Se l’Italia, Paese di talenti, tra i talenti, avesse dato i natali anche a James Cameron, il Ministro Pier Carlo Padoan avrebbe potuto commissionargli un film di successo per finanziare la manovra correttiva da 3,4 miliardi richiesta dalla Commissione UE all’Italia [http://www.mef.gov.it/documenti-pubblicazioni/doc-finanza-pubblica/]. Scorrendo i dati di box office, scopriamo, infatti, che Avatar e Titanic, due tra i film più noti di Cameron, hanno incassato, rispettivamente, nelle sale cinematografiche di tutto il mondo, circa 2,7 e 2,1 miliardi di dollari; corretti per l’inflazione (i film sono usciti nel 2009 e nel 1997) circa 3 miliardi per Avatar e 2,5 miliardi per Titanic. http://www.boxofficemojo.com/yearly/?view2=worldwide&view=releasedate&p=.htm Se sommassimo ai ricavi della sala, anche quelli delle altre forme di sfruttamento (home video, televisioni, new media), gli importi indicati andrebbero ben oltre la “manovrina” di primavera. Ad un Cameron così, si potrebbe anche assegnare una medaglia al valore, che dico, un posto da senatore a vita: suvvia, un vitalizio, oggi negato a pochi e giammai ad un “salvatore 4.0” della Patria. Certo, i nostri film hanno un carattere maggiormente domestico; Checco Zalone, ad esempio, che con il suo Quo Vado ha realizzato l’incasso sala più elevato mai registrato in Italia, ha venduto biglietti per circa 65 milioni di euro. Per il vitalizio potrebbero bastare (Checco fatti avanti!), ma per la “manovra di correzione” sono ancora poca cosa. I più attenti potrebbero rintracciare nell’importo medio dei budget dei film italiani la motivazione ai ridotti ricavi: vero solo in parte. Prendiamo ad esempio il recente Get-Out, opera prima di Jordan Peel: con un budget di 4,5 milioni di dollari (molto prossimo al costo dei film italiani di “medio calibro”) ne ha già incassati 176, circa 3 volte il maggior incasso italiano di sempre. La spiegazione tra le distanze – solo economiche – tra James e Checco è semplice: più del 70% degli incassi di Avatar e Titanic provengono dall’estero, mentre Quo Vado, ed in generale i film italiani, fuori dell’Italia, hanno un mercato molto ristretto, il più delle volte inesistente [si veda al riguardo lo studio Anica dedicato: http://www.anica.it/i-quaderni-dellanica/quaderno-6-lexport-di-cinema-italiano-2006-2010]. Quale indicazione emerge, dunque? Quella di un mercato audiovisivo da abbandonare a se stesso? O, in alternativa, potrebbe valere la pena scommettere sull’industria di celluloide, promuovendo prodotti internazionali e facendo crescere talenti – ne abbiamo tanti – che siano in grado di emulare “zio Cameron” e – grazie anche a cambi generazionali ripetuti – di confezionare, in un prossimo futuro, opere a carattere universale? Il confronto tra i dati della “manovrina padoana” e quella dei box office di Avatar e Titanic non vuole essere irriverente, ma è li a dimostrarci che l’industria culturale – compresa quella dell’audiovisivo – può essere fonte di ricchezza, oltre che strumento di valorizzazione di life style. Vale, ancor di più, in fasi recessive – quali quella che stiamo vivendo – in cui forme di investimento alternative, fortemente decorrelate da quelle tradizionali, possono risultare molto utili alla diversificazione dei portafogli. Secondo questa prospettiva, il sostegno pubblico all’audiovisivo assume colorazioni più ampie di quella riferita alla sola eccezione culturale: cultura e creazione di valore vanno di pari passo e si alimentano reciprocamente. Il drastico cambiamento intervenuto negli schemi di aiuto pubblico all’audiovisivo con l’introduzione, nel 2009, del credito d’imposta per il cinema, si ispirava a questa convinzione. L’introduzione di un credito fiscale per i produttori cinematografici (c.d. tax credit interno, pari al 15% del costo eleggibile del film prodotto) e per gli investitori non appartenenti al settore, intenzionati ad investire in prodotti filmici (c.d. tax credit esterno, pari al 40% dell’investimento effettuato), ha voluto segnare il primo passo verso una forma moderna di un sostegno pubblico, orientata a favorire l’accesso delle imprese cinematografiche al mercato dei capitali privati [per dettagli sulla normativa del tax credit cinema si veda: http://www.anica.it/i-quaderni-dellanica/n2-agevolazioni-fiscali-per-il-cinema]. Il tutto, nell’ottica di una razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse statali. Per altro verso, la misura di credito d’imposta dedicata ai film stranieri a fronte delle spese effettuate in Italia (25% delle spese eleggibili), che ha accompagnato il tax credit interno ed esterno, ha voluto incentivare gli investimenti esteri in Italia, per assicurare alle nostre maestranze continuità di lavoro ed attivare sul nostro territorio un moltiplicatore di spesa e di investimenti. Tutto questo, nonostante gli anni di crisi, è, in gran parte, riuscito: dal 2010 al 2016, più di 900 film sono stati finanziati anche grazie al credito d’imposta; il peso dei finanziamenti privati – calcolato utilizzando come proxy il rapporto tra i crediti d’imposta ottenuti dal produttore e dal distributore ed il tax credit ottenuto dall’investitore esterno – è passato dal 16% circa del 2010, a circa il 77% del 2016; se lo Stato avesse dovuto finanziare gli stessi film con contributi diretti sostitutivi del capitale apportato dai privati, avrebbe speso più del doppio dei circa 135 milioni corrisposti agli investitori sotto forma di credito d’imposta. Sempre dal 2010, grazie al credito d’imposta, 27 produzioni straniere hanno girato tutto, o parte del loro film, in Italia; a fronte dei circa 77 milioni di euro di credito d’imposta ottenuti dallo Stato, hanno speso in Italia, approssimativamente, 300 milioni di euro. Le critiche all’utilizzo del credito d’imposta, recentemente acutizzate dall’inchiesta del programma Report, devono essere, pertanto, contestualizzate nel quadro descritto e devono sollecitare riflessioni costruttive. Il rischio di eventuali – e residuali – utilizzi scorretti del credito d’imposta (in particolar modo di quello esterno) non deve indurre a demonizzare l’incentivo fiscale. Il percorso di avvicinamento dell’industria audiovisiva al mondo finanziario, ed ai capitali privati, ha un orizzonte temporale di medio-lungo periodo [per approfondimenti sulla finanza del cinema si veda The Economics of the Audiovisual Industry: audio-visual book]. E’ fisiologico che, in questo tragitto, si possano registrare deviazioni e pratiche distorsive. Il compito di una politica illuminata è prenderne atto e porre in essere azioni correttive senza perdere di vista l’obiettivo finale: creare un’industria culturale costituita da imprese che, per un verso, siano in grado di stare sul mercato secondo criteri di sostenibilità economico-finanziaria, per altro verso, promuovano il nostro territorio attraendo capitali stranieri. Il credito d’imposta all’audiovisivo è un’arma potentissima in tal senso e va difesa, gestita con cura e accompagnata da altre misure. Ben vengano, dunque, le risposte contenute nella nuova legge di riforma del cinema – cosiddetta Legge Franceschini – che, in quest’ottica, oltre a confermare l’estensione dei benefici fiscali a tutte le opere audiovisive (anche TV e WEB), ha previsto una serie di novità pensate ad hoc per migliorare le dinamiche finanziarie dell’industria. Tra queste ne citiamo quattro, affatto banali. In primo luogo, la rimodulazione delle aliquote del tax credit, modifica che consente ai produttori di porsi al tavolo con gli investitori esterni con maggiore forza negoziale, restringendo le possibilità di comportamenti vessatori da parte di investitori “aggressivi”; ciò, grazie all’innalzamento dell’aliquota del credito d’imposta interno dal 15% al 30%, e l’abbassamento del tax credit esterno al 30%. In secondo luogo, l’esplicitazione dei meccanismi di rientro dell’investitore – meglio specificati nei decreti attuativi in fase di definizione – che eliminano ogni dubbio di interpretazione fraudolenta del contratto di associazione in partecipazione agli utili, alla base dell’accordo tra produttore ed investitore. Queste due previsioni dovranno, comunque, essere accompagnate, nella prassi amministrativa, da solleciti e sistematici controlli da parte dell’autorità competenti. Una terza previsione contenuta nella legge Franceschini è volta a facilitare l’investimento, a valere sul credito d’imposta esterno, di fondi comuni e società di capitale sottoposte a vigilanza prudenziale; anche questa misura contribuirà a stimolare investimenti di natura professionale, gestiti da intermediari finanziari vigilati, ed estranei alla logica del “prendi i soldi e scappa”. Infine, non meno importante, la previsione di istituire una sezione autonoma, nell’ambito del Fondo Centrale di Garanzia per le PMI, targata MIBACT, e dedicata alle opere audiovisive. Con la garanzia statale del Fondo Centrale, le banche potranno erogare finanziamenti ordinari alle imprese del settore senza essere eccessivamente penalizzate dagli assorbimenti patrimoniali richiesti dalle regole di Basilea a fronte di crediti concessi ad imprese sottopatrimonializzate, quali quelle audiovisive. La sezione autonoma stabilirà criteri di accesso pensati ad hoc per il settore, secondo una logica di project financing, consentendo anche alle produzioni più autoriali la possibilità di avvalersi della garanzia. Ancora una volta, l’Italia propone un quadro legislativo e regolamentare avanzato rispetto al panorama europeo: non sciupiamolo. E’ compito delle istituzioni vigilare sul corretto utilizzo degli strumenti messi in campo, degli operatori del settore dimostrare professionalità ed etica comportamentale, degli organi di comunicazione esercitare una corretta e sana pressione mediatica volta a valorizzare le buone pratiche. Solo così potremo sperare che, un giorno, il nipotino di Checco gareggi con quello di James “a chi ha il box office più alto”; solo così un futuro Ministro dell’Economia (Ministro 8.0?) potrà contare su più frecce al proprio arco per far quadrare i conti: perché no, anche su una freccia di celluloide.

Padoan, ti presento Cameron. Datemi un Blockbuster e vi solleverò il Bilancio! / LA TORRE, Mario. - ELETTRONICO. - (2017).

Padoan, ti presento Cameron. Datemi un Blockbuster e vi solleverò il Bilancio!

MARIO, LA TORRE
2017

Abstract

Se l’Italia, Paese di talenti, tra i talenti, avesse dato i natali anche a James Cameron, il Ministro Pier Carlo Padoan avrebbe potuto commissionargli un film di successo per finanziare la manovra correttiva da 3,4 miliardi richiesta dalla Commissione UE all’Italia [http://www.mef.gov.it/documenti-pubblicazioni/doc-finanza-pubblica/]. Scorrendo i dati di box office, scopriamo, infatti, che Avatar e Titanic, due tra i film più noti di Cameron, hanno incassato, rispettivamente, nelle sale cinematografiche di tutto il mondo, circa 2,7 e 2,1 miliardi di dollari; corretti per l’inflazione (i film sono usciti nel 2009 e nel 1997) circa 3 miliardi per Avatar e 2,5 miliardi per Titanic. http://www.boxofficemojo.com/yearly/?view2=worldwide&view=releasedate&p=.htm Se sommassimo ai ricavi della sala, anche quelli delle altre forme di sfruttamento (home video, televisioni, new media), gli importi indicati andrebbero ben oltre la “manovrina” di primavera. Ad un Cameron così, si potrebbe anche assegnare una medaglia al valore, che dico, un posto da senatore a vita: suvvia, un vitalizio, oggi negato a pochi e giammai ad un “salvatore 4.0” della Patria. Certo, i nostri film hanno un carattere maggiormente domestico; Checco Zalone, ad esempio, che con il suo Quo Vado ha realizzato l’incasso sala più elevato mai registrato in Italia, ha venduto biglietti per circa 65 milioni di euro. Per il vitalizio potrebbero bastare (Checco fatti avanti!), ma per la “manovra di correzione” sono ancora poca cosa. I più attenti potrebbero rintracciare nell’importo medio dei budget dei film italiani la motivazione ai ridotti ricavi: vero solo in parte. Prendiamo ad esempio il recente Get-Out, opera prima di Jordan Peel: con un budget di 4,5 milioni di dollari (molto prossimo al costo dei film italiani di “medio calibro”) ne ha già incassati 176, circa 3 volte il maggior incasso italiano di sempre. La spiegazione tra le distanze – solo economiche – tra James e Checco è semplice: più del 70% degli