L’invecchiamento della popolazione è un processo irreversibile e un cambiamento globale senza precedenti che l’umanità intera deve affrontare e gestire. Secondo le previsioni delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2050 le persone con oltre 60 anni saranno quasi 2 miliardi (World Health Organization 2012, 6). Le cause sono riconducibili a due importanti fattori: il calo delle nascite e il progressivo allungamento della vita, i quali stanno provocando una graduale ma inevitabile riduzione della quota di popolazione giovane a vantaggio di quella più adulta. Prenderne atto costituisce solamente il primo passo verso la consapevolezza che queste dinamiche demografiche stanno mutando non solo la struttura della popolazione, ma anche quella della società con tutti i rapporti e le relazioni che in essa avvengono. In una sorta di reazione a catena sociale, sono destinate a cambiare anche le strutture produttive, gli schemi culturali, il welfare, i consumi, il mercato del lavoro, i rapporti intergenerazionali: in sostanza va progressivamente ripensata l’intera società in vista delle sfide che si dovranno necessariamente affrontare. In particolare, l’aumento dell’età di una popolazione pone questioni importanti in relazione ai riassetti del mercato del lavoro e dei sistemi pensionistici (questi ultimi non sono oggetto di studio nella ricerca). Infatti, la combinazione tra i fattori demografici precedentemente descritti, le barriere all’ingresso delle giovani generazioni e gli interventi volti a ristabilire l’equilibrio finanziario del sistema pensionistico pubblico (la cosiddetta riforma Fornero del 2011), ha profondamente ridisegnato la struttura per età del mercato del lavoro italiano degli ultimi venti anni circa, contribuendo alla crescita dell’offerta di lavoro collocata nella seconda parte della carriera lavorativa. Il presente contributo concentra l’analisi sugli effetti che l’invecchiamento sta producendo sulla forza lavoro e nel mercato del lavoro, tentando di riflettere su alcuni aspetti intorno ai quali si sta declinando il discorso sul rapporto fra policy, invecchiamento e mercato del lavoro, nell’ottica di approfondire le trasformazioni in corso, sui problemi aperti di cui danno riscontro le statistiche inerenti il mercato del lavoro. In questo contesto, la ricerca è divisa in tre parti. Nella prima si approfondiscono le principali definizioni della tematica oggetto di studio cercando di fornire anche un breve quadro demografico dello scenario italiano con l’utilizzo dei dati dell’Indagine Istat “Rilevazione sulle Forze di Lavoro”; la seconda esplora le modalità con cui le aziende hanno affrontato i recenti mutamenti demografici ed economici nonché le scelte gestionali adottate specificamente in relazione al fattore età attraverso i dati dell’Indagine Inapp “ La gestione della forza lavoro matura da parte delle piccole e medie imprese private italiane”; infine la terza analizza i risultati dell’Indagine Istat riguardante “La partecipazione degli adulti alle attività formative”, in quanto proprio queste ultime possono svolgere un ruolo chiave, non solo per contrastare il declino delle competenze, ma anche per favorirne l’aggiornamento e l’ampliamento costante, specialmente per la popolazione in età avanzata. In particolare, dall’indagine con oggetto le piccole medie imprese realizzata dall’Inapp emerge, sostanzialmente, che la composizione demografica dell’impresa non rappresenta un ostacolo allo sviluppo. Le PMI non considerano l’età un fattore determinante per il rendimento professionale di un lavoratore, mentre in fase di reclutamento del proprio personale le imprese privilegiano sia l’esperienza che le competenze professionali. L’esperienza viene spesso vista come garanzia di qualità e ciò è sottolineato dall’importanza della trasmissione della conoscenza e del saper fare: spesso infatti i lavoratori anziani istruiscono, attraverso corsi, i lavoratori in entrata. Nonostante la considerazione prevalentemente di “svantaggio”, con la quale viene percepito l’invecchiamento, cresca con l’aumentare della numerosità aziendale, proprio le imprese più grandi sembrano adottare comportamenti virtuosi in una prospettiva di sviluppo a lungo termine, nell’ottica dell’intero ciclo di vita lavorativo di ciascun individuo e delle politiche di gestione delle differenze. Tali comportamenti sono anche in linea con quanto auspicato dall’Unione Europea che ha posto l’accento sull’opportunità di sviluppare politiche in un’ottica di ciclo di vita, piuttosto che di target group isolati, seguendo un approccio orientato alla gestione dell’età e della