Nell’attuale periodo storico, determinato dal fallimento delle grandi sistematizzazioni teoriche di stampo occidentale, e caratterizzato da un ambiguo rapporto con il problema della forma urbana e sociale risulta oltremodo difficile, forse persino al di là del buon senso, immaginare un nuova Utopia possibile. Con ogni probabilità la società occidentale, in particolare quella europea, sta ancora pagando lo scotto del traumatico tentativo di tradurre in realtà le grandi utopie del Novecento, e giace confinata in una sorta di limbo intellettuale, intorpidita da una frastornante crisi economica e di valori. Analogamente agli uomini della tarda antichità viviamo senza grandi opposizioni le forti incertezze derivanti dall’assenza di una visione -individuale e collettiva- capace di trainarci verso mari inesplorati, alla ricerca di nuove isole dove coltivare (e possibilmente realizzare) le nostre utopie. Diversamente dalla generazione dei grandi maestri, non ci intimorisce soltanto l’approdo verso nuove utopie ma il fatto stesso di compiere il viaggio. In altri termini non siamo Ulisse, ma probabilmente neanche Telemaco. Cosa ancora più grave proprio il mondo degli architetti, che avrebbe dovuto traghettare l’uomo verso l’Utopia, si è rassegnato a vivere tra precarietà e pressappochismo il proprio futuro, privo ambizioni e di curiosità, dopo aver rinunciato ai dettami civici della propria formazione, rifugiandosi nelle effimere dimensioni uterine della sociologia e dell’antropologia. La rinuncia al progetto d’urbanistica e d’architettura rappresenta, d’altronde, la rinuncia alla parte più vitale della professione, e se si continuerà su questa strada essa finirà col divenire sempre più un fallimento collettivo, che dal mondo degli architetti e degli intellettuali si trasferirà, inevitabilmente, alla società. Oggi più che mai è necessario formare una nuova generazione di architetti utopisti, che ripensi la città organicamente, ripartendo dalla forma urbana nella sua accezione più vasta, senza distinzioni di metodo tra slums e condominios cerrados (per ora limitati al solo Sud America, ma nel futuro chissà!) e ciò nonostante la consapevolezza di vivere in una realtà dominata dallo spettro della decrescita economica (che alcuni si ostinano a definire prosperosa) e culturale, la quale è in grado di atterrirci, spaventarci nel più profondo, perché il solo udire scricchiolii ci fa temere il peggio, anche senza intravederne la causa.

Verso un’Organicità futura: ripartire dalla forma urbana / Falsetti, Marco; Ciotoli, Pina. - (2018), pp. 214-217. (Intervento presentato al convegno VI Forum della Società Scientifica nazionale dei docenti di Progettazione Architettonica, SSD Icar 14, 15 e 16 tenutosi a Roma).

Verso un’Organicità futura: ripartire dalla forma urbana

Marco Falsetti;Pina Ciotoli
2018

Abstract

Nell’attuale periodo storico, determinato dal fallimento delle grandi sistematizzazioni teoriche di stampo occidentale, e caratterizzato da un ambiguo rapporto con il problema della forma urbana e sociale risulta oltremodo difficile, forse persino al di là del buon senso, immaginare un nuova Utopia possibile. Con ogni probabilità la società occidentale, in particolare quella europea, sta ancora pagando lo scotto del traumatico tentativo di tradurre in realtà le grandi utopie del Novecento, e giace confinata in una sorta di limbo intellettuale, intorpidita da una frastornante crisi economica e di valori. Analogamente agli uomini della tarda antichità viviamo senza grandi opposizioni le forti incertezze derivanti dall’assenza di una visione -individuale e collettiva- capace di trainarci verso mari inesplorati, alla ricerca di nuove isole dove coltivare (e possibilmente realizzare) le nostre utopie. Diversamente dalla generazione dei grandi maestri, non ci intimorisce soltanto l’approdo verso nuove utopie ma il fatto stesso di compiere il viaggio. In altri termini non siamo Ulisse, ma probabilmente neanche Telemaco. Cosa ancora più grave proprio il mondo degli architetti, che avrebbe dovuto traghettare l’uomo verso l’Utopia, si è rassegnato a vivere tra precarietà e pressappochismo il proprio futuro, privo ambizioni e di curiosità, dopo aver rinunciato ai dettami civici della propria formazione, rifugiandosi nelle effimere dimensioni uterine della sociologia e dell’antropologia. La rinuncia al progetto d’urbanistica e d’architettura rappresenta, d’altronde, la rinuncia alla parte più vitale della professione, e se si continuerà su questa strada essa finirà col divenire sempre più un fallimento collettivo, che dal mondo degli architetti e degli intellettuali si trasferirà, inevitabilmente, alla società. Oggi più che mai è necessario formare una nuova generazione di architetti utopisti, che ripensi la città organicamente, ripartendo dalla forma urbana nella sua accezione più vasta, senza distinzioni di metodo tra slums e condominios cerrados (per ora limitati al solo Sud America, ma nel futuro chissà!) e ciò nonostante la consapevolezza di vivere in una realtà dominata dallo spettro della decrescita economica (che alcuni si ostinano a definire prosperosa) e culturale, la quale è in grado di atterrirci, spaventarci nel più profondo, perché il solo udire scricchiolii ci fa temere il peggio, anche senza intravederne la causa.
2018
VI Forum della Società Scientifica nazionale dei docenti di Progettazione Architettonica, SSD Icar 14, 15 e 16
progetto urbano; composizione architettonica; organismo
04 Pubblicazione in atti di convegno::04b Atto di convegno in volume
Verso un’Organicità futura: ripartire dalla forma urbana / Falsetti, Marco; Ciotoli, Pina. - (2018), pp. 214-217. (Intervento presentato al convegno VI Forum della Società Scientifica nazionale dei docenti di Progettazione Architettonica, SSD Icar 14, 15 e 16 tenutosi a Roma).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1308131
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