Giocare d’azzardo è un’attività ricreativa che consiste nello scommettere una somma di denaro su un evento il cui esito è meno che certo. Sebbene tale attività rimanga un piacevole evento occasionale per la maggior parte degli individui, una fetta non trascurabile della popolazione generale sviluppa un quadro di comportamento maladattivo ed eccessivo identificato con l’etichetta diagnostica di Disturbo da Gioco d’Azzardo (DGA). Per esempio, recenti ricerche epidemiologiche stimano che circa il 2% della popolazione italiana sia afflitta da tale psicopatologia (Barbaranelli, Vecchione, Fida & Podio-Guidugli, 2013). Il DGA è fonte di numerose ripercussioni negative che, manifestandosi a volte in maniera eclatante, hanno spesso reso il disturbo protagonista dell’attenzione mediatica. Le poche trattazioni esaustive della questione dei costi sociali legati al disturbo insistono sul peso finanziario costituito dalla presa in carico sanitaria, dalle pratiche di sovraindebitamento, dalla diminuita produttività dei soggetti economici coinvolti e dal favoreggiamento di fenomeni criminali quali ad esempio l’usura (Collins, 2003). Le conseguenze avverse esperite a livello individuale, che vanno dalle problematiche finanziarie (indebitamento, usura) a quelle familiari, sono probabilmente responsabili degli elevati livelli di distress osservati in questi soggetti che, nei casi più drammatici, motivano tentativi di suicidio (Black et al., 2015). Di fronte a tali premesse, i professionisti che operano nel settore della salute mentale hanno palesato la necessità di mettere a punto protocolli di trattamento efficaci basati su solide evidenze empiriche. In risposta a tale esigenza, la comunità scientifica si è presto attivata, generando numerosi studi empirici volti a chiarire la natura dei fattori e dei meccanismi responsabili dell’emergenza e del mantenimento del disturbo. Il dilagare del fenomeno, in costante crescita a livello mondiale, è andato di pari passo con un incremento degli sforzi empirici negli ultimi vent’anni. Inoltre, la conoscenza empirica del DGA ha recentemente beneficiato di un rinnovato interesse da parte dei ricercatori, probabilmente determinato da un sostanziale cambiamento nella sua classificazione nosografica ufficializzata dalla pubblicazione della quinta versione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (American Psychiatric Association, 2013). Proprio la recente riclassificazione nosografica del DGA sottolinea il duplice valore euristico che assumono le ricerche empiriche sul tema. In effetti, il disturbo viene classificato come “Dipendenza non correlata a sostanze” e assume così lo statuto di prima dipendenza comportamentale, prototipica, ufficialmente riconosciuta dalla comunità psichiatrica. Sulla scia del rinnovato interesse per la tematica del DGA, un numero sempre più ampio di gruppi di ricerca ha prodotto lavori avendo per oggetto di studio le dipendenze comportamentali. In questo frangente, i risultati che emergono dallo studio del DGA appaiono rivestire un importante valore euristico, tracciando possibili linee di ricerca per la disamina di altri quadri clinici candidati all’inclusione nella categoria più ampia delle dipendenze comportamentali. Inoltre, lo studio dei meccanismi sottostanti alla dipendenza comportamentale da gioco d’azzardo offre spunti di riflessione per la comprensione delle tradizionali dipendenze patologiche. In effetti, l’osservazione del DGA costituisce un’opportunità per esaminare i meccanismi sottostanti al fenomeno delle dipendenze patologiche al netto delle influenze neurotossiche prodotte dalla storia di abuso prolungato di sostanze (Van Holst, Van Den Brink, Veltman & Goudriaan, 2010). In questo senso, il DGA costituirebbe un quadro puro di dipendenza e la sua disamina offrirebbe una visione chiara dei meccanismi patologici che sottendono i quadri clinici di dipendenza patologica. Alla luce di tali premesse, lo studio del DGA appare di grande utilità per l’avanzamento delle conoscenze nel campo delle dipendenze –nuove e tradizionali- e per la messa a punto di interventi efficaci. Nonostante la numerosità delle ricerche scientifiche condotte sul tema, i protocolli di trattamento psicologico per il DGA presentano tutt’ora diverse limitazioni quali ad esempio la scarsa efficacia a lungo termine