’architetto sono estreme – per esempio Filarete nel Rinascimento, Ledoux nell’Illuminismo, Le Corbusier nel Moderno, I Radical nel Postmoderno, Koolhaas nel Contempora-neo – più questo rapporto tra i due estremi dell’immaginario urbano è complesso: in Le Corbusier e in molti esponenti del Movimento Moderno nord-europeo, per esempio, la visione distopica dell’esistente riguardava la città industriale ottocentesca, mentre l’antica città mediterranea vernaco-lare era poeticamente vista come un paradisiaco mondo perduto. I Radical, invece, spostarono fuo-ri dall’ambiente antropico e dal mondo abitato le visioni positive di una possibile nuova architettura, imponendo inconsciamente un atteggiamento cinico e negativo dei fatti urbani, che maturò definiti-vamente con Rem Koolhaas, il quale, con la teoria della città generica, trasformò la feroce visione distopica del mercato nella vera utopia contemporanea, realizzabile a buon mercato.
2018
distopia; utopia; movimento moderno; comunicazione
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
[La metropoli distopica] / Lanzetta, Alessandro. - In: COSMOPOLIS. - ISSN 1828-9231. - XV:XV(2018).
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