"Geopolitica" è un termine inflazionato, di frequente ricorso giornalistico, con scarsa adesione al suo storico utilizzo a cavallo tra XVIII e XIX secolo. Scopo della tesi è definire più esattamente questa geopolitica "classica" e porla in relazione con le correnti scientifiche dell'epoca. Già negli anni '40 i primi critici della scuola tedesca di "Geopolitik" la descrissero come una dottrina politica e propagandista al servizio dell'espansionismo tedesco. Negli ultimi decenni notevole fortuna ha avuto la "geopolitica critica", che inserisce quella "classica" tra le manifestazioni strumentali dell'imperialismo occidentale, mero discorso privo di qualsivoglia base scientifica. Una porzione minoritaria di studiosi, cui si aderisce, ha invece inscritto la geopolitica nel novero delle discipline scientifiche dell'epoca, ricollegandola o alla geografia o alla scienza politica. Appare infatti ragionevole (sulla scorta di Lacoste e, per certi versi, di Massi, Roletto e Weigert) identificare la geopolitica e la geografia politica di quel tempo, vedendo dunque in Ratzel e Mackinder autori non meno rappresentativi di Haushofer della geopolitica. Meno esplorato è invece il collegamento tra scienze naturali e geografia politica/geopolitica, tema invece della tesi. L'interpretazione tradizionale enfatizza i momenti di rottura, le rivoluzioni, mentre la storiografia contemporanea è più attenta alle linee di continuità. Allo stesso modo è oggi riconosciuto come l'evoluzionismo darwiniana rappresenti il momento culminante di una lunga riflessione della scienza naturalistica, che fin dal Cinquecento si interrogava sulla nozione di "specie", sulla sua essenza e sui collegamenti tra l'una e l'altra. Il Rinascimento e l'Età Moderna furono i secoli non solo della riscoperta degli antichi trattai, ma anche dell'inedita e capillare raccolta di informazioni dal mondo intero, autentico carburante della riflessione naturalista sull'organizzazione del creato e l'essenza della categoria di “specie”. L'attenzione dei tassonomisti si spostò gradualmente verso le parti immutabili, ereditarie degli individui; l'enfasi sulla morfologia sacrificò il lato ecologico di questa nascente biologia ma permise di avviare quella riflessione che avrebbe portato al trasmutazionismo e all'evoluzionismo. Il debito intellettuale di Darwin andava oltre il naturalismo, includendo intuizioni prese dall'economia (Malthus) e dalla teologia (Paley), oltre ovviamente alla geologia (Lyell). Posti di fronte alle sempre nuove scoperte di forme organiche e ai nuovi orizzonti aperti dai concomitanti avanzamenti in ambito geologico, fisico e chimico, i naturalisti cominciarono a cercare una teoria unificata della vita. Il nuovo studio fu battezzato da Lamarck e Treviranus col termine “biologia”. Fu nel quadro della biologia che nacque l'evoluzionismo, non più mera ipotesi di limitate modificazioni biologiche (la cui coscienza era diffusa già nei secoli precedenti), ma teoria scientifica complessiva della vita organica. L'evoluzionismo rappresentò un'autentica rivoluzione scientifica, paragonabile a quella copernicana. L'astronomo polacco aveva sfatato il mito di una Terra immobile al centro dell'universo, per metterla in orbita attorno al Sole. Gli evoluzionisti nel XIX secolo rivelarono quanto illusoria fosse anche l'immobilità organica sulla superficie della Terra: non vi sono specie fisse, create da Dio all'origine dei tempi e giunte immutate ai giorni nostri, gerarchicamente organizzate secondo i gradini d'una scala; bensì specie mutevoli che nascono e si estinguono, in un incessante ribollire di vita animale e vegetale. A essere abbattuto non fu tanto la figura della divinità – compatibile con l'evoluzionismo in quanto legislatore naturale – quanto il dogma della fissità di un Creato in armonioso equilibrio interno. La geopolitica rappresenterà un tentativo di traslare al piano socio-politico umano questa nuova coscienza del dinamismo e della mutevolezza. Tramite soprattutto la penna di Ratzel, ma meno esplicitamente in tutti i suoi autori, adotterà come principio basilare della propria concezione proprio