diversità lungo tutto l’arco dello sviluppo professionale, che tenga conto dell’evolversi del rapporto fra individui, mercato del lavoro e vita familiare. Pertanto, nelle medie aziende e ancor di più in quelle di grandi dimensioni, è più probabile rilevare politiche e interventi strutturati rivolti all’età nell’ambito delle gestione delle risorse umane, nonché esperienze ispirate a criteri di responsabilità sociale e sviluppate in un’ottica di lungo periodo che contribuiscono alla costruzione dell’identità aziendale all’interno del sistema territoriale. In generale, a prescindere dalla dimensione aziendale, le imprese non vivono l’invecchiamento delle proprie risorse umane particolarmente come un problema, ma piuttosto come una risorsa per la crescita dell’intero sistema produttivo, considerandolo sostanzialmente un vantaggio, un’opportunità, e nel contempo individuano nella formazione uno degli strumenti principe dei processi ri-organizzativi e per lo sviluppo dei percorsi di carriera, anche se declinato in modalità differenziate in relazione alla tipologia aziendale. Il percorso che dovrebbero intraprendere le piccole e medie imprese, e che le grandi hanno già intrapreso, nell’affrontare il problema dell’invecchiamento dei lavoratori sembra caratterizzato da alcuni passaggi obbligati che vanno da una prima fase di sensibilizzazione al tema dell’ageing, una seconda con l’implementazione di interventi specifici, passando attraverso una fase propedeutica di analisi della composizione demografica del personale (mirata a identificare l’incidenza e le caratteristiche dei lavoratori più anziani, rispetto alla popolazione aziendale complessiva o in relazione alle altre generazioni di lavoratori), fino a una terza fase, altrettanto importante, di progettazione, attuazione e valutazione di “progetti pilota” e politiche mirate. Complessivamente, gli interventi analizzati sono riconducibili a tre tematiche prioritarie - formazione, valorizzazione dell’esperienza e sostegno al dialogo intergenerazionale - la cui finalità generale è quella di sostenere la redditività complessiva dell’impresa attraverso il mantenimento e il miglioramento della produttività dei lavoratori, specialmente quelli più maturi che generalmente rappresentano un costo più elevato. Infatti, l’attuale economia, in rapida trasformazione e sempre più rivolta all'innovazione, sta rendendo le competenze dei lavoratori obsolete più rapidamente che mai. Oltre ad aggiornare le proprie competenze per adeguarsi alle mutevoli esigenze, sta emergendo anche la domanda di nuove tipologie di capacità professionali. Le attività formative sono comunque abbastanza diffuse in un’ottica del lifelong learning quale strumento principale per il sostegno all’occupabilità della forza lavoro e alla competitività delle imprese. Ma tali attività non sono rivolte a tutti i dipendenti in egual misura: emerge infatti, sin dalle prime analisi, che la partecipazione alla formazione differisce tra gli adulti, a dimostrazione che sono presenti alcuni gruppi che richiederebbero politiche specifiche e mirate. A parte i non occupati, che nel presente lavoro non sono stati oggetto di studio, coloro che hanno il minimo accesso all'apprendimento sono i lavoratori vicini al pensionamento (over 50) e quelli con scarse qualifiche professionali. Inoltre, la partecipazione alla formazione professionale continua è positivamente correlata al livello di istruzione. A tal riguardo, l'indagine AES (Adult Education Survey) ha evidenziato come le motivazioni chiave e le barriere relative alla formazione siano correlate al lavoro. Se si considera che oltre il 60% dei percorsi di formazione non formale è finanziato o sponsorizzato dal datore di lavoro, la partecipazione e il ruolo del datore di lavoro nel fornire nuove opportunità di apprendimento sono di fondamentale importanza. Incoraggiare quindi i datori di lavoro, in particolare le piccole e medie imprese, a sviluppare opportunità di apprendimento è fondamentale. Se a volte è la mancanza di consapevolezza della necessità di apprendimento una delle ragioni principali che ostacola la partecipazione formativa, anche altri motivi sono molto frequenti: la mancanza di tempo a causa di responsabilità familiari e di orari di lavoro, la mancanza di risorse finanziarie, la lontananza da casa o dal luogo di lavoro, ragioni di salute e di età. Esempi di buone pratiche mostrano comunque approcci su come aumentare il livello di competenza dei lavoratori più anziani. In alcuni casi infatti, gli interventi formativi sono dedicati specificamente ai lavoratori meno giovani: si tratta principalmente di