Con l’espressione “imposte sostitutive” si è soliti identificare fenomeni impositivi di matrice diversa che, di norma, vengono ricondotti alla macro categoria dei “regimi fiscali sostitutivi”. Più in particolare, sono definite sostitutive quelle imposte concepite per surrogare al trattamento ordinario un diverso e, talvolta, più favorevole trattamento impositivo e sono, altresì, considerate sostitutive quelle imposte che consentono, quasi sempre previo esercizio di apposita opzione, di disarticolare, a presupposto impositivo invariato, la base imponibile riducendo l’incidenza del prelievo su determinati esiti categoriali ovvero su singole componenti reddituali. Molto rilevante è, quanto alle seconde, l’impatto quantitativo determinato sui saldi di finanza pubblica stimandosi l’effetto erosivo prodotto dall’implementazione di alcuni di questi prelievi (si pensi, solo per citare i più noti, ai regimi operanti sul fronte della tassazione dei redditi derivanti dall’impiego del capitale, alla detassazione dei premi di produttività, alla c.d. cedolare secca sugli affitti ed al regime applicabile in materia di tassazione delle micro attività economiche) in circa 64 miliardi di euro annui (pari a circa il 10 percento del reddito complessivamente assoggettato ad IRPEF), effetto erosivo talmente consistente da aver indotto, di recente, la Corte dei Conti a stigmatizzare quello che viene considerato un vero e proprio “esodo” dall’imposta sul reddito delle persone fisiche. E non meno rilevanti sono le questioni legate alla sistemazione concettuale di un fenomeno che, già sul piano nozionistico, ed a dispetto delle ricorrenti qualificazioni operate nei testi legislativi, presenta non poche criticità dovendosi all’uopo distinguere le imposte sostitutive propriamente dette da quelle che, per comodità descrittiva, possono essere definite “imposte sostitutive improprie” ossia articolazioni disciplinari che, pur modificando significativamente la misura del tributo corrispondente ad una certa categoria reddituale o ad una determinata componente reddituale, non assurgono a tributi autonomi e distinti. Circoscritto alle seconde il campo dell’indagine, ed enucleata una loro possibile tassonomia, occorre spostare più in là il focus dell’analisi chiedendosi se, sul piano dell’inquadramento sistematico del fenomeno sostitutivo improprio, l’ordito normativo consenta di isolare fattispecie slegate, in tutto o in parte, dalla fattispecie impositiva madre disegnata dal testo unico delle imposte sui redditi o se, di converso, non sia più corretto parlare di una pluralità di fattispecie che, quantomeno sul piano effettuale, si completano vicendevolmente. Sul piano sostanziale, lo sforzo ricostruttivo va completato con l’esame dei profili di compatibilità dei prelievi de quibus con i princìpi di eguaglianza e di capacità contributiva, oltreché di progressività, e ciò in considerazione del fatto che i meccanismi impositivi di cui trattasi, agendo sul piano della disarticolazione della base imponibile, assoggettano significative quote di reddito a (più) miti forme di tassazione. Sullo sfondo resta poi l’assetto giuspositivo dei prelievi in parola che, visto nell’ottica dei profili sostanziali e procedimentali, consente di scorgere un approccio alla regolamentazione della materia segnato da sommarietà e da scarsa capacità di guardare in modo coerente ed organico a vicende che, nella sostanza, sono riconducibili ad una matrice fenomenica unitaria.

Le imposte sostitutive improprie / Cardella, PIER LUCA. - (2016 Dec 14).

Le imposte sostitutive improprie

CARDELLA, PIER LUCA
14/12/2016

Abstract

Con l’espressione “imposte sostitutive” si è soliti identificare fenomeni impositivi di matrice diversa che, di norma, vengono ricondotti alla macro categoria dei “regimi fiscali sostitutivi”. Più in particolare, sono definite sostitutive quelle imposte concepite per surrogare al trattamento ordinario un diverso e, talvolta, più favorevole trattamento impositivo e sono, altresì, considerate sostitutive quelle imposte che consentono, quasi sempre previo esercizio di apposita opzione, di disarticolare, a presupposto impositivo invariato, la base imponibile riducendo l’incidenza del prelievo su determinati esiti categoriali ovvero su singole componenti reddituali. Molto rilevante è, quanto alle seconde, l’impatto quantitativo determinato sui saldi di finanza pubblica stimandosi l’effetto erosivo prodotto dall’implementazione di alcuni di questi prelievi (si pensi, solo per citare i più noti, ai regimi operanti sul fronte della tassazione dei redditi derivanti dall’impiego del capitale, alla detassazione dei premi di produttività, alla c.d. cedolare secca sugli affitti ed al regime applicabile in materia di tassazione delle micro attività economiche) in circa 64 miliardi di euro annui (pari a circa il 10 percento del reddito complessivamente assoggettato ad IRPEF), effetto erosivo talmente consistente da aver indotto, di recente, la Corte dei Conti a stigmatizzare quello che viene considerato un vero e proprio “esodo” dall’imposta sul reddito delle persone fisiche. E non meno rilevanti sono le questioni legate alla sistemazione concettuale di un fenomeno che, già sul piano nozionistico, ed a dispetto delle ricorrenti qualificazioni operate nei testi legislativi, presenta non poche criticità dovendosi all’uopo distinguere le imposte sostitutive propriamente dette da quelle che, per comodità descrittiva, possono essere definite “imposte sostitutive improprie” ossia articolazioni disciplinari che, pur modificando significativamente la misura del tributo corrispondente ad una certa categoria reddituale o ad una determinata componente reddituale, non assurgono a tributi autonomi e distinti. Circoscritto alle seconde il campo dell’indagine, ed enucleata una loro possibile tassonomia, occorre spostare più in là il focus dell’analisi chiedendosi se, sul piano dell’inquadramento sistematico del fenomeno sostitutivo improprio, l’ordito normativo consenta di isolare fattispecie slegate, in tutto o in parte, dalla fattispecie impositiva madre disegnata dal testo unico delle imposte sui redditi o se, di converso, non sia più corretto parlare di una pluralità di fattispecie che, quantomeno sul piano effettuale, si completano vicendevolmente. Sul piano sostanziale, lo sforzo ricostruttivo va completato con l’esame dei profili di compatibilità dei prelievi de quibus con i princìpi di eguaglianza e di capacità contributiva, oltreché di progressività, e ciò in considerazione del fatto che i meccanismi impositivi di cui trattasi, agendo sul piano della disarticolazione della base imponibile, assoggettano significative quote di reddito a (più) miti forme di tassazione. Sullo sfondo resta poi l’assetto giuspositivo dei prelievi in parola che, visto nell’ottica dei profili sostanziali e procedimentali, consente di scorgere un approccio alla regolamentazione della materia segnato da sommarietà e da scarsa capacità di guardare in modo coerente ed organico a vicende che, nella sostanza, sono riconducibili ad una matrice fenomenica unitaria.
14-dic-2016
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Tesi dottorato Cardella

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Tipologia: Tesi di dottorato
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1132612
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