degli stessi. Inoltre, un’analisi dei trend di ricerca evidenzia che, sorprendentemente, l’investigazione empirica del DGA non è stata la prerogativa degli psicologi. Per esempio, nel 2017, soltanto poco più del 30% degli articoli scientifici pubblicati sul gambling sono di stampo psicologico. In effetti, molti dei protocolli di trattamento attuati per il DGA appaiono mutuazioni dei protocolli basati sul trattamento delle dipendenze da sostanze, approccio legittimato dalle similarità comportamentali e neurobiologiche tra DGA e dipendenze tradizionali. Le indicazioni di natura psicologica che hanno aperto la strada a una personalizzazione dei trattamenti rivolti agli individui con DGA sono perlopiù di matrice cognitivo-comportamentale (Petry, 2016). In effetti, un proficuo filone di ricerca ha individuato la presenza di distorsioni cognitive caratteristiche del DGA che sono divenute il target di elezione del suo trattamento. Nonostante l’indubbio valore di tali iniziative, il predominio della prospettiva che spiega la psicopatologia come determinata, o mantenuta, da aberrazioni della razionalità umana, ha limitato l’indagine di altri variabili altrettanto centrali nella spiegazione del funzionamento psicopatologico del giocatore dipendente. In questo senso, la focalizzazione sugli aspetti cognitivi ha lasciato in ombra il ruolo giocato dai fattori emotivi nel disturbo. Inoltre, la limitata efficacia a lungo termine dei trattamenti cognitivo-comportamentali per il trattamento del DGA, sottolinea la necessità di estendere gli sforzi empirici volti all’incremento della comprensione psicologica del disturbo, esplorando le aree di ricerca rimaste finora in ombra, al fine di individuare ulteriori finestre di intervento. In questo senso, si sostiene che tali sforzi dovrebbero essere guidati da una prospettiva teorica in grado di produrre indicazioni cliniche utili, integrandole all’interno del panorama delle conoscenze finora accumulate da psicologi clinici e ricercatori. Partendo da tali presupposti, il presente lavoro sostiene la tesi che la prospettiva della regolazione emotiva costituisca un framework utile al fine di estendere la concettualizzazione teorica, l’investigazione empirica e la comprensione clinica del DGA. Nel primo capitolo, il lettore potrà apprezzare i fondamenti teorici della tesi sostenuta attraverso un’illustrazione dettagliata dello stato dell’arte delle evidenze teoriche e empiriche circa il nesso tra DGA e Regolazione Emotiva. Il secondo capitolo illustrerà nel dettaglio una ricerca empirica condotta al fine di testare il modello concettuale proposto e esplorare alcuni aspetti della tematica finora rimasti ai margini. In particolare, lo studio, di natura trasversale, ha compreso la somministrazione a un campione di individui con diagnosi di DGA (n=100) e un campione di controllo (n=105), omogenei per età e genere, una batteria di strumenti self-report. Al fine di testare le ipotesi dello studio, sono stati somministrati i seguenti strumenti: il South Oaks Gambling Screen (Lesieur & Blume, 1987), la Toronto Alexithymia Scale 20-items (Bagby et al., 1994), la Difficulties in Emotion Regulation Scale (Gratz & Roemer, 2004), l’Emotion Regulation Questionnaire (Gross & John, 2003), l'Impulsive Behavior Scale Short-Form (Whiteside et al., 2005), la Ways of Savoring Checklist (Bryant & Veroff, 2007). Dal punto di vista delle analisi statistiche, è stato integrato l’utilizzo di metodo parametrici con l’utilizzo di modelli ad equazioni strutturali non parametrici. I risultati hanno perlopiù sostenuto le ipotesi dello studio. Nello specifico, è stata evidenziata la presenza di diversi deficit nella capacità di regolare gli stati emotivi sia negativi che positivi negli individui con diagnosi di DGA. Inoltre, i risultati mettono in luce i potenziali effetti a cascata tra i diversi deficit che contraddistinguono i profili di regolazione emotiva dei giocatori patologici cosi come l’esistenza di nessi tra questi processi e le disfunzioni edoniche che caratterizzano il DGA. Infine, il terzo capitolo fornisce al lettore una discussione dei risultati ottenuti dalla ricerca entro il panorama delle evidenze precedentemente passate in rassegna, volta all’ulteriore sviluppo di una concettualizzazione del disturbo utile dal punto di vista clinico.