iniziative mirate all’aggiornamento di competenze tecniche in ambiti particolari (es. competenze informatiche, quando è molto forte la propensione all’innovazione tecnologica) o alla riqualificazione dei lavoratori più anziani nel ruolo di formatori (quando la cultura aziendale è orientata alla valorizzazione dell’esperienza). Valorizzare l'esperienza è infatti un fattore chiave per garantire il trasferimento delle conoscenze tra le generazioni e per individuare le attività in cui i lavoratori più anziani sono produttivi: è quindi anche utile per la capacità di innovazione di tutta l'azienda. Ciò che però ancora manca in Italia è una strategia sistematica di aggiornamento e incremento delle competenze degli adulti, in particolare dei senior. Cofinanziamento pubblico alle azioni formative dirette ai senior, diverse modalità di apprendimento, distribuzione temporale dell’azione formativa potrebbero fare da contrappeso a propensioni e atteggiamenti negativi degli individui e delle imprese verso il lifelong learning. Altrettanto importante è promuovere forme di flessibilità e di organizzazione del lavoro, tecnologie e modelli di cultura manageriale che consentano di valorizzare le competenze dei lavoratori anziani. In questo ambito, in tutta Europa si stanno sviluppando esperienze aziendali di successo sulla promozione dell’apprendimento intergenerazionale e della condivisione delle conoscenze tra i lavoratori giovani e anziani. Si tratta di un’attività complessa e dagli esiti non scontati, che richiede una forte disponibilità da parte delle aziende nello sviluppo di un’adeguata cultura di gestione delle risorse umane e di un sistema in grado di capitalizzare gli esiti dell’applicazione di strumenti di apprendimento intergenerazionale. In generale, sarà comunque fondamentale aumentare il livello di formazione professionale continua per i lavoratori in futuro, sia in termini di numero di ore, sia allargando la partecipazione ai gruppi che tendono purtroppo a rimanerne fuori più facilmente, i cosiddetti non learners. Oltre al livello di partecipazione in questa doppia veste, è importante sviluppare anche una cultura dell'apprendimento all'interno del posto di lavoro, individuando particolari esigenze di formazione. Il buon funzionamento del mercato del lavoro si basa su una corrispondenza precisa tra le competenze e le qualifiche formali dei lavoratori e quelle che i datori di lavoro cercano e richiedono. Molto spesso però vi è una carenza significativa di fabbisogni professionali in quanto, le qualifiche formali, pur essendo uno strumento importante per segnalare i livelli di abilità, sono a volte molto diverse dalle reali competenze del lavoratore e, nelle diverse occupazioni, non sono sufficienti a colmare l’incontro tra il fabbisogno di competenze reali e l’offerta di queste ultime. Di conseguenza, a causa di questa sorta di disallineamento, i responsabili politici e gli attori del mercato del lavoro spesso si trovano a contare su segnali imperfetti in tema di esigenze di competenze. Fortunatamente, sulla base delle raccomandazioni della Commissione Europea, nel 2012 sono state promosse misure per la validazione delle competenze acquisite al di fuori del sistema di istruzione formale e per convalidare quindi i percorsi di formazione non formale e di apprendimento informale, quali ad esempio la formazione in azienda, le risorse digitali, il volontariato, l'esperienza di lavoro e l'esperienza di vita in generale. Dal 2018 gli Stati membri, con l’ausilio della EAEA (European Association for the Education of Adults), hanno accettato di mettere in atto tali misure per la convalida delle esperienze (VNFIL - Validation of Non Formal and Informal Learning) degli individui, permettendo loro di ottenere una qualifica. Tali esperienze sarebbero legate alle qualifiche e in linea con il quadro europeo delle qualifiche con norme equivalenti a quelle utilizzate per l’istruzione formale. A parte alcune problematiche (quali l'accettazione professionale di convalida che resta in molti paesi inferiore rispetto all'accettazione dell’istruzione formale, il livello di burocrazia e i costi di validazione), la convalida di queste competenze è particolarmente rilevante per le persone con qualifiche basse, i disoccupati, coloro che sono a rischio di disoccupazione, chi ha bisogno di cambiare i propri percorsi di carriera, in generale per identificare ulteriori esigenze di formazione ed eventuali opportunità di riqualificazione professionale. Infatti, un sistema di istruzione/formazione ben progettato, efficiente, accessibile e con forti legami con il mercato del lavoro, è di cruciale importanza per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di competenze richieste e per dedicare particolare attenzione a quei lavoratori particolarmente svantaggiati analizzati precedentemente. A tal proposito, l’Istat ha reso noto che l’intero sistema statistico sull'istruzione e formazione, nel quale è inserita l’indagine sulla partecipazione degli adulti alle attività formative (AES), è in continua evoluzione e in futuro sarà disponibile il nuovo regolamento comunitario. Le principali innovazioni metodologiche, concordate nell'ottica di raccordare maggiormente le informazioni che attengono all'istruzione e alla formazione provenienti dall'Indagine AES, dall'indagine sulle Forze di lavoro e dall'Indagine CVTS (la Rilevazione sulla formazione del personale nelle imprese) saranno l’adozione della classificazione ISCED 2011 e la realizzazione dell’indagine AES ogni quattro anni invece di cinque. Riassumendo, questa è una sfida che l’Unione Europea, governi, imprese e lavoratori devono affrontare e superare, in quanto, a causa dei recenti cambiamenti demografici, la futura evoluzione del mercato del lavoro può essere sostenuta solo attraverso una maggiore produttività che si ottiene con un elevato livello di competenze e di misure di sostegno e di gestione dell’età. I programmi di formazione dovrebbero essere considerati come una parte fondamentale delle politiche attive del mercato del lavoro e quindi di responsabilità dei governi. Di conseguenza, i datori di lavoro potrebbero essere incoraggiati a impegnarsi in un continuo miglioramento delle competenze del proprio personale e a modernizzare le proprie politiche di reclutamento in accordo con i responsabili delle risorse umane rimuovendo le barriere relative all’età in fase di assunzione. Inoltre, è necessaria una forte motivazione da parte dei lavoratori stessi ad aggiornare le proprie competenze e, infine, vi è un ruolo particolare per l'Europa per quanto riguarda il riconoscimento transnazionale delle abilità, in quanto sono necessari sforzi legali e amministrativi per assicurare una corretta comparabilità tra i professionisti in termini di qualifiche ottenute e validità di diplomi conseguiti. Di conseguenza sono necessari efficaci investimenti in materia di istruzione e formazione per le competenze e l'attuazione di strumenti che favoriscano il loro sviluppo. Ciò richiede una prospettiva di lungo periodo, poiché, sulla base delle previsioni della futura domanda di mercato e coerentemente all’esigenza di investire nel capitale umano, è necessario infatti evidenziare anche la redditività dell’investimento formativo e dimostrare la sua efficacia, efficienza, le conseguenze e gli impatti non solo di ordine economico ad esso collegati. In conclusione, tutte le imprese, non solo le grandi, dovrebbero sviluppare strategie di age management. Prima di tutto incrementando l’utilizzo di strumenti per un “demographic check” aziendale e per una corretta “age structure analysis” in modo da poter sviluppare strategie ad hoc per ogni specifica situazione aziendale e misure di age management per aumentare la produttività, l’occupabilità e le condizioni lavorative. Non è un compito facile, in quanto purtroppo, la maggioranza delle aziende italiane è di piccole dimensioni e di conseguenza con un numero limitato di risorse umane da dedicare alle problematiche relative all’invecchiamento della forza lavoro. Comunque, a tal proposito, manuali e guide sulle buone pratiche di gestione dell’età dovrebbero essere diffusi su più larga scala. In secondo luogo, è fondamentale sviluppare in futuro una maggiore cultura della formazione durante tutto l’arco della carriera professionale per tutti i lavoratori, in particolare dopo i 50 anni, dove assume un ruolo fondamentale come misura di contrasto al declino delle competenze, abbracciando il messaggio che “non è mai troppo tardi per imparare”. L’auspicio è che il presente lavoro di ricerca, visto il continuo prolungamento della vita lavorativa, non solo possa contribuire ad una migliore comprensione delle misure di sostegno di gestione dell’età e dei modelli di partecipazione formativa, ma anche ad un ulteriore sviluppo di politiche di formazione e di buone pratiche di age management in grado di promuovere un più equo e inclusivo accesso degli over 50 al mercato del lavoro, considerando questi ultimi non più solo un problema ma anche una risorsa e un’opportunità da saper cogliere. Questo sarebbe il vero cambiamento.

Partecipazione al mercato del lavoro degli over 50: age management e strategie di formazione continua / Cardone, PAOLO EMILIO. - (2017 Sep 29).