incassi di Avatar e Titanic provengono dall’estero, mentre Quo Vado, ed in generale i film italiani, fuori dell’Italia, hanno un mercato molto ristretto, il più delle volte inesistente [si veda al riguardo lo studio Anica dedicato: http://www.anica.it/i-quaderni-dellanica/quaderno-6-lexport-di-cinema-italiano-2006-2010]. Quale indicazione emerge, dunque? Quella di un mercato audiovisivo da abbandonare a se stesso? O, in alternativa, potrebbe valere la pena scommettere sull’industria di celluloide, promuovendo prodotti internazionali e facendo crescere talenti – ne abbiamo tanti – che siano in grado di emulare “zio Cameron” e – grazie anche a cambi generazionali ripetuti – di confezionare, in un prossimo futuro, opere a carattere universale? Il confronto tra i dati della “manovrina padoana” e quella dei box office di Avatar e Titanic non vuole essere irriverente, ma è li a dimostrarci che l’industria culturale – compresa quella dell’audiovisivo – può essere fonte di ricchezza, oltre che strumento di valorizzazione di life style. Vale, ancor di più, in fasi recessive – quali quella che stiamo vivendo – in cui forme di investimento alternative, fortemente decorrelate da quelle tradizionali, possono risultare molto utili alla diversificazione dei portafogli. Secondo questa prospettiva, il sostegno pubblico all’audiovisivo assume colorazioni più ampie di quella riferita alla sola eccezione culturale: cultura e creazione di valore vanno di pari passo e si alimentano reciprocamente. Il drastico cambiamento intervenuto negli schemi di aiuto pubblico all’audiovisivo con l’introduzione, nel 2009, del credito d’imposta per il cinema, si ispirava a questa convinzione. L’introduzione di un credito fiscale per i produttori cinematografici (c.d. tax credit interno, pari al 15% del costo eleggibile del film prodotto) e per gli investitori non appartenenti al settore, intenzionati ad investire in prodotti filmici (c.d. tax credit esterno, pari al 40% dell’investimento effettuato), ha voluto segnare il primo passo verso una forma moderna di un sostegno pubblico, orientata a favorire l’accesso delle imprese cinematografiche al mercato dei capitali privati [per dettagli sulla normativa del tax credit cinema si veda: http://www.anica.it/i-quaderni-dellanica/n2-agevolazioni-fiscali-per-il-cinema]. Il tutto, nell’ottica di una razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse statali. Per altro verso, la misura di credito d’imposta dedicata ai film stranieri a fronte delle spese effettuate in Italia (25% delle spese eleggibili), che ha accompagnato il tax credit interno ed esterno, ha voluto incentivare gli investimenti esteri in Italia, per assicurare alle nostre maestranze continuità di lavoro ed attivare sul nostro territorio un moltiplicatore di spesa e di investimenti. Tutto questo, nonostante gli anni di crisi, è, in gran parte, riuscito: dal 2010 al 2016, più di 900 film sono stati finanziati anche grazie al credito d’imposta; il peso dei finanziamenti privati – calcolato utilizzando come proxy il rapporto tra i crediti d’imposta ottenuti dal produttore e dal distributore ed il tax credit ottenuto dall’investitore esterno – è passato dal 16% circa del 2010, a circa il 77% del 2016; se lo Stato avesse dovuto finanziare gli stessi film con contributi diretti sostitutivi del capitale apportato dai privati, avrebbe speso più del doppio dei circa 135 milioni corrisposti agli investitori sotto forma di credito d’imposta. Sempre dal 2010, grazie al credito d’imposta, 27 produzioni straniere hanno girato tutto, o parte del loro film, in Italia; a fronte dei circa 77 milioni di euro di credito d’imposta ottenuti dallo Stato, hanno speso in Italia, approssimativamente, 300 milioni di euro. Le critiche all’utilizzo del credito d’imposta, recentemente acutizzate dall’inchiesta del programma Report, devono essere, pertanto, contestualizzate nel quadro descritto e devono sollecitare riflessioni costruttive. Il rischio di eventuali – e residuali – utilizzi scorretti del credito d’imposta (in particolar modo di quello esterno) non deve indurre a demonizzare l’incentivo fiscale. Il percorso di avvicinamento dell’industria audiovisiva al mondo finanziario, ed ai capitali privati, ha un orizzonte temporale di medio-lungo periodo [per approfondimenti sulla finanza del cinema si veda The Economics of the Audiovisual Industry: audio-visual book]. E’ fisiologico che, in questo tragitto, si possano registrare deviazioni e pratiche distorsive. Il compito di una politica illuminata è prenderne atto e porre in essere azioni correttive senza perdere di vista l’obiettivo finale: creare un’industria culturale costituita da imprese che, per un verso, siano in grado di stare sul mercato secondo criteri di sostenibilità economico-finanziaria, per altro verso, promuovano il nostro territorio attraendo capitali stranieri. Il credito d’imposta all’audiovisivo è un’arma potentissima in tal senso e va difesa, gestita con cura e accompagnata da altre misure. Ben vengano, dunque, le risposte contenute nella nuova legge di riforma del cinema – cosiddetta Legge Franceschini – che, in quest’ottica, oltre a confermare l’estensione dei benefici fiscali a tutte le opere audiovisive (anche TV e WEB), ha previsto una serie di novità pensate ad hoc per migliorare le dinamiche finanziarie dell’industria. Tra queste ne citiamo quattro, affatto banali. In primo luogo, la rimodulazione delle aliquote del tax credit, modifica che consente ai produttori di porsi al tavolo con gli investitori esterni con maggiore forza negoziale, restringendo le possibilità di comportamenti vessatori da parte di investitori “aggressivi”; ciò, grazie all’innalzamento dell’aliquota del credito d’imposta interno dal 15% al 30%, e l’abbassamento del tax credit esterno al 30%. In secondo luogo, l’esplicitazione dei meccanismi di rientro dell’investitore – meglio specificati nei decreti attuativi in fase di definizione – che eliminano ogni dubbio di interpretazione fraudolenta del contratto di associazione in partecipazione agli utili, alla base dell’accordo tra produttore ed investitore. Queste due previsioni dovranno, comunque, essere accompagnate, nella prassi amministrativa, da solleciti e sistematici controlli da parte dell’autorità competenti. Una terza previsione contenuta nella legge Franceschini è volta a facilitare l’investimento, a valere sul credito d’imposta esterno, di fondi comuni e società di capitale sottoposte a vigilanza prudenziale; anche questa misura contribuirà a stimolare investimenti di natura professionale, gestiti da intermediari finanziari vigilati, ed estranei alla logica del “prendi i soldi e scappa”. Infine, non meno importante, la previsione di istituire una sezione autonoma, nell’ambito del Fondo Centrale di Garanzia per le PMI, targata MIBACT, e dedicata alle opere audiovisive. Con la garanzia statale del Fondo Centrale, le banche potranno erogare finanziamenti ordinari alle imprese del settore senza essere eccessivamente penalizzate dagli assorbimenti patrimoniali richiesti dalle regole di Basilea a fronte di crediti concessi ad imprese sottopatrimonializzate, quali quelle audiovisive. La sezione autonoma stabilirà criteri di accesso pensati ad hoc per il settore, secondo una logica di project financing, consentendo anche alle produzioni più autoriali la possibilità di avvalersi della garanzia. Ancora una volta, l’Italia propone un quadro legislativo e regolamentare avanzato rispetto al panorama europeo: non sciupiamolo. E’ compito delle istituzioni vigilare sul corretto utilizzo degli strumenti messi in campo, degli operatori del settore dimostrare professionalità ed etica comportamentale, degli organi di comunicazione esercitare una corretta e sana pressione mediatica volta a valorizzare le buone pratiche. Solo così potremo sperare che, un giorno, il nipotino di Checco gareggi con quello di James “a chi ha il box office più alto”; solo così un futuro Ministro dell’Economia (Ministro 8.0?) potrà contare su più frecce al proprio arco per far quadrare i conti: perché no, anche su una freccia di celluloide.
2017
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1144518
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