Disturbo da gioco d'azzardo e disregolazione emotiva / Rogier, GUYONNE CAMILLE. - (2019 Feb 14).

Disturbo da gioco d'azzardo e disregolazione emotiva

ROGIER, GUYONNE CAMILLE
14/02/2019

Abstract

Giocare d’azzardo è un’attività ricreativa che consiste nello scommettere una somma di denaro su un evento il cui esito è meno che certo. Sebbene tale attività rimanga un piacevole evento occasionale per la maggior parte degli individui, una fetta non trascurabile della popolazione generale sviluppa un quadro di comportamento maladattivo ed eccessivo identificato con l’etichetta diagnostica di Disturbo da Gioco d’Azzardo (DGA). Per esempio, recenti ricerche epidemiologiche stimano che circa il 2% della popolazione italiana sia afflitta da tale psicopatologia (Barbaranelli, Vecchione, Fida & Podio-Guidugli, 2013). Il DGA è fonte di numerose ripercussioni negative che, manifestandosi a volte in maniera eclatante, hanno spesso reso il disturbo protagonista dell’attenzione mediatica. Le poche trattazioni esaustive della questione dei costi sociali legati al disturbo insistono sul peso finanziario costituito dalla presa in carico sanitaria, dalle pratiche di sovraindebitamento, dalla diminuita produttività dei soggetti economici coinvolti e dal favoreggiamento di fenomeni criminali quali ad esempio l’usura (Collins, 2003). Le conseguenze avverse esperite a livello individuale, che vanno dalle problematiche finanziarie (indebitamento, usura) a quelle familiari, sono probabilmente responsabili degli elevati livelli di distress osservati in questi soggetti che, nei casi più drammatici, motivano tentativi di suicidio (Black et al., 2015). Di fronte a tali premesse, i professionisti che operano nel settore della salute mentale hanno palesato la necessità di mettere a punto protocolli di trattamento efficaci basati su solide evidenze empiriche. In risposta a tale esigenza, la comunità scientifica si è presto attivata, generando numerosi studi empirici volti a chiarire la natura dei fattori e dei meccanismi responsabili dell’emergenza e del mantenimento del disturbo. Il dilagare del fenomeno, in costante crescita a livello mondiale, è andato di pari passo con un incremento degli sforzi empirici negli ultimi vent’anni. Inoltre, la conoscenza empirica del DGA ha recentemente beneficiato di un rinnovato interesse da parte dei ricercatori, probabilmente determinato da un sostanziale cambiamento nella sua classificazione nosografica ufficializzata dalla pubblicazione della quinta versione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (American Psychiatric Association, 2013). Proprio la recente riclassificazione nosografica del DGA sottolinea il duplice valore euristico che assumono le ricerche empiriche sul tema. In effetti, il disturbo viene classificato come “Dipendenza non correlata a sostanze” e assume così lo statuto di prima dipendenza comportamentale, prototipica, ufficialmente riconosciuta dalla comunità psichiatrica. Sulla scia del rinnovato interesse per la tematica del DGA, un numero sempre più ampio di gruppi di ricerca ha prodotto lavori avendo per oggetto di studio le dipendenze comportamentali. In questo frangente, i risultati che emergono dallo studio del DGA appaiono rivestire un importante valore euristico, tracciando possibili linee di ricerca per la disamina di altri quadri clinici candidati all’inclusione nella categoria più ampia delle dipendenze comportamentali. Inoltre, lo studio dei meccanismi sottostanti alla dipendenza comportamentale da gioco d’azzardo offre spunti di riflessione per la comprensione delle tradizionali dipendenze patologiche. In effetti, l’osservazione del DGA costituisce un’opportunità per esaminare i meccanismi sottostanti al fenomeno delle dipendenze patologiche al netto delle influenze neurotossiche prodotte dalla storia di abuso prolungato di sostanze (Van Holst, Van Den Brink, Veltman & Goudriaan, 2010). In questo senso, il DGA costituirebbe un quadro puro di dipendenza e la sua disamina offrirebbe una visione chiara dei meccanismi patologici che sottendono i quadri clinici di dipendenza patologica. Alla luce di tali premesse, lo studio del DGA appare di grande utilità per l’avanzamento delle conoscenze nel campo delle dipendenze –nuove e tradizionali- e per la messa a punto di interventi efficaci. Nonostante la numerosità delle ricerche scientifiche condotte sul tema, i protocolli di trattamento psicologico per il DGA presentano tutt’ora diverse limitazioni quali ad esempio la scarsa efficacia a lungo termine degli stessi. Inoltre, un’analisi dei trend di ricerca evidenzia