Partecipazione al mercato del lavoro degli over 50: age management e strategie di formazione continua

CARDONE, PAOLO EMILIO
29/09/2017

Abstract

L’invecchiamento della popolazione è un processo irreversibile e un cambiamento globale senza precedenti che l’umanità intera deve affrontare e gestire. Secondo le previsioni delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2050 le persone con oltre 60 anni saranno quasi 2 miliardi (World Health Organization 2012, 6). Le cause sono riconducibili a due importanti fattori: il calo delle nascite e il progressivo allungamento della vita, i quali stanno provocando una graduale ma inevitabile riduzione della quota di popolazione giovane a vantaggio di quella più adulta. Prenderne atto costituisce solamente il primo passo verso la consapevolezza che queste dinamiche demografiche stanno mutando non solo la struttura della popolazione, ma anche quella della società con tutti i rapporti e le relazioni che in essa avvengono. In una sorta di reazione a catena sociale, sono destinate a cambiare anche le strutture produttive, gli schemi culturali, il welfare, i consumi, il mercato del lavoro, i rapporti intergenerazionali: in sostanza va progressivamente ripensata l’intera società in vista delle sfide che si dovranno necessariamente affrontare. In particolare, l’aumento dell’età di una popolazione pone questioni importanti in relazione ai riassetti del mercato del lavoro e dei sistemi pensionistici (questi ultimi non sono oggetto di studio nella ricerca). Infatti, la combinazione tra i fattori demografici precedentemente descritti, le barriere all’ingresso delle giovani generazioni e gli interventi volti a ristabilire l’equilibrio finanziario del sistema pensionistico pubblico (la cosiddetta riforma Fornero del 2011), ha profondamente ridisegnato la struttura per età del mercato del lavoro italiano degli ultimi venti anni circa, contribuendo alla crescita dell’offerta di lavoro collocata nella seconda parte della carriera lavorativa. Il presente contributo concentra l’analisi sugli effetti che l’invecchiamento sta producendo sulla forza lavoro e nel mercato del lavoro, tentando di riflettere su alcuni aspetti intorno ai quali si sta declinando il discorso sul rapporto fra policy, invecchiamento e mercato del lavoro, nell’ottica di approfondire le trasformazioni in corso, sui problemi aperti di cui danno riscontro le statistiche inerenti il mercato del lavoro. In questo contesto, la ricerca è divisa in tre parti. Nella prima si approfondiscono le principali definizioni della tematica oggetto di studio cercando di fornire anche un breve quadro demografico dello scenario italiano con l’utilizzo dei dati dell’Indagine Istat “Rilevazione sulle Forze di Lavoro”; la seconda esplora le modalità con cui le aziende hanno affrontato i recenti mutamenti demografici ed economici nonché le scelte gestionali adottate specificamente in relazione al fattore età attraverso i dati dell’Indagine Inapp “ La gestione della forza lavoro matura da parte delle piccole e medie imprese private italiane”; infine la terza analizza i risultati dell’Indagine Istat riguardante “La partecipazione degli adulti alle attività formative”, in quanto proprio queste ultime possono svolgere un ruolo chiave, non solo per contrastare il declino delle competenze, ma anche per favorirne l’aggiornamento e l’ampliamento costante, specialmente per la popolazione in età avanzata. In particolare, dall’indagine con oggetto le piccole medie imprese realizzata dall’Inapp emerge, sostanzialmente, che la composizione demografica dell’impresa non rappresenta un ostacolo allo sviluppo. Le PMI non considerano l’età un fattore determinante per il rendimento professionale di un lavoratore, mentre in fase di reclutamento del proprio personale le imprese privilegiano sia l’esperienza che le competenze professionali. L’esperienza viene spesso vista come garanzia di qualità e ciò è sottolineato dall’importanza della trasmissione della conoscenza e del saper fare: spesso infatti i lavoratori anziani istruiscono, attraverso corsi, i lavoratori in entrata. Nonostante la considerazione prevalentemente di “svantaggio”, con la quale viene percepito l’invecchiamento, cresca con l’aumentare della numerosità aziendale, proprio le imprese più grandi sembrano adottare comportamenti virtuosi in una prospettiva di sviluppo a lungo termine, nell’ottica dell’intero ciclo di vita lavorativo di ciascun individuo e delle politiche di gestione delle differenze. Tali comportamenti sono anche in linea con quanto auspicato dall’Unione Europea che ha posto l’accento sull’opportunità di sviluppare politiche in