L’articolo bersaglio ha il merito di richiamare l’attenzione su un tema centrale per la psicologia italiana: il rapporto tra ricerca, formazione e professione. È difficile non essere d’accordo con gli autori quando denunciano la frattura tra ricerca e professione e i danni che essa genera. Meno condivisibili sono invece la lettura del fenomeno e le possibili soluzioni che gli autori propongono. A seguire espongo le mie riserve unitamente ad alcune riflessioni, in modo necessariamente schematico per esigenze di sintesi, partendo dalle conclusioni dell’articolo bersaglio. La soluzione prospettata dagli autori, ovvero una «separazione netta» tra il mondo della professione e quello della ricerca (nella prospettiva degli autori, quest’ultimo rimanda sostanzialmente al «laboratorio e alla neuroscienze), è a mio avviso parte del problema, non il suo rimedio. La ricchezza della psicologia consiste nella sua pluralità interna – le comunità religiose prosperano sull’omogeneità; le comunità scientifiche si sviluppano tramite la differenza. La scienza è uso dell’alterità come principio etico e criterio epistemico. La psicologia ha il privilegio di contenere in sé la variabilità dell’intero universo scientifico – alcuni la considerano scienza naturale, altri una delle scienze sociali; altri ancora parte delle scienze umane. Tale varietà epistemica non va liquidata, ma difesa e promossa in quanto ricchezza, non dissimilmente da quanto si fa per quella biologica. La scelta strategica che la psicologia accademica sta portando avanti nell’ultimo decennio – in modo necessariamente faticoso, non sempre in maniera efficace e lungimirante – ma questa è altra faccenda – è di restare unita, riconoscendo in tale unità la propria forza.
Il giardino dell'altro / Salvatore, Sergio. - In: GIORNALE ITALIANO DI PSICOLOGIA. - ISSN 0390-5349. - 44:3(2017), pp. 669-674. [10.1421/88375]
Il giardino dell'altro
Salvatore, Sergio
2017
Abstract
L’articolo bersaglio ha il merito di richiamare l’attenzione su un tema centrale per la psicologia italiana: il rapporto tra ricerca, formazione e professione. È difficile non essere d’accordo con gli autori quando denunciano la frattura tra ricerca e professione e i danni che essa genera. Meno condivisibili sono invece la lettura del fenomeno e le possibili soluzioni che gli autori propongono. A seguire espongo le mie riserve unitamente ad alcune riflessioni, in modo necessariamente schematico per esigenze di sintesi, partendo dalle conclusioni dell’articolo bersaglio. La soluzione prospettata dagli autori, ovvero una «separazione netta» tra il mondo della professione e quello della ricerca (nella prospettiva degli autori, quest’ultimo rimanda sostanzialmente al «laboratorio e alla neuroscienze), è a mio avviso parte del problema, non il suo rimedio. La ricchezza della psicologia consiste nella sua pluralità interna – le comunità religiose prosperano sull’omogeneità; le comunità scientifiche si sviluppano tramite la differenza. La scienza è uso dell’alterità come principio etico e criterio epistemico. La psicologia ha il privilegio di contenere in sé la variabilità dell’intero universo scientifico – alcuni la considerano scienza naturale, altri una delle scienze sociali; altri ancora parte delle scienze umane. Tale varietà epistemica non va liquidata, ma difesa e promossa in quanto ricchezza, non dissimilmente da quanto si fa per quella biologica. La scelta strategica che la psicologia accademica sta portando avanti nell’ultimo decennio – in modo necessariamente faticoso, non sempre in maniera efficace e lungimirante – ma questa è altra faccenda – è di restare unita, riconoscendo in tale unità la propria forza.File | Dimensione | Formato | |
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