quella che fu la raison d'être della biologia: considerare la vita sulla Terra come un tutt'uno, unito sincronicamente nello spazio e diacronicamente nel tempo. Nel Settecento il clima intellettuale era improntato all'ottimismo. Mentre Leibniz e Pope teorizzavano la perfezione dell'universo, autori come Condorcet e Godwin affermavano la perfettibilità dell'uomo per mezzo della ragione e della scienza. Nell'Ottocento ci fu una reazione. Malthus andò a confutare quelle narrative richiamando alla realtà d'un mondo fatto di scarsità, sofferenza e morte. Nel secolo dell'economia politica smithiana, tuttavia, si trovò presto un risvolto positivo di quella lotta per l'esistenza che mieteva tante vittime innocenti: il progresso. Non era più, però, il progresso sognato da Godwin o Condorcet, ossia l'imminente e definitivo approdo a una sorta di paradiso terrestre: il progresso così come teorizzato da Smith, Malthus e dai loro seguaci non poteva prescindere dalla continua competizione, a sua volta frutto della naturale scarsità di risorse. Era cioè un progresso privo di punto d'arrivo, che non poteva conoscere stasi né avvenire placidamente, ma al contrario richiedeva continui sacrifici. Il cessare di questa dinamica competitiva avrebbe inevitabilmente portato al regresso. Era un ordine mobile ma perenne, privo di punti d'arrivo: in tal senso richiamava i principi uniformisti della geologia di Lyell. In questo quadro di competizione per le limitate risorse naturali Darwin, Wallace e gli altri naturalisti poterono inserire la propria nuova visione: la continua selezione naturale dei più adatti e la loro sopravvivenza, la trasmutazione di specie in specie, la vita tutta tesa e in lotta per il conseguimento d'un fine immanente che è la forma organica superiore. Una pratica comune per i naturalisti moderni, ed ereditata anche dai geopolitici, fu quella del viaggio e dell'esplorazione. Le nuove concezioni evoluzioniste e della selezione naturale necessitavano di due approfondimenti: quello della distribuzione geografica delle specie, e quello dei processi ecologici coinvolti nella formazione delle stesse. Per fare ciò serviva un tipo di naturalista diverso dalla generazione precedente, che lavorava solo nei musei e nei giardini botanici o zoologici: servivano viaggiatori, come Darwin e Wallace, che andassero di terra in terra osservando gli organismi viventi all'interno del loro ecosistema. Se gli evoluzionisti non potevano limitarsi a riflettere a tavolino era perché avevano rigettato il metodo deduttivo della teologia naturale e della filosofia idealista. Il ragionamento induttivo dell'evoluzionista non si poteva compiere però nemmeno chiusi in laboratorio: lavorando su sistemi complessi e d'infinite variabili come quelli ecologici, ragionando su tempi lunghissimi, non avevano la possibilità d'adottare un metodo sperimentale. I geopolitici ereditavano dai naturalisti loro maestri gli stessi problemi. Anche se il campo si restringeva all'uomo e l'orizzonte temporale alla sua storia ben più breve di quella della Terra, permaneva l'impossibilità di compiere esperimenti in laboratorio. L'osservazione diretta per il presente e lo studio della storia per il passato erano i terreni in cui trovare ispirazione e su cui mettere alla prova, per quanto possibile, le proprie congetture teoriche. Il darwinismo risolse il problema della frantumazione della geografia che s'era manifestato nell'Ottocento. La debolezza dell'argomentazione teleologica e determinista di Ritter aveva lasciato ampi spazi alla critica di stampo positivista e alla suddivisione della geografia in fisica e umana, con metodi e collocazioni disciplinari ben differenti e in alcun modo privilegiato comunicanti tra loro. Fu la filosofia evoluzionista inaugurata da Darwin, consistente nell'esclusione d'ogni fattore sovranaturale dalla spiegazione dei fenomeni osservati, a riconciliare uomo e ambiente senza cadere negli errori di Ritter, e rendere così possibile la rinascita d'una geografia unitaria e scientifica. Il metodo delle scienze naturali s'estese, per quanto possibile, anche a quelle umane, sociali e