un’ottica di ciclo di vita, piuttosto che di target group isolati, seguendo un approccio orientato alla gestione dell’età e della diversità lungo tutto l’arco dello sviluppo professionale, che tenga conto dell’evolversi del rapporto fra individui, mercato del lavoro e vita familiare. Pertanto, nelle medie aziende e ancor di più in quelle di grandi dimensioni, è più probabile rilevare politiche e interventi strutturati rivolti all’età nell’ambito delle gestione delle risorse umane, nonché esperienze ispirate a criteri di responsabilità sociale e sviluppate in un’ottica di lungo periodo che contribuiscono alla costruzione dell’identità aziendale all’interno del sistema territoriale. In generale, a prescindere dalla dimensione aziendale, le imprese non vivono l’invecchiamento delle proprie risorse umane particolarmente come un problema, ma piuttosto come una risorsa per la crescita dell’intero sistema produttivo, considerandolo sostanzialmente un vantaggio, un’opportunità, e nel contempo individuano nella formazione uno degli strumenti principe dei processi ri-organizzativi e per lo sviluppo dei percorsi di carriera, anche se declinato in modalità differenziate in relazione alla tipologia aziendale. Il percorso che dovrebbero intraprendere le piccole e medie imprese, e che le grandi hanno già intrapreso, nell’affrontare il problema dell’invecchiamento dei lavoratori sembra caratterizzato da alcuni passaggi obbligati che vanno da una prima fase di sensibilizzazione al tema dell’ageing, una seconda con l’implementazione di interventi specifici, passando attraverso una fase propedeutica di analisi della composizione demografica del personale (mirata a identificare l’incidenza e le caratteristiche dei lavoratori più anziani, rispetto alla popolazione aziendale complessiva o in relazione alle altre generazioni di lavoratori), fino a una terza fase, altrettanto importante, di progettazione, attuazione e valutazione di “progetti pilota” e politiche mirate. Complessivamente, gli interventi analizzati sono riconducibili a tre tematiche prioritarie - formazione, valorizzazione dell’esperienza e sostegno al dialogo intergenerazionale - la cui finalità generale è quella di sostenere la redditività complessiva dell’impresa attraverso il mantenimento e il miglioramento della produttività dei lavoratori, specialmente quelli più maturi che generalmente rappresentano un costo più elevato. Infatti, l’attuale economia, in rapida trasformazione e sempre più rivolta all'innovazione, sta rendendo le competenze dei lavoratori obsolete più rapidamente che mai. Oltre ad aggiornare le proprie competenze per adeguarsi alle mutevoli esigenze, sta emergendo anche la domanda di nuove tipologie di capacità professionali. Le attività formative sono comunque abbastanza diffuse in un’ottica del lifelong learning quale strumento principale per il sostegno all’occupabilità della forza lavoro e alla competitività delle imprese. Ma tali attività non sono rivolte a tutti i dipendenti in egual misura: emerge infatti, sin dalle prime analisi, che la partecipazione alla formazione differisce tra gli adulti, a dimostrazione che sono presenti alcuni gruppi che richiederebbero politiche specifiche e mirate. A parte i non occupati, che nel presente lavoro non sono stati oggetto di studio, coloro che hanno il minimo accesso all'apprendimento sono i lavoratori vicini al pensionamento (over 50) e quelli con scarse qualifiche professionali. Inoltre, la partecipazione alla formazione professionale continua è positivamente correlata al livello di istruzione. A tal riguardo, l'indagine AES (Adult Education Survey) ha evidenziato come le motivazioni chiave e le barriere relative alla formazione siano correlate al lavoro. Se si considera che oltre il 60% dei percorsi di formazione non formale è finanziato o sponsorizzato dal datore di lavoro, la partecipazione e il ruolo del datore di lavoro nel fornire nuove opportunità di apprendimento sono di fondamentale importanza. Incoraggiare quindi i datori di lavoro, in particolare le piccole e medie imprese, a sviluppare opportunità di apprendimento è fondamentale. Se a volte è la mancanza di consapevolezza della necessità di apprendimento una delle ragioni principali che ostacola la partecipazione formativa, anche altri motivi sono molto frequenti: la mancanza di tempo a causa di responsabilità familiari e di orari di lavoro, la mancanza di risorse finanziarie, la lontananza da casa o dal luogo di lavoro, ragioni di salute e di età. Esempi di buone pratiche mostrano comunque approcci su come aumentare il livello di competenza dei lavoratori più anziani. In alcuni casi infatti, gli