La tesi ha ad oggetto l’analisi del principio di solidarietà applicato alla responsabilità dei membri del consiglio d’amministrazione di società per azioni, che adottino il c.d. “modello tradizionale” di gestione e controllo. L’esame delle regole in materia di responsabilità degli amministratori (Cap. I) e di obbligazioni solidali (Cap. II) è necessario per rispondere al quesito che fonda l’intero lavoro, ovvero se la responsabilità gestionale di cui all’art. 2392 c.c. possa, ancora oggi, definirsi “solidale”. La disposizione citata, rubricata “Responsabilità degli amministratori nei confronti della società”, stabilisce che gli amministratori sono solidalmente responsabili nei confronti della società per i danni derivanti dalla violazione degli obblighi che, per legge o previsione statutaria, gravino sugli stessi. Prima della riforma del diritto societario, attuata con D.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, la previsione del regime di responsabilità solidale era giustificata dalla completa equiparazione delle posizioni dei membri del collegio nella causazione del danno. L’intervento riformatore ha apportato numerose modifiche che hanno diversificato e specificato il contenuto degli obblighi facenti capo a ciascun consigliere. La conseguente disomogeneità dei doveri dei membri del consiglio fa emergere il dubbio circa la reale sussistenza del vincolo solidale tra gli amministratori e, dunque, circa la riconducibilità dello stesso all’alveo della relativa disciplina. In particolare, verrebbe meno un elemento costitutivo della solidarietà, ovvero la “eadem res debita”. Con tale espressione si intende, tradizionalmente, l’identità della prestazione oggetto dell’obbligazione solidale. Se, infatti, perché possa dirsi operante il principio solidaristico, si presuppone che ciascun condebitore sia tenuto alla medesima condotta, il caso degli amministratori di società per azioni rimarrebbe escluso dal suo ambito applicativo. Nel lavoro si è tentato di elaborare una soluzione che conservi la regola della solidarietà nel consiglio d’amministrazione, nonostante i mutamenti intervenuti. L’assunto fondamentale è che l’identità della prestazione debba essere intesa in senso giuridico, come idoneità del contenuto della stessa a estinguere per intero l’obbligazione nei confronti del creditore, qualunque sia il condebitore chiamato ad adempiere. Tale idoneità non può che derivare dalla fungibilità dell’oggetto della prestazione. In secondo luogo, si nota come la solidarietà di cui parla la disposizione di cui all’art. 2392 c.c. non attiene all’obbligazione “originaria” facente capo agli amministratori che, come si è detto, è diversificata nel suo contenuto, bensì all’obbligazione risarcitoria che sorge a seguito dell’accertamento della responsabilità. È la responsabilità ad essere solidale e non il debito. Il vincolo solidale sorgerebbe, in altre parole, nel passaggio dal “debito” originario alla responsabilità da risarcimento. Pertanto, l’unicità della prestazione, intesa in senso giuridico, verrebbe recuperata al momento della quantificazione e monetizzazione dell’obbligazione risarcitoria. A partire da questo momento, infatti, l’obbligazione originaria è trasformata nel bene fungibile per eccellenza: il denaro. Qualunque sia il soggetto chiamato ad adempiere essa sarà idonea a soddisfare l’interesse del danneggiato. L’ultima parte dell’elaborato segna il passaggio alle questioni processuali legate al carattere solidale della responsabilità degli amministratori. L’analisi delle stesse porterà a confermare la permanenza del regime della solidarietà all’interno del cda, nonostante i numerosi cambiamenti intervenuti paiono averla “affievolita” o “graduata”. Ciò è confermato, nel processo, dall’applicazione del litisconsorzio facoltativo e dalla scindibilità delle cause aventi ad oggetto l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori (Cap. III). Una particolare attenzione è dedicata, infine, alla transazione avente ad oggetto le obbligazioni solidali e, ancora di più, alla transazione che riguardi non l’intero debito, ma le quote dello stesso imputabili a ciascun condebitore. Il contratto descritto, ammesso nella prassi, lascia aperte una serie di questioni: se si possa ancora parlare di solidarietà posto che la suddivisione in quote dovrebbe rimanere appannaggio dei rapporti interni e non riguardare, invece, quelli con il comune creditore; quali siano gli effetti di un simile contratto sui condebitori che non vi partecipano e sul debito residuo. La transazione pro quota attribuisce rilievo esterno alla diversa ripartizione delle quote che, invece, normalmente non rileva nei rapporti con il creditore ma solo in quelli interni, ai fini dell’azione di regresso. Verrebbe meno, dunque, uno degli aspetti costitutivi della solidarietà, perché il creditore non può domandare al transigente l’adempimento dell’intero debito, in quanto il coobbligato che conclude la transazione si scioglie dal vincolo solidale. In realtà, l’idea che la solidarietà cessi nel momento in cui la suddivisione in quote è “esternalizzata” si fonda sul presupposto per cui il vincolo solidale, per esistere, necessita di una prestazione unica e identica in capo a tutti i condebitori. Se, tuttavia, si accoglie la ricostruzione proposta in questo lavoro, per cui l’identità e l’unicità sono da intendere come fungibilità del contenuto della prestazione e, quindi, come idoneità della stessa a soddisfare il creditore qualunque sia il soggetto adempiente, si comprenderà come la transazione “parziale” non fa venir meno questi requisiti. Infatti, la prestazione che residua in capo ai condebitori non transigenti, seppur ridotta nel suo ammontare, sarà ancora idonea a realizzare l’interesse creditorio per la parte di debito non soddisfatta dalla transazione. Il vincolo di solidarietà si scioglie solo per il condebitore che ha transatto, ma continua a esistere per gli altri. La transazione pro quota tra il danneggiato ed uno dei condebitori solidali, quindi, non trasforma l'obbligazione da solidale in parziaria e da ciò deriva che le restanti parti non aderenti alla transazione devono essere condannate per l'intera somma determinata a titolo di risarcimento, seppur ridotta in misura proporzionale alla quota transatta. Il lavoro termina con l’idea che le conclusioni cui si è pervenuti siano fondate sullo stato attuale della normativa. Non si esclude, pertanto, uno sviluppo futuro della questione. Una proposta in tal senso è stata abbozzata nel paragrafo di chiusura.