politiche. La geografia fisica non fu più dunque un ramo separato, bensì la base di partenza, il fondamento strutturale della geografia umana e di quella politica. I protagonisti di questa rivoluzione della materia erano influenzati dalle scienze naturali (Ritter) o naturalisti essi stessi (Von Humboldt). Nella seconda metà dell'Ottocento una generazione di zoologi, botanici, geologi e chimici, in Germania e in Gran Bretagna, s'affacciò alla geografia per sfruttare le nuove opportunità professionali offerte da una materia in corso d'istituzionalizzazione, nonché quelle scientifiche che uno studio spaziale della vita offriva quale ulteriore sviluppo dell'evoluzionismo. Tra di loro spiccano, in assoluto e ancor più in relazione alla geopolitica, le figure di Ratzel in Germania e Mackinder in Gran Bretagna. Giunti alla geografia, il loro primo impulso fu quello d'applicarvi i metodi delle scienze naturali. Il clima di accreditamento della geografia a livello scientifico favoriva l'enfasi su questo punto. In realtà, sia Ratzel sia Mackinder, quando si trattò di tradurre in pratica le loro indicazioni metodologiche, dovettero stemperarle notevolmente, accorgendosi della particolare difficoltà presentata dalla materia umana. Non recedettero, tuttavia, dall'intento di scoprire, descrivere e se possibile tradurre in legge quei fattori naturali presenti nella storia sociale e politica dell'umanità. La novità dell'approccio di Ratzel e Mackinder stava nell'affrontare l'argomento forti delle più recenti e progredite nozioni rese disponibili dalle scienze naturali. Laddove i predecessori avevano fatto trattatistica e filosofia, essi ambivano a produrre una moderna ricerca scientifica sul rapporto tra uomo e ambiente. A dispetto della narrativa inaugurata da Febvre, ciò non li destinò al terreno pericoloso del determinismo. Darwinaveva spostato l'asse causalistico dall'ambiente alla genetica. Per quanto l'ambiente mantenesse nella teoria darwinista un ruolo importante, erano la genealogia, le mutazioni genetiche e la diffusione ad assurgere in primo piano. Coerentemente, in Ratzel e Mackinder l'interesse precipuo andava non all'influenza ambientale sull'uomo, bensì alle relazioni spaziali in cui ciascun gruppo umano si trovava coinvolto nel corso della propria storia. Spazio e diffusione sostituirono l'ambiente al centro del discorso geografico dell'epoca. Fondata sulla lezione evoluzionista, la geopolitica non poteva che porsi come scienza dinamica, del movimento e della vita. L'identificazione tra questi ultimi due termini, vita e movimento, era salda nella visione geopolitica e soprattutto in quella di Friedrich Ratzel, che costruì gran parte della propria analisi e delle sue teorie sulla dimensione dinamica di popoli e Stati. Il movimento necessita però di spazio per avvenire e questa seconda categoria, eminentemente geografica ma già centrale nelle riflessioni di Malthus e Darwin, rappresentò un altro caposaldo della dottrina geopolitica. Rispetto a Ratzel maggiormente pratici di spirito e interessi, Mackinder e Haushofer applicarono le riflessioni su movimento vitale e spazio vitale alla politica internazionale dell'epoca. Per dimostrare che la geopolitica discende dalle scienze naturali, in particolare dalla loro declinazione evoluzionista, si sono adoperati in questa tesi tre argomenti: la possibilità d'inserire la nascita della geopolitica in una narrazione consequenziale della storia della scienza; la matrice formativa dei più importanti protagonisti della geopolitica; la coincidenza teorica e categoriale col naturalismo evoluzionista. Sotto quest'ultimo aspetto possiamo individuare sette temi o approcci fondamentali della geopolitica che permettono di ricollegarla direttamente all'evoluzionismo. Si tratta de: la vita come movimento; la spazialità come dimensione essenziale della vita; l'enfasi sui grandi spazi; la lotta per l'esistenza; la cautela sull'ambientalismo; l'organicismo statale; i riferimenti all'economia politica.

La politica come scienza naturale. Biologia evoluzionista e geopolitica tra Ottocento e Novecento / Scalea, Daniele. - (2019 Feb 14).