che, sorprendentemente, l’investigazione empirica del DGA non è stata la prerogativa degli psicologi. Per esempio, nel 2017, soltanto poco più del 30% degli articoli scientifici pubblicati sul gambling sono di stampo psicologico. In effetti, molti dei protocolli di trattamento attuati per il DGA appaiono mutuazioni dei protocolli basati sul trattamento delle dipendenze da sostanze, approccio legittimato dalle similarità comportamentali e neurobiologiche tra DGA e dipendenze tradizionali. Le indicazioni di natura psicologica che hanno aperto la strada a una personalizzazione dei trattamenti rivolti agli individui con DGA sono perlopiù di matrice cognitivo-comportamentale (Petry, 2016). In effetti, un proficuo filone di ricerca ha individuato la presenza di distorsioni cognitive caratteristiche del DGA che sono divenute il target di elezione del suo trattamento. Nonostante l’indubbio valore di tali iniziative, il predominio della prospettiva che spiega la psicopatologia come determinata, o mantenuta, da aberrazioni della razionalità umana, ha limitato l’indagine di altri variabili altrettanto centrali nella spiegazione del funzionamento psicopatologico del giocatore dipendente. In questo senso, la focalizzazione sugli aspetti cognitivi ha lasciato in ombra il ruolo giocato dai fattori emotivi nel disturbo. Inoltre, la limitata efficacia a lungo termine dei trattamenti cognitivo-comportamentali per il trattamento del DGA, sottolinea la necessità di estendere gli sforzi empirici volti all’incremento della comprensione psicologica del disturbo, esplorando le aree di ricerca rimaste finora in ombra, al fine di individuare ulteriori finestre di intervento. In questo senso, si sostiene che tali sforzi dovrebbero essere guidati da una prospettiva teorica in grado di produrre indicazioni cliniche utili, integrandole all’interno del panorama delle conoscenze finora accumulate da psicologi clinici e ricercatori. Partendo da tali presupposti, il presente lavoro sostiene la tesi che la prospettiva della regolazione emotiva costituisca un framework utile al fine di estendere la concettualizzazione teorica, l’investigazione empirica e la comprensione clinica del DGA. Nel primo capitolo, il lettore potrà apprezzare i fondamenti teorici della tesi sostenuta attraverso un’illustrazione dettagliata dello stato dell’arte delle evidenze teoriche e empiriche circa il nesso tra DGA e Regolazione Emotiva. Il secondo capitolo illustrerà nel dettaglio una ricerca empirica condotta al fine di testare il modello concettuale proposto e esplorare alcuni aspetti della tematica finora rimasti ai margini. In particolare, lo studio, di natura trasversale, ha compreso la somministrazione a un campione di individui con diagnosi di DGA (n=100) e un campione di controllo (n=105), omogenei per età e genere, una batteria di strumenti self-report. Al fine di testare le ipotesi dello studio, sono stati somministrati i seguenti strumenti: il South Oaks Gambling Screen (Lesieur & Blume, 1987), la Toronto Alexithymia Scale 20-items (Bagby et al., 1994), la Difficulties in Emotion Regulation Scale (Gratz & Roemer, 2004), l’Emotion Regulation Questionnaire (Gross & John, 2003), l'Impulsive Behavior Scale Short-Form (Whiteside et al., 2005), la Ways of Savoring Checklist (Bryant & Veroff, 2007). Dal punto di vista delle analisi statistiche, è stato integrato l’utilizzo di metodo parametrici con l’utilizzo di modelli ad equazioni strutturali non parametrici. I risultati hanno perlopiù sostenuto le ipotesi dello studio. Nello specifico, è stata evidenziata la presenza di diversi deficit nella capacità di regolare gli stati emotivi sia negativi che positivi negli individui con diagnosi di DGA. Inoltre, i risultati mettono in luce i potenziali effetti a cascata tra i diversi deficit che contraddistinguono i profili di regolazione emotiva dei giocatori patologici cosi come l’esistenza di nessi tra questi processi e le disfunzioni edoniche che caratterizzano il DGA. Infine, il terzo capitolo fornisce al lettore una discussione dei risultati ottenuti dalla ricerca entro il panorama delle evidenze precedentemente passate in rassegna, volta all’ulteriore sviluppo di una concettualizzazione del disturbo utile dal punto di vista clinico.
14-feb-2019
File allegati a questo prodotto
File Dimensione Formato  
Tesi_dottorato_Rogier.pdf

accesso aperto

Tipologia: Tesi di dottorato
Licenza: Tutti i diritti riservati (All rights reserved)
Dimensione 4.48 MB
Formato Adobe PDF
4.48 MB Adobe PDF

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1219256
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact