La presente ricerca ha come suo principale intento quello di seguire, in anni di grande fermento culturale e di non meno importanti, conseguenti trasformazioni politico-sociali, tra XIX e XX secolo, la assimilazione progressiva della cultura filosofica occidentale da parte della Cina attraverso l’introduzione, nella lingua cinese, di termini nuovi, espressione di un diverso approccio ai problemi generali oggetto della filosofia nella accezione occidentale della disciplina. L’assunto da cui si prende le mosse è che, nella situazione data, i fattori linguistici svolgano un ruolo determinante per ampliare gli orizzonti culturali e abbiano una incidenza diretta sulle trasformazioni culturali, politiche e sociali. Tale approccio non vuole essere in alcun caso un modo indiretto di sottovalutazione del patrimonio culturale cinese, legata al pregiudizio che l’unico modo valido di filosofare sia quello che è andato progressivamente affermandosi nel mondo occidentale. Al contrario, l’incontro tra le due culture filosofiche rappresenta un indubbio arricchimento, con effetti positivi sulla conoscenza reciproca di due mondi a lungo distanti l’uno dall'altro. Nel primo capitolo si esamina la lenta e progressiva assimilazione nel lessico cinese del termine filosofia, grazie per ultimo alla mediazione nipponica. Nono-stante il fatto che il termine oggi in uso per indicare la disciplina sia un conio giapponese importato in Cina nei primi anni del XX secolo, è interessante seguire i tentativi di traduzione in lingua cinese della parola avviata dai missionari gesuiti nel XVII secolo e susseguitisi ininterrotti fino all'inizio del ‘900, a dimostrare l’attenzione che i cinesi subito avvertono per una disciplina che riconoscono affine alle proprie riflessioni sugli stessi temi. E lo dimostra anche il fatto che tra questi tentativi non manchi il richiamo di termini già in uso nel cinese classico e nella letteratura confuciana. Che la parola che si è imposta alla fine come soluzione standard non corrisponda all'etimo originario del termine greco significa soltanto che quel termine, nato per caso intorno al VI secolo A.C., preso alla lettera è solo indicativo di una tensione soggettiva verso la sapienza, ma non dà alcuna definizione dell’oggetto della disciplina. Nel secondo capitolo, si parte dall'indicazione dei principi in base ai quali i termini vengono generalmente classificati, facendo riferimento alla letteratura sull’argomento; si procede quindi coll'indicare i termini esaminati, non prima di aver giustificato i motivi in base ai quali la scelta è stata operata. Si è ritenuto di poter scegliere termini di uso molto comune nella produzione filosofica occidentale, appellandosi all'autorevolezza dell’opera di Immanuel Kant, in particolare della Critica della ragion pura (1781 e 1787), motivandone le ragioni, sia quelle di ordine filosofico generale che di ordine specificamente lessicale. Si è pensato inoltre che fosse opportuno introdurre i termini prescelti con una breve indicazione del loro significato generale. Nel terzo ed ultimo capitolo si è dedicata una parte iniziale a delineare per linee generali la fortuna di Kant in Cina, segnatamente nei primi decenni del XX secolo, con riferimento ad alcuni studiosi tra i più rappresentativi del panorama cinese di quegli anni. Ne emerge un quadro molto variegato e, soprattutto, indicativo del modo in cui gli studiosi cinesi, in generale, si avvicinano alla letteratura filosofica occidentale. Si può, seppure cautamente, affermare che lo sguardo cinese sulla cultura filosofica occidentale, almeno nella fase del rapporto iniziale, sia caratterizzato da una mentalità che tende a riconoscere nel pensiero occidentale concetti e temi della propria tradizione culturale e a valutarla di conseguenza: non diversamente da quanto avviene negli intellettuali occidentali che ritengono di poter valutare la riflessione filosofica cinese, a partire da Confucio, con gli stessi criteri utilizzati per valutare la propria tradizione filosofica. Per ultimo vengono esaminate le varianti esistenti, tra le diverse traduzione cinesi della Critica della ragion pura, di alcuni termini tra i più significativi del criticismo kantiano, richiamando in molti casi il testo kantiano anche in lingua inglese, in considerazione del largo utilizzo della traduzione della Critica di Kemp Smith da parte di alcuni traduttori.

Lo sviluppo del lessico filosofico cinese moderno / Gatta, Timon. - (2019 Feb 27).