La politica come scienza naturale. Biologia evoluzionista e geopolitica tra Ottocento e Novecento

SCALEA, DANIELE
14/02/2019

Abstract

"Geopolitica" è un termine inflazionato, di frequente ricorso giornalistico, con scarsa adesione al suo storico utilizzo a cavallo tra XVIII e XIX secolo. Scopo della tesi è definire più esattamente questa geopolitica "classica" e porla in relazione con le correnti scientifiche dell'epoca. Già negli anni '40 i primi critici della scuola tedesca di "Geopolitik" la descrissero come una dottrina politica e propagandista al servizio dell'espansionismo tedesco. Negli ultimi decenni notevole fortuna ha avuto la "geopolitica critica", che inserisce quella "classica" tra le manifestazioni strumentali dell'imperialismo occidentale, mero discorso privo di qualsivoglia base scientifica. Una porzione minoritaria di studiosi, cui si aderisce, ha invece inscritto la geopolitica nel novero delle discipline scientifiche dell'epoca, ricollegandola o alla geografia o alla scienza politica. Appare infatti ragionevole (sulla scorta di Lacoste e, per certi versi, di Massi, Roletto e Weigert) identificare la geopolitica e la geografia politica di quel tempo, vedendo dunque in Ratzel e Mackinder autori non meno rappresentativi di Haushofer della geopolitica. Meno esplorato è invece il collegamento tra scienze naturali e geografia politica/geopolitica, tema invece della tesi. L'interpretazione tradizionale enfatizza i momenti di rottura, le rivoluzioni, mentre la storiografia contemporanea è più attenta alle linee di continuità. Allo stesso modo è oggi riconosciuto come l'evoluzionismo darwiniana rappresenti il momento culminante di una lunga riflessione della scienza naturalistica, che fin dal Cinquecento si interrogava sulla nozione di "specie", sulla sua essenza e sui collegamenti tra l'una e l'altra. Il Rinascimento e l'Età Moderna furono i secoli non solo della riscoperta degli antichi trattai, ma anche dell'inedita e capillare raccolta di informazioni dal mondo intero, autentico carburante della riflessione naturalista sull'organizzazione del creato e l'essenza della categoria di “specie”. L'attenzione dei tassonomisti si spostò gradualmente verso le parti immutabili, ereditarie degli individui; l'enfasi sulla morfologia sacrificò il lato ecologico di questa nascente biologia ma permise di avviare quella riflessione che avrebbe portato al trasmutazionismo e all'evoluzionismo. Il debito intellettuale di Darwin andava oltre il naturalismo, includendo intuizioni prese dall'economia (Malthus) e dalla teologia (Paley), oltre ovviamente alla geologia (Lyell). Posti di fronte alle sempre nuove scoperte di forme organiche e ai nuovi orizzonti aperti dai concomitanti avanzamenti in ambito geologico, fisico e chimico, i naturalisti cominciarono a cercare una teoria unificata della vita. Il nuovo studio fu battezzato da Lamarck e Treviranus col termine “biologia”. Fu nel quadro della biologia che nacque l'evoluzionismo, non più mera ipotesi di limitate modificazioni biologiche (la cui coscienza era diffusa già nei secoli precedenti), ma teoria scientifica complessiva della vita organica. L'evoluzionismo rappresentò un'autentica rivoluzione scientifica, paragonabile a quella copernicana. L'astronomo polacco aveva sfatato il mito di una Terra immobile al centro dell'universo, per metterla in orbita attorno al Sole. Gli evoluzionisti nel XIX secolo rivelarono quanto illusoria fosse anche l'immobilità organica sulla superficie della Terra: non vi sono specie fisse, create da Dio all'origine dei tempi e giunte immutate ai giorni nostri, gerarchicamente organizzate secondo i gradini d'una scala; bensì specie mutevoli che nascono e si estinguono, in un incessante ribollire di vita animale e vegetale. A essere abbattuto non fu tanto la figura della divinità – compatibile con l'evoluzionismo in quanto legislatore naturale – quanto il dogma della fissità di un Creato in armonioso equilibrio interno. La geopolitica rappresenterà un tentativo di traslare al piano socio-politico umano questa nuova coscienza del dinamismo e della mutevolezza. Tramite soprattutto la penna di Ratzel, ma meno esplicitamente in tutti i suoi