È un anno di ricorrenze quello che stiamo vivendo, ma non per questo di celebrazioni. Cadono settant’anni dall’approvazione della Costituzione repubblicana, sessanta dalla sottoscrizione del Trattato di Roma, venticinque da quella del Trattato di Maastricht, dieci da quella del Trattato di Lisbona. Il plesso dei rapporti tra la democrazia e il potere economico, oggetto di questa relazione, investe ciascuno di quei documenti giuridici, considerati ora in sé, nella loro attitudine a dar corpo ad un ordinamento giuridico determinato, ed ora per sé, nelle vicendevoli e mutevoli interrelazioni che ne sono scaturite nel corso di oltre mezzo secolo di esperienza giuridica. La presente trattazione si svolgerà in tre tempi. In una prima parte, il tema della democrazia e del potere economico sarà centrato sull’ordinamento statale. All’interno di questo, si apprenderà lo sforzo incessante prodotto dalla Carta repubblicana per avvicinare i due termini della relazione, attraverso un processo dinamico di integrazione tra sfere precedentemente caratterizzate come separate e distinte (infra, § 1.1). Seguendo questa prospettiva, si affronterà un aspetto specifico della combinazione tra la democrazia e il potere economico, dato dalla previsione della collaborazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, di cui all’art. 46 Cost. Si tratta, com’è noto, di una disposizione costituzionale non solo rimasta inattuata, ma anche ritenuta ambigua, poco perspicua e perciò in qualche modo destinata all’oblio. Non è questa l’opinione che si intende qui formulare. Laddove, infatti, si riuscisse a dimostrare la perdurante, se non accresciuta, attualità di tale enunciato così poco considerato in sede legislativa, giurisprudenziale e dottrinale, ciò potrebbe valere a gettare una luce nuova, ed anche in qualche modo complessiva, sulle potenzialità rimaste ancora inesplorate della Carta repubblicana proprio nei confronti del tema qui trattato (infra, § 1.2). Sulla scorta di tali considerazioni, si passerà quindi a tratteggiare il ruolo connettivo della dimensione sociale nell’orizzonte costituzionale italiano, posta al crocevia tra la sfera politica e la sfera economica e alle quali la prima risulta in più di un luogo espressamente affiancata. Questa dimensione, declinata nel diritto costituzionale in una chiave ora soggettiva (sotto forma di diritti sociali) ed ora oggettiva (in particolare, nella disciplina costituzionale dell’economia), costituisce la risultante di una visione della società non assunta come un aliquid datum, ma investita da un progetto di trasformazione complessiva, in cui la democrazia e il potere economico vicendevolmente si compenetrano (infra, § 1.3). Proprio la considerazione della dimensione sociale, per come questa viene riguardata all’interno del diritto statale, consentirà in una seconda parte di volgere lo sguardo all’Unione europea, con riferimento, in primo luogo, all’attuale previsione dell’“economia sociale di mercato”, di cui all’art. 3, § 3, co. 1, TUE. Tuttavia, tanto una disamina genealogica di tale formula, quanto la sua esplicitazione all’interno dei Trattati, quanto ancora la sua recente utilizzazione giurisprudenziale farà emergere una fondamentale alterità del concetto di sociale nel diritto sovranazionale rispetto a quello stilizzato nella trama costituzionale italiana e, dunque, un altro modo di intendere i rapporti tra la democrazia e il potere economico (infra, § 2.1). Al fine di illustrare tale assunto, si tratterà più nel dettaglio una delle c.d. quattro libertà, la libertà di circolazione dei capitali, disciplinata agli artt. 63 ss. TFUE, in quanto essa, dopo un impetuoso sviluppo normativo occorso a partire dagli anni ottanta del Novecento, si caratterizza per la sua evidente incidenza sulla sfera economica e, ad un tempo, per l’insuscettibilità di qualunque sua prospettazione in chiave sociale (infra, § 2.2). Successivamente, si passerà ad affrontare quello che si ritiene essere, a pieno titolo, il principio di struttura della dimensione economica dell’Unione europea, dato dalla separazione tra la (disciplina della) politica economica e la (disciplina della) politica monetaria. Ciò porterà a verificare l’incidenza di tale divisione tra due sfere comunque ritenute “politiche” – una delle quali, la politica monetaria, è però affidata ad un’istituzione algidamente indipendente, qual è la Banca centrale europea – sul plesso formato dalla democrazia e dal potere economico nell’ordinamento sovranazionale (infra, § 2.3). La disamina così svolta dei due ordinamenti in questione consentirà, in una terza parte, di metterne a tema le interrelazioni, anche attraverso il prisma della dottrina giuspubblicistica italiana che più ne ha studiato le inflessioni rispetto all’oggetto osservato. Si procederà, pertanto, ad incrociare la disciplina costituzionale e quella sovranazionale dell’economia; e da ciò si trarrà una certa diversità di impostazione