L’ambiente viene utilizzato nella definizione della fattispecie tributaria con due diverse modalità: talvolta esso è considerato lo scopo del tributo attraverso la previsione di una specifica destinazione del gettito al finanziamento di attività pubbliche rivolte alla sua salvaguardia; in altri casi è indicato come oggetto di tutela alla stregua di criteri extrafiscali che ispirano incentivi e disincentivi. In questa ottica si muovono gli orientamenti internazionali, che hanno inteso definire "environmental taxes" o "ecotaxes" tutti quei tributi "introduced for environmental reasons or having environmental effects independent of the motives behind the tax or charge" o, comunque, comprendere i tributi ambientali tra gli "economic instruments in environmental policy". In tutte queste definizioni si rinviene una marcata finalizzazione dei tributi in esame alla funzione di indirizzo e coordinamento delle attività dei privati (siano esse di produzione o di consumo) a finalità di salvaguardia di livelli sostenibili nelle condizioni di vita. Una più ampia prospettiva nella ricostruzione del concetto di “tributo ambientale” è scaturita dalla sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 2001 che, giudicando sulla legittimità dell’IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive) ha rinvenuto il presupposto di tale tributo nell’elemento dell’organizzazione, osservando che anche il “dominio” sui fattori produttivi che da questo deriva può costituire un indice di ricchezza economicamente valutabile. L’apertura della Corte ha aperto la strada alla possibilità di considerare tassabili non soltanto gli indici tradizionali riconducibili alla ricchezza monetaria (patrimonio, reddito, consumo, trasferimenti) ma anche i valori non monetari aventi rilievo economico. In questa ottica può essere istituita una relazione tra l’ambiente (rectius, la trasformazione ambientale) ed il tributo, giustificando la collocazione dell’elemento ambientale all’interno della fattispecie tributaria e non, come nelle ipotesi richiamate in precedenza, soltanto all’esterno della stessa. Ciò comporta la possibilità di assumere tali condotte a fatti-indice di una autonoma capacità contributiva, visto non soltanto nell’ottica ristretta del prelievo indiretto (nella quale fino ad oggi il fenomeno è stato collocato) ma nella più vasta prospettiva dell’imposizione sul reddito che superi i tradizionali metodi di ricostruzione della potenzialità economica complessiva del contribuente e porti a delineare i contorni di un tributo ambientale generale da porre come alternativa o, quanto meno, come sostanziale integrazione di un moderno sistema tributario.
La tassazione ambientale: nuovi indici di ricchezza, razionalità del prelievo e principi dell’ordinamento comunitario / Selicato, Pietro. - In: RIVISTA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE. - ISSN 1824-1476. - STAMPA. - 2-3:(2004), pp. 257-304.
La tassazione ambientale: nuovi indici di ricchezza, razionalità del prelievo e principi dell’ordinamento comunitario
SELICATO, PIETRO
2004
Abstract
L’ambiente viene utilizzato nella definizione della fattispecie tributaria con due diverse modalità: talvolta esso è considerato lo scopo del tributo attraverso la previsione di una specifica destinazione del gettito al finanziamento di attività pubbliche rivolte alla sua salvaguardia; in altri casi è indicato come oggetto di tutela alla stregua di criteri extrafiscali che ispirano incentivi e disincentivi. In questa ottica si muovono gli orientamenti internazionali, che hanno inteso definire "environmental taxes" o "ecotaxes" tutti quei tributi "introduced for environmental reasons or having environmental effects independent of the motives behind the tax or charge" o, comunque, comprendere i tributi ambientali tra gli "economic instruments in environmental policy". In tutte queste definizioni si rinviene una marcata finalizzazione dei tributi in esame alla funzione di indirizzo e coordinamento delle attività dei privati (siano esse di produzione o di consumo) a finalità di salvaguardia di livelli sostenibili nelle condizioni di vita. Una più ampia prospettiva nella ricostruzione del concetto di “tributo ambientale” è scaturita dalla sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 2001 che, giudicando sulla legittimità dell’IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive) ha rinvenuto il presupposto di tale tributo nell’elemento dell’organizzazione, osservando che anche il “dominio” sui fattori produttivi che da questo deriva può costituire un indice di ricchezza economicamente valutabile. L’apertura della Corte ha aperto la strada alla possibilità di considerare tassabili non soltanto gli indici tradizionali riconducibili alla ricchezza monetaria (patrimonio, reddito, consumo, trasferimenti) ma anche i valori non monetari aventi rilievo economico. In questa ottica può essere istituita una relazione tra l’ambiente (rectius, la trasformazione ambientale) ed il tributo, giustificando la collocazione dell’elemento ambientale all’interno della fattispecie tributaria e non, come nelle ipotesi richiamate in precedenza, soltanto all’esterno della stessa. Ciò comporta la possibilità di assumere tali condotte a fatti-indice di una autonoma capacità contributiva, visto non soltanto nell’ottica ristretta del prelievo indiretto (nella quale fino ad oggi il fenomeno è stato collocato) ma nella più vasta prospettiva dell’imposizione sul reddito che superi i tradizionali metodi di ricostruzione della potenzialità economica complessiva del contribuente e porti a delineare i contorni di un tributo ambientale generale da porre come alternativa o, quanto meno, come sostanziale integrazione di un moderno sistema tributario.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.