interventi formativi sono dedicati specificamente ai lavoratori meno giovani: si tratta principalmente di iniziative mirate all’aggiornamento di competenze tecniche in ambiti particolari (es. competenze informatiche, quando è molto forte la propensione all’innovazione tecnologica) o alla riqualificazione dei lavoratori più anziani nel ruolo di formatori (quando la cultura aziendale è orientata alla valorizzazione dell’esperienza). Valorizzare l'esperienza è infatti un fattore chiave per garantire il trasferimento delle conoscenze tra le generazioni e per individuare le attività in cui i lavoratori più anziani sono produttivi: è quindi anche utile per la capacità di innovazione di tutta l'azienda. Ciò che però ancora manca in Italia è una strategia sistematica di aggiornamento e incremento delle competenze degli adulti, in particolare dei senior. Cofinanziamento pubblico alle azioni formative dirette ai senior, diverse modalità di apprendimento, distribuzione temporale dell’azione formativa potrebbero fare da contrappeso a propensioni e atteggiamenti negativi degli individui e delle imprese verso il lifelong learning. Altrettanto importante è promuovere forme di flessibilità e di organizzazione del lavoro, tecnologie e modelli di cultura manageriale che consentano di valorizzare le competenze dei lavoratori anziani. In questo ambito, in tutta Europa si stanno sviluppando esperienze aziendali di successo sulla promozione dell’apprendimento intergenerazionale e della condivisione delle conoscenze tra i lavoratori giovani e anziani. Si tratta di un’attività complessa e dagli esiti non scontati, che richiede una forte disponibilità da parte delle aziende nello sviluppo di un’adeguata cultura di gestione delle risorse umane e di un sistema in grado di capitalizzare gli esiti dell’applicazione di strumenti di apprendimento intergenerazionale. In generale, sarà comunque fondamentale aumentare il livello di formazione professionale continua per i lavoratori in futuro, sia in termini di numero di ore, sia allargando la partecipazione ai gruppi che tendono purtroppo a rimanerne fuori più facilmente, i cosiddetti non learners. Oltre al livello di partecipazione in questa doppia veste, è importante sviluppare anche una cultura dell'apprendimento all'interno del posto di lavoro, individuando particolari esigenze di formazione. Il buon funzionamento del mercato del lavoro si basa su una corrispondenza precisa tra le competenze e le qualifiche formali dei lavoratori e quelle che i datori di lavoro cercano e richiedono. Molto spesso però vi è una carenza significativa di fabbisogni professionali in quanto, le qualifiche formali, pur essendo uno strumento importante per segnalare i livelli di abilità, sono a volte molto diverse dalle reali competenze del lavoratore e, nelle diverse occupazioni, non sono sufficienti a colmare l’incontro tra il fabbisogno di competenze reali e l’offerta di queste ultime. Di conseguenza, a causa di questa sorta di disallineamento, i responsabili politici e gli attori del mercato del lavoro spesso si trovano a contare su segnali imperfetti in tema di esigenze di competenze. Fortunatamente, sulla base delle raccomandazioni della Commissione Europea, nel 2012 sono state promosse misure per la validazione delle competenze acquisite al di fuori del sistema di istruzione formale e per convalidare quindi i percorsi di formazione non formale e di apprendimento informale, quali ad esempio la formazione in azienda, le risorse digitali, il volontariato, l'esperienza di lavoro e l'esperienza di vita in generale. Dal 2018 gli Stati membri, con l’ausilio della EAEA (European Association for the Education of Adults), hanno accettato di mettere in atto tali misure per la convalida delle esperienze (VNFIL - Validation of Non Formal and Informal Learning) degli individui, permettendo loro di ottenere una qualifica. Tali esperienze sarebbero legate alle qualifiche e in linea con il quadro europeo delle qualifiche con norme equivalenti a quelle utilizzate per l’istruzione formale. A parte alcune problematiche (quali l'accettazione professionale di convalida che resta in molti paesi inferiore rispetto all'accettazione dell’istruzione formale, il livello di burocrazia e i costi di validazione), la convalida di queste competenze è particolarmente rilevante per le persone con qualifiche basse, i disoccupati, coloro che sono a rischio di disoccupazione, chi ha bisogno di cambiare i propri percorsi di carriera, in generale per identificare ulteriori esigenze di formazione ed eventuali opportunità di riqualificazione professionale. Infatti, un sistema di istruzione/formazione