A partire dalla seconda metà degli anni ‘70 erano state già acquisite consistenti informazioni sulla epatite non-A, non-B, ormai considerata come una terza forma di epatite virale causata da uno o più virus, che, nelle persone infette, aveva un decorso cronico come per l’epatite B. Erano state individuate diverse categorie di persone particolarmente esposte per via parenterale quali i tossicodipendenti e i politrasfusi. Inoltre erano stati già identificati soggetti infetti dalla epatite non-A, non-B considerati sporadici di cui non era stata identificata una via di trasmissione parenterale dell’infezione. Per l’esame retrospettivo, a fini medico-legali, del nesso causale tra trasfusioni e infezione, non è ovviamente possibile utilizzare sistemi basati sulla ricerca degli anticorpi specifici, all’epoca non disponibili, ma eventualmente solo elementi indiretti fondati sul comportamenti delle transaminasi, ove riscontrabili. In caso contrario, l’affermazione del nesso causale rimarrà aleatoria, considerato il carattere endemico della malattia e la possibilità di fonti alternative di contagio (forme nosocomiali, cure odontoiatriche, contagio sessuale, comportamenti a rischio legati all’assunzione di droghe, tatuaggi, manicure). Senza dubbio, più affidabile è l’indagine medico-legale retrospettiva per i casi a partire dal 1990, in primo luogo a causa della disponibilità di test anticorpali specifici per l’epatite C, ma anche per una serie di provvedimenti normativi atti ad assicurare la tracciabilità di ogni unità donata. Viene presentata una casistica di soggetti valutati sia ai fini della corresponsione dei benefici indennitari di legge sia nell’ambito di ulteriori procedimenti civilistici, che dimostra come, pur essendo disponibile una criteriologia di valutazione del nesso causale razionale e condivisa, non sempre tale valutazione si dimostri corrispondere - nella pratica - a solidi criteri scientifici. Si segnala, infine, che la valutazione del nesso causale non è del tutto esaustiva dei problemi medico-legali di carattere civilistico, in quanto questa presuppone l’individuazione di responsabilità di singoli operatori o di struttura legate al mancato rispetto delle procedure previste dalla normativa specifica che talora non risultano sussistere anche quando sono soddisfatti tutti i criteri per l’attribuzione del nesso causale con la pratica trasfusionale sospetta.

L'epatite trasfusionale. Considerazioni in tema di nesso causale / Marinelli, Enrico; Zaami, Simona; Pezzella, Mario; Traditi, Fiore. - In: MINERVA MEDICOLEGALE. - ISSN 0026-4849. - STAMPA. - 126:(2006), pp. 107-121.

L'epatite trasfusionale. Considerazioni in tema di nesso causale

MARINELLI, Enrico;ZAAMI, Simona;PEZZELLA, Mario;TRADITI, Fiore
2006

Abstract

A partire dalla seconda metà degli anni ‘70 erano state già acquisite consistenti informazioni sulla epatite non-A, non-B, ormai considerata come una terza forma di epatite virale causata da uno o più virus, che, nelle persone infette, aveva un decorso cronico come per l’epatite B. Erano state individuate diverse categorie di persone particolarmente esposte per via parenterale quali i tossicodipendenti e i politrasfusi. Inoltre erano stati già identificati soggetti infetti dalla epatite non-A, non-B considerati sporadici di cui non era stata identificata una via di trasmissione parenterale dell’infezione. Per l’esame retrospettivo, a fini medico-legali, del nesso causale tra trasfusioni e infezione, non è ovviamente possibile utilizzare sistemi basati sulla ricerca degli anticorpi specifici, all’epoca non disponibili, ma eventualmente solo elementi indiretti fondati sul comportamenti delle transaminasi, ove riscontrabili. In caso contrario, l’affermazione del nesso causale rimarrà aleatoria, considerato il carattere endemico della malattia e la possibilità di fonti alternative di contagio (forme nosocomiali, cure odontoiatriche, contagio sessuale, comportamenti a rischio legati all’assunzione di droghe, tatuaggi, manicure). Senza dubbio, più affidabile è l’indagine medico-legale retrospettiva per i casi a partire dal 1990, in primo luogo a causa della disponibilità di test anticorpali specifici per l’epatite C, ma anche per una serie di provvedimenti normativi atti ad assicurare la tracciabilità di ogni unità donata. Viene presentata una casistica di soggetti valutati sia ai fini della corresponsione dei benefici indennitari di legge sia nell’ambito di ulteriori procedimenti civilistici, che dimostra come, pur essendo disponibile una criteriologia di valutazione del nesso causale razionale e condivisa, non sempre tale valutazione si dimostri corrispondere - nella pratica - a solidi criteri scientifici. Si segnala, infine, che la valutazione del nesso causale non è del tutto esaustiva dei problemi medico-legali di carattere civilistico, in quanto questa presuppone l’individuazione di responsabilità di singoli operatori o di struttura legate al mancato rispetto delle procedure previste dalla normativa specifica che talora non risultano sussistere anche quando sono soddisfatti tutti i criteri per l’attribuzione del nesso causale con la pratica trasfusionale sospetta.
2006
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
L'epatite trasfusionale. Considerazioni in tema di nesso causale / Marinelli, Enrico; Zaami, Simona; Pezzella, Mario; Traditi, Fiore. - In: MINERVA MEDICOLEGALE. - ISSN 0026-4849. - STAMPA. - 126:(2006), pp. 107-121.
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