Lo sviluppo del lessico filosofico cinese moderno

GATTA, TIMON
27/02/2019

Abstract

La presente ricerca ha come suo principale intento quello di seguire, in anni di grande fermento culturale e di non meno importanti, conseguenti trasformazioni politico-sociali, tra XIX e XX secolo, la assimilazione progressiva della cultura filosofica occidentale da parte della Cina attraverso l’introduzione, nella lingua cinese, di termini nuovi, espressione di un diverso approccio ai problemi generali oggetto della filosofia nella accezione occidentale della disciplina. L’assunto da cui si prende le mosse è che, nella situazione data, i fattori linguistici svolgano un ruolo determinante per ampliare gli orizzonti culturali e abbiano una incidenza diretta sulle trasformazioni culturali, politiche e sociali. Tale approccio non vuole essere in alcun caso un modo indiretto di sottovalutazione del patrimonio culturale cinese, legata al pregiudizio che l’unico modo valido di filosofare sia quello che è andato progressivamente affermandosi nel mondo occidentale. Al contrario, l’incontro tra le due culture filosofiche rappresenta un indubbio arricchimento, con effetti positivi sulla conoscenza reciproca di due mondi a lungo distanti l’uno dall'altro. Nel primo capitolo si esamina la lenta e progressiva assimilazione nel lessico cinese del termine filosofia, grazie per ultimo alla mediazione nipponica. Nono-stante il fatto che il termine oggi in uso per indicare la disciplina sia un conio giapponese importato in Cina nei primi anni del XX secolo, è interessante seguire i tentativi di traduzione in lingua cinese della parola avviata dai missionari gesuiti nel XVII secolo e susseguitisi ininterrotti fino all'inizio del ‘900, a dimostrare l’attenzione che i cinesi subito avvertono per una disciplina che riconoscono affine alle proprie riflessioni sugli stessi temi. E lo dimostra anche il fatto che tra questi tentativi non manchi il richiamo di termini già in uso nel cinese classico e nella letteratura confuciana. Che la parola che si è imposta alla fine come soluzione standard non corrisponda all'etimo originario del termine greco significa soltanto che quel termine, nato per caso intorno al VI secolo A.C., preso alla lettera è solo indicativo di una tensione soggettiva verso la sapienza, ma non dà alcuna definizione dell’oggetto della disciplina. Nel secondo capitolo, si parte dall'indicazione dei principi in base ai quali i termini vengono generalmente classificati, facendo riferimento alla letteratura sull’argomento; si procede quindi coll'indicare i termini esaminati, non prima di aver giustificato i motivi in base ai quali la scelta è stata operata. Si è ritenuto di poter scegliere termini di uso molto comune nella produzione filosofica occidentale, appellandosi all'autorevolezza dell’opera di Immanuel Kant, in particolare della Critica della ragion pura (1781 e 1787), motivandone le ragioni, sia quelle di ordine filosofico generale che di ordine specificamente lessicale. Si è pensato inoltre che fosse opportuno introdurre i termini prescelti con una breve indicazione del loro significato generale. Nel terzo ed ultimo capitolo si è dedicata una parte iniziale a delineare per linee generali la fortuna di Kant in Cina, segnatamente nei primi decenni del XX secolo, con riferimento ad alcuni studiosi tra i più rappresentativi del panorama cinese di quegli anni. Ne emerge un quadro molto variegato e, soprattutto, indicativo del modo in cui gli studiosi cinesi, in generale, si avvicinano alla letteratura filosofica occidentale. Si può, seppure cautamente, affermare che lo sguardo cinese sulla cultura filosofica occidentale, almeno nella fase del rapporto iniziale, sia caratterizzato da una mentalità che tende a riconoscere nel pensiero occidentale concetti e temi della propria tradizione culturale e a valutarla di conseguenza: non diversamente da quanto avviene negli intellettuali occidentali che ritengono di poter valutare la riflessione filosofica cinese, a partire da Confucio, con gli stessi criteri utilizzati per valutare la propria tradizione filosofica. Per ultimo vengono esaminate le varianti esistenti, tra le diverse traduzione cinesi della Critica della ragion pura, di alcuni termini tra i più significativi del criticismo kantiano, richiamando in molti casi il testo kantiano anche in lingua inglese, in considerazione del largo utilizzo della traduzione della Critica di Kemp Smith da parte di alcuni traduttori.
27-feb-2019
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1271804
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