ben progettato, efficiente, accessibile e con forti legami con il mercato del lavoro, è di cruciale importanza per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di competenze richieste e per dedicare particolare attenzione a quei lavoratori particolarmente svantaggiati analizzati precedentemente. A tal proposito, l’Istat ha reso noto che l’intero sistema statistico sull'istruzione e formazione, nel quale è inserita l’indagine sulla partecipazione degli adulti alle attività formative (AES), è in continua evoluzione e in futuro sarà disponibile il nuovo regolamento comunitario. Le principali innovazioni metodologiche, concordate nell'ottica di raccordare maggiormente le informazioni che attengono all'istruzione e alla formazione provenienti dall'Indagine AES, dall'indagine sulle Forze di lavoro e dall'Indagine CVTS (la Rilevazione sulla formazione del personale nelle imprese) saranno l’adozione della classificazione ISCED 2011 e la realizzazione dell’indagine AES ogni quattro anni invece di cinque. Riassumendo, questa è una sfida che l’Unione Europea, governi, imprese e lavoratori devono affrontare e superare, in quanto, a causa dei recenti cambiamenti demografici, la futura evoluzione del mercato del lavoro può essere sostenuta solo attraverso una maggiore produttività che si ottiene con un elevato livello di competenze e di misure di sostegno e di gestione dell’età. I programmi di formazione dovrebbero essere considerati come una parte fondamentale delle politiche attive del mercato del lavoro e quindi di responsabilità dei governi. Di conseguenza, i datori di lavoro potrebbero essere incoraggiati a impegnarsi in un continuo miglioramento delle competenze del proprio personale e a modernizzare le proprie politiche di reclutamento in accordo con i responsabili delle risorse umane rimuovendo le barriere relative all’età in fase di assunzione. Inoltre, è necessaria una forte motivazione da parte dei lavoratori stessi ad aggiornare le proprie competenze e, infine, vi è un ruolo particolare per l'Europa per quanto riguarda il riconoscimento transnazionale delle abilità, in quanto sono necessari sforzi legali e amministrativi per assicurare una corretta comparabilità tra i professionisti in termini di qualifiche ottenute e validità di diplomi conseguiti. Di conseguenza sono necessari efficaci investimenti in materia di istruzione e formazione per le competenze e l'attuazione di strumenti che favoriscano il loro sviluppo. Ciò richiede una prospettiva di lungo periodo, poiché, sulla base delle previsioni della futura domanda di mercato e coerentemente all’esigenza di investire nel capitale umano, è necessario infatti evidenziare anche la redditività dell’investimento formativo e dimostrare la sua efficacia, efficienza, le conseguenze e gli impatti non solo di ordine economico ad esso collegati. In conclusione, tutte le imprese, non solo le grandi, dovrebbero sviluppare strategie di age management. Prima di tutto incrementando l’utilizzo di strumenti per un “demographic check” aziendale e per una corretta “age structure analysis” in modo da poter sviluppare strategie ad hoc per ogni specifica situazione aziendale e misure di age management per aumentare la produttività, l’occupabilità e le condizioni lavorative. Non è un compito facile, in quanto purtroppo, la maggioranza delle aziende italiane è di piccole dimensioni e di conseguenza con un numero limitato di risorse umane da dedicare alle problematiche relative all’invecchiamento della forza lavoro. Comunque, a tal proposito, manuali e guide sulle buone pratiche di gestione dell’età dovrebbero essere diffusi su più larga scala. In secondo luogo, è fondamentale sviluppare in futuro una maggiore cultura della formazione durante tutto l’arco della carriera professionale per tutti i lavoratori, in particolare dopo i 50 anni, dove assume un ruolo fondamentale come misura di contrasto al declino delle competenze, abbracciando il messaggio che “non è mai troppo tardi per imparare”. L’auspicio è che il presente lavoro di ricerca, visto il continuo prolungamento della vita lavorativa, non solo possa contribuire ad una migliore comprensione delle misure di sostegno di gestione dell’età e dei modelli di partecipazione formativa, ma anche ad un ulteriore sviluppo di politiche di formazione e di buone pratiche di age management in grado di promuovere un più equo e inclusivo accesso degli over 50 al mercato del lavoro, considerando questi ultimi non più solo un problema ma anche una risorsa e un’opportunità da saper cogliere. Questo sarebbe il vero cambiamento.
29-set-2017
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