dei due ordinamenti considerati, quanto alla relazione tra la democrazia e il potere economico (infra, § 3.1). Successivamente, si coglieranno due momenti di snodo per la riflessione giuspubblicistica italiana, a vent’anni di distanza l’uno dall’altro, da individuarsi negli anni 1991-1992 e 2011-2012. Il biennio 1991-1992 non solo centra l’istituzione dell’unione monetaria, destinata a sedimentare nel coevo Trattato di Maastricht, ma accoglie altresì un’ampia e ricca discussione tra i costituzionalisti in merito all’attualità della disciplina costituzionale dell’economia, in considerazione delle incipienti trasformazioni interordinamentali. La prospettiva assunta a quel tempo sembra intendere, con poche voci dissonanti, il processo di integrazione europea come la soluzione alla profonda crisi istituzionale, politica ed economica che colpisce l’Italia del tempo, anche a costo di mettere in ombra il dettato costituzionale in materia e, in qualche caso, di trascolorare verso suggestioni de iure condendo (infra, § 3.2). Il biennio 2011-2012 coincide anch’esso con l’acme di una nuova e profonda crisi che investe l’Italia, alla quale si risponde con un articolato strumentario di matrice internazionale, sovranazionale e costituzionale. Al contempo, tale più recente evoluzione istituzionale sembra dare l’avvio, vent’anni dopo, a un certo ripensamento critico negli studi giuspubblicistici italiani circa l’essenza e il valore dell’Unione europea nel momento attuale, vista non più solo come una soluzione, ma anche come un problema, in ragione delle sempre più profonde tensioni a cui il diritto sovranazionale sottopone lo snodo costituzionale della democrazia e del potere economico (infra, § 3.3). In conclusione, le crescenti disarmonie che scaturiscono dal piano delle relazioni interordinamentali, rispetto all’oggetto qui in esame, inducono a proporre una configurazione più stringente dei rapporti tra il diritto costituzionale e il diritto sovranazionale, attraverso la (ri)affermazione di un criterio non solo ordinante, ma anche ordinario, che assuma la Carta repubblicana quale necessario fondamento di giustificazione e, al tempo stesso, quale fisiologico e permanente elemento di valutazione delle limitazioni di sovranità consentite a beneficio di ordinamenti giuridici “altri” rispetto all’ordinamento statale.
Democrazia e potere economico / Benvenuti, Marco. - In: RIVISTA AIC. - ISSN 2039-8298. - ELETTRONICO. - 3(2018), pp. 1-110.
Democrazia e potere economico
marco benvenuti
2018
Abstract
È un anno di ricorrenze quello che stiamo vivendo, ma non per questo di celebrazioni. Cadono settant’anni dall’approvazione della Costituzione repubblicana, sessanta dalla sottoscrizione del Trattato di Roma, venticinque da quella del Trattato di Maastricht, dieci da quella del Trattato di Lisbona. Il plesso dei rapporti tra la democrazia e il potere economico, oggetto di questa relazione, investe ciascuno di quei documenti giuridici, considerati ora in sé, nella loro attitudine a dar corpo ad un ordinamento giuridico determinato, ed ora per sé, nelle vicendevoli e mutevoli interrelazioni che ne sono scaturite nel corso di oltre mezzo secolo di esperienza giuridica. La presente trattazione si svolgerà in tre tempi. In una prima parte, il tema della democrazia e del potere economico sarà centrato sull’ordinamento statale. All’interno di questo, si apprenderà lo sforzo incessante prodotto dalla Carta repubblicana per avvicinare i due termini della relazione, attraverso un processo dinamico di integrazione tra sfere precedentemente caratterizzate come separate e distinte (infra, § 1.1). Seguendo questa prospettiva, si affronterà un aspetto specifico della combinazione tra la democrazia e il potere economico, dato dalla previsione della collaborazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, di cui all’art. 46 Cost. Si tratta, com’è noto, di una disposizione costituzionale non solo rimasta inattuata, ma anche ritenuta ambigua, poco perspicua e perciò in qualche modo destinata all’oblio. Non è questa l’opinione che si intende qui formulare. Laddove, infatti, si riuscisse a dimostrare la perdurante, se non accresciuta, attualità di tale enunciato così poco considerato in sede legislativa, giurisprudenziale e dottrinale, ciò potrebbe valere a gettare una luce nuova, ed anche in qualche modo complessiva, sulle potenzialità rimaste ancora inesplorate della Carta repubblicana proprio nei confronti del tema qui trattato (infra, § 1.2). Sulla scorta di tali considerazioni, si passerà quindi a tratteggiare il ruolo connettivo della dimensione sociale nell’orizzonte costituzionale italiano, posta al crocevia tra la sfera politica e la sfera economica e alle quali la prima risulta in più di un luogo espressamente affiancata. Questa dimensione, declinata nel diritto costituzionale in una chiave ora soggettiva (sotto forma di diritti sociali) ed ora oggettiva (in particolare, nella disciplina costituzionale dell’economia), costituisce la risultante di una visione della società non assunta come un aliquid datum, ma investita da un progetto di trasformazione complessiva, in cui la democrazia e il potere economico vicendevolmente si compenetrano (infra, § 1.3). Proprio la considerazione della dimensione sociale, per come questa viene riguardata all’interno del diritto statale, consentirà in una seconda parte di volgere lo sguardo all’Unione europea, con riferimento, in primo luogo, all’attuale previsione dell’“economia sociale di mercato”, di cui all’art. 3, § 3, co. 1, TUE. Tuttavia, tanto una disamina genealogica di tale formula, quanto la sua esplicitazione all’interno dei Trattati, quanto ancora la sua recente utilizzazione giurisprudenziale farà emergere una fondamentale alterità del concetto di sociale nel diritto sovranazionale rispetto a quello stilizzato nella trama costituzionale italiana e, dunque, un altro modo di intendere i rapporti tra la democrazia e il potere economico (infra, § 2.1). Al fine di illustrare tale assunto, si tratterà più nel dettaglio una delle c.d. quattro libertà, la libertà di circolazione dei capitali, disciplinata agli artt. 63 ss. TFUE, in quanto essa, dopo un impetuoso sviluppo normativo occorso a partire dagli anni ottanta del Novecento, si caratterizza per la sua evidente incidenza sulla sfera economica e, ad un tempo, per l’insuscettibilità di qualunque sua prospettazione in chiave sociale (infra, § 2.2). Successivamente, si passerà ad affrontare quello che si ritiene essere, a pieno titolo, il principio di struttura della dimensione economica dell’Unione europea, dato dalla separazione tra la (disciplina della) politica economica e la (disciplina della) politica monetaria. Ciò porterà a verificare l’incidenza di tale divisione tra due sfere comunque ritenute “politiche” – una delle quali, la politica monetaria, è però affidata ad un’istituzione algidamente indipendente, qual è la Banca centrale europea – sul plesso formato dalla democrazia e dal potere economico nell’ordinamento sovranazionale (infra, § 2.3). La disamina così svolta dei due ordinamenti in questione consentirà, in una terza parte, di metterne a tema le interrelazioni, anche attraverso il prisma della dottrina giuspubblicistica italiana che più ne ha studiato le inflessioni rispetto all’oggetto osservato. Si procederà, pertanto, ad incrociare la disciplina costituzionale e quella sovranazionale dell’economia; e da ciò si trarrà una certa diversità di impostazione dei due ordinamenti considerati, quanto alla relazione tra la democrazia e il potere economico (infra, § 3.1). Successivamente, si coglieranno due momenti di snodo per la riflessione giuspubblicistica italiana, a vent’anni di distanza l’uno dall’altro, da individuarsi negli anni 1991-1992 e 2011-2012. Il biennio 1991-1992 non solo centra l’istituzione dell’unione monetaria, destinata a sedimentare nel coevo Trattato di Maastricht, ma accoglie altresì un’ampia e ricca discussione tra i costituzionalisti in merito all’attualità della disciplina costituzionale dell’economia, in considerazione delle incipienti trasformazioni interordinamentali. La prospettiva assunta a quel tempo sembra intendere, con poche voci dissonanti, il processo di integrazione europea come la soluzione alla profonda crisi istituzionale, politica ed economica che colpisce l’Italia del tempo, anche a costo di mettere in ombra il dettato costituzionale in materia e, in qualche caso, di trascolorare verso suggestioni de iure condendo (infra, § 3.2). Il biennio 2011-2012 coincide anch’esso con l’acme di una nuova e profonda crisi che investe l’Italia, alla quale si risponde con un articolato strumentario di matrice internazionale, sovranazionale e costituzionale. Al contempo, tale più recente evoluzione istituzionale sembra dare l’avvio, vent’anni dopo, a un certo ripensamento critico negli studi giuspubblicistici italiani circa l’essenza e il valore dell’Unione europea nel momento attuale, vista non più solo come una soluzione, ma anche come un problema, in ragione delle sempre più profonde tensioni a cui il diritto sovranazionale sottopone lo snodo costituzionale della democrazia e del potere economico (infra, § 3.3). In conclusione, le crescenti disarmonie che scaturiscono dal piano delle relazioni interordinamentali, rispetto all’oggetto qui in esame, inducono a proporre una configurazione più stringente dei rapporti tra il diritto costituzionale e il diritto sovranazionale, attraverso la (ri)affermazione di un criterio non solo ordinante, ma anche ordinario, che assuma la Carta repubblicana quale necessario fondamento di giustificazione e, al tempo stesso, quale fisiologico e permanente elemento di valutazione delle limitazioni di sovranità consentite a beneficio di ordinamenti giuridici “altri” rispetto all’ordinamento statale.File | Dimensione | Formato | |
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