autori, adotterà come principio basilare della propria concezione proprio quella che fu la raison d'être della biologia: considerare la vita sulla Terra come un tutt'uno, unito sincronicamente nello spazio e diacronicamente nel tempo. Nel Settecento il clima intellettuale era improntato all'ottimismo. Mentre Leibniz e Pope teorizzavano la perfezione dell'universo, autori come Condorcet e Godwin affermavano la perfettibilità dell'uomo per mezzo della ragione e della scienza. Nell'Ottocento ci fu una reazione. Malthus andò a confutare quelle narrative richiamando alla realtà d'un mondo fatto di scarsità, sofferenza e morte. Nel secolo dell'economia politica smithiana, tuttavia, si trovò presto un risvolto positivo di quella lotta per l'esistenza che mieteva tante vittime innocenti: il progresso. Non era più, però, il progresso sognato da Godwin o Condorcet, ossia l'imminente e definitivo approdo a una sorta di paradiso terrestre: il progresso così come teorizzato da Smith, Malthus e dai loro seguaci non poteva prescindere dalla continua competizione, a sua volta frutto della naturale scarsità di risorse. Era cioè un progresso privo di punto d'arrivo, che non poteva conoscere stasi né avvenire placidamente, ma al contrario richiedeva continui sacrifici. Il cessare di questa dinamica competitiva avrebbe inevitabilmente portato al regresso. Era un ordine mobile ma perenne, privo di punti d'arrivo: in tal senso richiamava i principi uniformisti della geologia di Lyell. In questo quadro di competizione per le limitate risorse naturali Darwin, Wallace e gli altri naturalisti poterono inserire la propria nuova visione: la continua selezione naturale dei più adatti e la loro sopravvivenza, la trasmutazione di specie in specie, la vita tutta tesa e in lotta per il conseguimento d'un fine immanente che è la forma organica superiore. Una pratica comune per i naturalisti moderni, ed ereditata anche dai geopolitici, fu quella del viaggio e dell'esplorazione. Le nuove concezioni evoluzioniste e della selezione naturale necessitavano di due approfondimenti: quello della distribuzione geografica delle specie, e quello dei processi ecologici coinvolti nella formazione delle stesse. Per fare ciò serviva un tipo di naturalista diverso dalla generazione precedente, che lavorava solo nei musei e nei giardini botanici o zoologici: servivano viaggiatori, come Darwin e Wallace, che andassero di terra in terra osservando gli organismi viventi all'interno del loro ecosistema. Se gli evoluzionisti non potevano limitarsi a riflettere a tavolino era perché avevano rigettato il metodo deduttivo della teologia naturale e della filosofia idealista. Il ragionamento induttivo dell'evoluzionista non si poteva compiere però nemmeno chiusi in laboratorio: lavorando su sistemi complessi e d'infinite variabili come quelli ecologici, ragionando su tempi lunghissimi, non avevano la possibilità d'adottare un metodo sperimentale. I geopolitici ereditavano dai naturalisti loro maestri gli stessi problemi. Anche se il campo si restringeva all'uomo e l'orizzonte temporale alla sua storia ben più breve di quella della Terra, permaneva l'impossibilità di compiere esperimenti in laboratorio. L'osservazione diretta per il presente e lo studio della storia per il passato erano i terreni in cui trovare ispirazione e su cui mettere alla prova, per quanto possibile, le proprie congetture teoriche. Il darwinismo risolse il problema della frantumazione della geografia che s'era manifestato nell'Ottocento. La debolezza dell'argomentazione teleologica e determinista di Ritter aveva lasciato ampi spazi alla critica di stampo positivista e alla suddivisione della geografia in fisica e umana, con metodi e collocazioni disciplinari ben differenti e in alcun modo privilegiato comunicanti tra loro. Fu la filosofia evoluzionista inaugurata da Darwin, consistente nell'esclusione d'ogni fattore sovranaturale dalla spiegazione dei fenomeni osservati, a riconciliare uomo e ambiente senza cadere negli errori di Ritter, e rendere così possibile la rinascita d'una geografia unitaria e scientifica. Il metodo delle scienze naturali s'estese, per quanto possibile, anche a quelle umane, sociali e politiche. La