Il principio di solidarietà nella responsabilità degli amministartori di Spa / Circosta, Roberta. - (2019 Sep 27).

Il principio di solidarietà nella responsabilità degli amministartori di Spa

CIRCOSTA, ROBERTA
27/09/2019

Abstract

La tesi ha ad oggetto l’analisi del principio di solidarietà applicato alla responsabilità dei membri del consiglio d’amministrazione di società per azioni, che adottino il c.d. “modello tradizionale” di gestione e controllo. L’esame delle regole in materia di responsabilità degli amministratori (Cap. I) e di obbligazioni solidali (Cap. II) è necessario per rispondere al quesito che fonda l’intero lavoro, ovvero se la responsabilità gestionale di cui all’art. 2392 c.c. possa, ancora oggi, definirsi “solidale”. La disposizione citata, rubricata “Responsabilità degli amministratori nei confronti della società”, stabilisce che gli amministratori sono solidalmente responsabili nei confronti della società per i danni derivanti dalla violazione degli obblighi che, per legge o previsione statutaria, gravino sugli stessi. Prima della riforma del diritto societario, attuata con D.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, la previsione del regime di responsabilità solidale era giustificata dalla completa equiparazione delle posizioni dei membri del collegio nella causazione del danno. L’intervento riformatore ha apportato numerose modifiche che hanno diversificato e specificato il contenuto degli obblighi facenti capo a ciascun consigliere. La conseguente disomogeneità dei doveri dei membri del consiglio fa emergere il dubbio circa la reale sussistenza del vincolo solidale tra gli amministratori e, dunque, circa la riconducibilità dello stesso all’alveo della relativa disciplina. In particolare, verrebbe meno un elemento costitutivo della solidarietà, ovvero la “eadem res debita”. Con tale espressione si intende, tradizionalmente, l’identità della prestazione oggetto dell’obbligazione solidale. Se, infatti, perché possa dirsi operante il principio solidaristico, si presuppone che ciascun condebitore sia tenuto alla medesima condotta, il caso degli amministratori di società per azioni rimarrebbe escluso dal suo ambito applicativo. Nel lavoro si è tentato di elaborare una soluzione che conservi la regola della solidarietà nel consiglio d’amministrazione, nonostante i mutamenti intervenuti. L’assunto fondamentale è che l’identità della prestazione debba essere intesa in senso giuridico, come idoneità del contenuto della stessa a estinguere per intero l’obbligazione nei confronti del creditore, qualunque sia il condebitore chiamato ad adempiere. Tale idoneità non può che derivare dalla fungibilità dell’oggetto della prestazione. In secondo luogo, si nota come la solidarietà di cui parla la disposizione di cui all’art. 2392 c.c. non attiene all’obbligazione “originaria” facente capo agli amministratori che, come si è detto, è diversificata nel suo contenuto, bensì all’obbligazione risarcitoria che sorge a seguito dell’accertamento della responsabilità. È la responsabilità ad essere solidale e non il debito. Il vincolo solidale sorgerebbe, in altre parole, nel passaggio dal “debito” originario alla responsabilità da risarcimento. Pertanto, l’unicità della prestazione, intesa in senso giuridico, verrebbe recuperata al momento della quantificazione e monetizzazione dell’obbligazione risarcitoria. A partire da questo momento, infatti, l’obbligazione originaria è trasformata nel bene fungibile per eccellenza: il denaro. Qualunque sia il soggetto chiamato ad adempiere essa sarà idonea a soddisfare l’interesse del danneggiato. L’ultima parte dell’elaborato segna il passaggio alle questioni processuali legate al carattere solidale della responsabilità degli amministratori. L’analisi delle stesse porterà a confermare la permanenza del regime della solidarietà all’interno del cda, nonostante i numerosi cambiamenti intervenuti paiono averla “affievolita” o “graduata”. Ciò è confermato, nel processo, dall’applicazione del litisconsorzio facoltativo e dalla scindibilità delle cause aventi ad oggetto l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori (Cap. III). Una particolare attenzione è dedicata, infine, alla transazione avente ad oggetto le obbligazioni solidali e, ancora di più, alla transazione che riguardi non l’intero debito, ma le quote dello stesso imputabili a ciascun condebitore. Il contratto descritto, ammesso nella prassi, lascia aperte una serie di questioni: se si possa ancora parlare di solidarietà posto che la suddivisione in quote dovrebbe rimanere appannaggio dei rapporti interni e non riguardare, invece, quelli con il comune creditore; quali siano gli effetti di un simile contratto sui condebitori che non vi partecipano e sul debito residuo. La transazione pro quota attribuisce rilievo esterno alla diversa ripartizione delle quote che, invece, normalmente non rileva nei rapporti con il creditore ma solo in quelli interni, ai fini dell’azione di regresso. Verrebbe meno, dunque, uno degli aspetti costitutivi della solidarietà, perché il creditore non può domandare al transigente l’adempimento dell’intero debito, in quanto il coobbligato che conclude la transazione si scioglie dal vincolo solidale. In realtà, l’idea che la solidarietà cessi nel momento in cui la suddivisione in quote è “esternalizzata” si fonda sul presupposto per cui il vincolo solidale, per esistere, necessita di una prestazione unica e identica in capo a tutti i condebitori. Se, tuttavia, si accoglie la ricostruzione proposta in questo lavoro, per cui l’identità e l’unicità sono da intendere come fungibilità del contenuto della prestazione e, quindi, come idoneità della stessa a soddisfare il creditore qualunque sia il soggetto adempiente, si comprenderà come la transazione “parziale” non fa venir meno questi requisiti. Infatti, la prestazione che residua in capo ai condebitori non transigenti, seppur ridotta nel suo ammontare, sarà ancora idonea a realizzare l’interesse creditorio per la parte di debito non soddisfatta dalla transazione. Il vincolo di solidarietà si scioglie solo per il condebitore che ha transatto, ma continua a esistere per gli altri. La transazione pro quota tra il danneggiato ed uno dei condebitori solidali, quindi, non trasforma l'obbligazione da solidale in parziaria e da ciò deriva che le restanti parti non aderenti alla transazione devono essere condannate per l'intera somma determinata a titolo di risarcimento, seppur ridotta in misura proporzionale alla quota transatta. Il lavoro termina con l’idea che le conclusioni cui si è pervenuti siano fondate sullo stato attuale della normativa. Non si esclude, pertanto, uno sviluppo futuro della questione. Una proposta in tal senso è stata abbozzata nel paragrafo di chiusura.
27-set-2019
File allegati a questo prodotto
File Dimensione Formato  
Tesi_dottorato_Circosta.pdf

Open Access dal 12/10/2022

Tipologia: Tesi di dottorato
Licenza: Tutti i diritti riservati (All rights reserved)
Dimensione 1.42 MB
Formato Adobe PDF
1.42 MB Adobe PDF

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1320297
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact