La tesi vuole verificare che spazio possa avere nella pianificazione e negli studi urbani l’analisi dell’uso delle moderne tecnologie digitali di comunicazione e interazione nei processi di costruzione del “senso del luogo” e quindi nei modi di abitare il territorio di individui e gruppi, attraverso un approccio metodologico e teorico derivato dall’antropologia culturale. Il territorio fisico e l’ambiente costituito dall’assemblaggio socio-materiale costituito tramite le nuove tecnologie emergono dal lavoro di ricerca come media analoghi e tra loro connessi. Tale conclusione viene raggiunta osservando in che modo i media digitali modifichino le modalità di produzione (sociale non) dello spazio, concentrandosi in particolare su come ciò avvenga attraverso le pratiche di narrazione online. Queste sono state osservate all’interno del quartiere Montesacro di Roma, dove i media digitali vengono coinvolti nei processi di “ri-domesticazione” di un territorio diventato negli anni più difficile da vivere e da rappresentare e identificare chiaramente. Metodologicamente, data la mancanza di significative esperienze di ricerca su questi temi, sono state proposte strade innovative. Alla classica etnografia largamente adottata negli studi antropologici si è cercato di unire alcune sperimentazioni che guardassero, pur non rientrandovi a pieno, a modi d’esplorazione quali lo shadowing e la netnografia. Questa metodologia è quindi risultata in una costruzione tripartita del campo di ricerca, osservato in tre diversi contesti, attraversati dalla stessa ipotesi: rilevata la presenza di una forma di spaesamento (De Martino, 2002, 2007), cioè di difficoltà a orientare il proprio agire all’interno del sempre più complesso sistema urbano, si osserva come i media digitali vengano utilizzati per mettere in atto performance di “narrazione incidentale”, ovvero di uso apparentemente casuale e frammentario di immagini, frasi e altre forme di comunicazione multimediale che confluiscono in meta-narrazioni e strutture retoriche che compartecipano alla costruzione sociale del luogo come un contesto dotato di senso per l’azione degli individui. In particolare, questo uso si fonda sulla recente possibilità di utilizzare i media digitali in modalità non “eccezionali” ma fortemente “routinarie” e innestate nella “quotidianità”. I tre contesti sono di ricerca sono: 1. Quello dei giovani-adulti alle prese con la loro prima occasione di abitare all’interno del quartiere separati dalla famiglia. Da loro, queste forme di narrazione incidentale vengono utilizzate per ambientarsi all’interno del territorio e per gestire tutti i contesti significativi con cui vogliono relazionarsi. I percorsi tracciati da queste pratiche di narrazione producono diverse forme di località qui definite “località-network”, che possono trovarsi totalmente sul web oppure spargersi (e quindi confondersi) tra spazi digitali e fisici. Attraverso i media digitali poi, gli individui costruiscono un “internet personale”, cioè la rete interconnessa di tutte le proprie relazioni e interessi; 2. quello dei gruppi Facebook di quartiere, frequentati soprattutto dagli abitanti più adulti dello stesso e all’interno dei quali vengono proposte rappresentazioni del territorio e si svolgono intensi conflitti riguardo la dimensione simbolica (e non solo) dello stesso. Attraverso l’analisi della retorica del degrado, questi gruppi vengono individuati come i luoghi più frequentati con lo scopo di un dibattito rispetto al territorio, ma anche come luoghi dove esso viene patrimonializzato e sacralizzato; 3. quello di studenti di scuola superiore (un liceo classico) alle prese col complesso compito di farsi individui e cittadini all’interno di un’istituzione, quella scolastica, in forte difficoltà a gestire proprio l’introduzione di queste nuove tecnologie al suo interno. In particolare viene criticata la nozione di “nativo digitale”, mettendo in luce invece le criticità connesse al dover imparare, senza un adeguato aiuto didattico, a usare i media digitali nel vivere lo spazio urbano. Dal racconto dell’esperienza di campo emerge chiaramente come gli spazi digitali frequentati e percorsi dagli abitanti del quartiere di Montesacro finiscano per divenire essi stessi spazi strappati ai grandi provider internazionali per venire invece integrati nello spazio-quartiere e divenire quindi luoghi fondamentali dove, in modalità informali, conflittuali e spesso polarizzate, viene a prodursi il senso del luogo. La narrazione incidentale (Bausinger, 2008) del sé, del territorio e del sé nel territorio si presenta quindi come una routine culturale, come un lavorio di bricolage che ricostruisce nuovi significati in base al materiale già esistente e, nel caso analizzato, sembra agire proprio contro le forme di spaesamento, poiché permette di trovare tatticamente (de Certeau, 2001) lo spazio per produrre immaginazioni e rappresentazioni collettive del territorio. Attraverso queste narrazioni i cittadini mettono informalmente (e a volte inconsapevolmente) in moto pratiche di produzione della località (Appadurai, 2012, 2014) e di cittadinanza partecipativa. Soprattutto in questo senso, le narrazioni incidentali multimediali che vediamo proliferare nel nostro “oggi” risultano capaci di costruire e produrre il territorio e si configurano quindi come un uso dello stesso. Questo inevitabilmente porta a osservare anche come, per innestare pratiche fertili di ricerca-azione, non sia possibile rifiutarsi di “sporcarsi le mani” con quanto avviene sui social network, in discussioni spesso violente e polarizzanti, pena rinunciare definitivamente alla possibilità di un lavoro di ricerca capace di avere un effetto sulla quotidianità delle persone e sul tessuto urbano.

Raccontare per ritrovarsi. Pratiche di narrazione online come uso del territorio / Aliberti, Francesco. - (2019 Feb 22).

Raccontare per ritrovarsi. Pratiche di narrazione online come uso del territorio

ALIBERTI, FRANCESCO
22/02/2019

Abstract

La tesi vuole verificare che spazio possa avere nella pianificazione e negli studi urbani l’analisi dell’uso delle moderne tecnologie digitali di comunicazione e interazione nei processi di costruzione del “senso del luogo” e quindi nei modi di abitare il territorio di individui e gruppi, attraverso un approccio metodologico e teorico derivato dall’antropologia culturale. Il territorio fisico e l’ambiente costituito dall’assemblaggio socio-materiale costituito tramite le nuove tecnologie emergono dal lavoro di ricerca come media analoghi e tra loro connessi. Tale conclusione viene raggiunta osservando in che modo i media digitali modifichino le modalità di produzione (sociale non) dello spazio, concentrandosi in particolare su come ciò avvenga attraverso le pratiche di narrazione online. Queste sono state osservate all’interno del quartiere Montesacro di Roma, dove i media digitali vengono coinvolti nei processi di “ri-domesticazione” di un territorio diventato negli anni più difficile da vivere e da rappresentare e identificare chiaramente. Metodologicamente, data la mancanza di significative esperienze di ricerca su questi temi, sono state proposte strade innovative. Alla classica etnografia largamente adottata negli studi antropologici si è cercato di unire alcune sperimentazioni che guardassero, pur non rientrandovi a pieno, a modi d’esplorazione quali lo shadowing e la netnografia. Questa metodologia è quindi risultata in una costruzione tripartita del campo di ricerca, osservato in tre diversi contesti, attraversati dalla stessa ipotesi: rilevata la presenza di una forma di spaesamento (De Martino, 2002, 2007), cioè di difficoltà a orientare il proprio agire all’interno del sempre più complesso sistema urbano, si osserva come i media digitali vengano utilizzati per mettere in atto performance di “narrazione incidentale”, ovvero di uso apparentemente casuale e frammentario di immagini, frasi e altre forme di comunicazione multimediale che confluiscono in meta-narrazioni e strutture retoriche che compartecipano alla costruzione sociale del luogo come un contesto dotato di senso per l’azione degli individui. In particolare, questo uso si fonda sulla recente possibilità di utilizzare i media digitali in modalità non “eccezionali” ma fortemente “routinarie” e innestate nella “quotidianità”. I tre contesti sono di ricerca sono: 1. Quello dei giovani-adulti alle prese con la loro prima occasione di abitare all’interno del quartiere separati dalla famiglia. Da loro, queste forme di narrazione incidentale vengono utilizzate per ambientarsi all’interno del territorio e per gestire tutti i contesti significativi con cui vogliono relazionarsi. I percorsi tracciati da queste pratiche di narrazione producono diverse forme di località qui definite “località-network”, che possono trovarsi totalmente sul web oppure spargersi (e quindi confondersi) tra spazi digitali e fisici. Attraverso i media digitali poi, gli individui costruiscono un “internet personale”, cioè la rete interconnessa di tutte le proprie relazioni e interessi; 2. quello dei gruppi Facebook di quartiere, frequentati soprattutto dagli abitanti più adulti dello stesso e all’interno dei quali vengono proposte rappresentazioni del territorio e si svolgono intensi conflitti riguardo la dimensione simbolica (e non solo) dello stesso. Attraverso l’analisi della retorica del degrado, questi gruppi vengono individuati come i luoghi più frequentati con lo scopo di un dibattito rispetto al territorio, ma anche come luoghi dove esso viene patrimonializzato e sacralizzato; 3. quello di studenti di scuola superiore (un liceo classico) alle prese col complesso compito di farsi individui e cittadini all’interno di un’istituzione, quella scolastica, in forte difficoltà a gestire proprio l’introduzione di queste nuove tecnologie al suo interno. In particolare viene criticata la nozione di “nativo digitale”, mettendo in luce invece le criticità connesse al dover imparare, senza un adeguato aiuto didattico, a usare i media digitali nel vivere lo spazio urbano. Dal racconto dell’esperienza di campo emerge chiaramente come gli spazi digitali frequentati e percorsi dagli abitanti del quartiere di Montesacro finiscano per divenire essi stessi spazi strappati ai grandi provider internazionali per venire invece integrati nello spazio-quartiere e divenire quindi luoghi fondamentali dove, in modalità informali, conflittuali e spesso polarizzate, viene a prodursi il senso del luogo. La narrazione incidentale (Bausinger, 2008) del sé, del territorio e del sé nel territorio si presenta quindi come una routine culturale, come un lavorio di bricolage che ricostruisce nuovi significati in base al materiale già esistente e, nel caso analizzato, sembra agire proprio contro le forme di spaesamento, poiché permette di trovare tatticamente (de Certeau, 2001) lo spazio per produrre immaginazioni e rappresentazioni collettive del territorio. Attraverso queste narrazioni i cittadini mettono informalmente (e a volte inconsapevolmente) in moto pratiche di produzione della località (Appadurai, 2012, 2014) e di cittadinanza partecipativa. Soprattutto in questo senso, le narrazioni incidentali multimediali che vediamo proliferare nel nostro “oggi” risultano capaci di costruire e produrre il territorio e si configurano quindi come un uso dello stesso. Questo inevitabilmente porta a osservare anche come, per innestare pratiche fertili di ricerca-azione, non sia possibile rifiutarsi di “sporcarsi le mani” con quanto avviene sui social network, in discussioni spesso violente e polarizzanti, pena rinunciare definitivamente alla possibilità di un lavoro di ricerca capace di avere un effetto sulla quotidianità delle persone e sul tessuto urbano.
22-feb-2019
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