geografia fisica non fu più dunque un ramo separato, bensì la base di partenza, il fondamento strutturale della geografia umana e di quella politica. I protagonisti di questa rivoluzione della materia erano influenzati dalle scienze naturali (Ritter) o naturalisti essi stessi (Von Humboldt). Nella seconda metà dell'Ottocento una generazione di zoologi, botanici, geologi e chimici, in Germania e in Gran Bretagna, s'affacciò alla geografia per sfruttare le nuove opportunità professionali offerte da una materia in corso d'istituzionalizzazione, nonché quelle scientifiche che uno studio spaziale della vita offriva quale ulteriore sviluppo dell'evoluzionismo. Tra di loro spiccano, in assoluto e ancor più in relazione alla geopolitica, le figure di Ratzel in Germania e Mackinder in Gran Bretagna. Giunti alla geografia, il loro primo impulso fu quello d'applicarvi i metodi delle scienze naturali. Il clima di accreditamento della geografia a livello scientifico favoriva l'enfasi su questo punto. In realtà, sia Ratzel sia Mackinder, quando si trattò di tradurre in pratica le loro indicazioni metodologiche, dovettero stemperarle notevolmente, accorgendosi della particolare difficoltà presentata dalla materia umana. Non recedettero, tuttavia, dall'intento di scoprire, descrivere e se possibile tradurre in legge quei fattori naturali presenti nella storia sociale e politica dell'umanità. La novità dell'approccio di Ratzel e Mackinder stava nell'affrontare l'argomento forti delle più recenti e progredite nozioni rese disponibili dalle scienze naturali. Laddove i predecessori avevano fatto trattatistica e filosofia, essi ambivano a produrre una moderna ricerca scientifica sul rapporto tra uomo e ambiente. A dispetto della narrativa inaugurata da Febvre, ciò non li destinò al terreno pericoloso del determinismo. Darwinaveva spostato l'asse causalistico dall'ambiente alla genetica. Per quanto l'ambiente mantenesse nella teoria darwinista un ruolo importante, erano la genealogia, le mutazioni genetiche e la diffusione ad assurgere in primo piano. Coerentemente, in Ratzel e Mackinder l'interesse precipuo andava non all'influenza ambientale sull'uomo, bensì alle relazioni spaziali in cui ciascun gruppo umano si trovava coinvolto nel corso della propria storia. Spazio e diffusione sostituirono l'ambiente al centro del discorso geografico dell'epoca. Fondata sulla lezione evoluzionista, la geopolitica non poteva che porsi come scienza dinamica, del movimento e della vita. L'identificazione tra questi ultimi due termini, vita e movimento, era salda nella visione geopolitica e soprattutto in quella di Friedrich Ratzel, che costruì gran parte della propria analisi e delle sue teorie sulla dimensione dinamica di popoli e Stati. Il movimento necessita però di spazio per avvenire e questa seconda categoria, eminentemente geografica ma già centrale nelle riflessioni di Malthus e Darwin, rappresentò un altro caposaldo della dottrina geopolitica. Rispetto a Ratzel maggiormente pratici di spirito e interessi, Mackinder e Haushofer applicarono le riflessioni su movimento vitale e spazio vitale alla politica internazionale dell'epoca. Per dimostrare che la geopolitica discende dalle scienze naturali, in particolare dalla loro declinazione evoluzionista, si sono adoperati in questa tesi tre argomenti: la possibilità d'inserire la nascita della geopolitica in una narrazione consequenziale della storia della scienza; la matrice formativa dei più importanti protagonisti della geopolitica; la coincidenza teorica e categoriale col naturalismo evoluzionista. Sotto quest'ultimo aspetto possiamo individuare sette temi o approcci fondamentali della geopolitica che permettono di ricollegarla direttamente all'evoluzionismo. Si tratta de: la vita come movimento; la spazialità come dimensione essenziale della vita; l'enfasi sui grandi spazi; la lotta per l'esistenza; la cautela sull'ambientalismo; l'organicismo statale; i riferimenti all'economia politica.
14-feb-2019
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Tipologia: Tesi di dottorato
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1231980
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