Questo lavoro è incentrato sulla figura del Vescovo di Roma, nella sua veste di Supremo Pastore e Maestro della Chiesa Universale, ed intende approfondire due tematiche legate al Sommo Ufficio di cui egli è investito, strettamente connesse tra loro: i suoi poteri primaziali e l’eventualità di una sua libera rinuncia al munus petrino. Preme, infatti, rilevare come la questione dei poteri primaziali conferiti dal Cristo a Pietro e ai suoi Successori permetta di cogliere l’essenza più vera dell’ufficio pontificale e la sua trattazione, pertanto, si rivela necessariamente prodromica alla comprensione delle peculiarità e delle gravose conseguenze scaturenti dalla rinuncia ad un munus unico e vitale per la Comunità Ecclesiale. Il primo tema, quello del Primato, che ha un fondamento evangelico e scaturisce direttamente dalla divina designazione di Pietro come capo del Collegio Apostolico, verrà analizzato a partire dal Concilio Vaticano I, mediante il quale la Chiesa di Pio IX reagì al razionalismo e al relativismo del XIX secolo, correnti filosofiche attivamente contrarie al pensiero e all’insegnamento tradizionale della Chiesa, fornendo come risposta alle coscienze un unico strumento unificante, individuato nel richiamo autoritario all’unità della Chiesa e nell’esaltazione del principio di autorità pontificia. La strada segnata dal Concilio verrà ripercorsa alla luce della Costituzione Pastor aeternus, il documento del Vaticano I che ha definito dogmaticamente le due prerogative attraverso le quali si estrinseca l’autorità petrina. Infatti, il potere primaziale del Pescatore di Galilea, perpetuamente trasmesso singolarmente e in pienezza ad ogni Vescovo che siede sulla sua Cattedra Romana, in virtù della Successione Apostolica, si articola nel Primato di giurisdizione e nell’infallibilità magisteriale. Il Primato di giurisdizione riguarda il munus regendi del Vescovo di Roma che, in qualità di Successore di Pietro, esercita sulla Chiesa Universale una potestà di governo suprema, piena ed immediata. L’infallibilità è connessa, invece, all’esercizio del munus docendi del Romano Pontefice. La seconda tematica di questo lavoro si prefigge di esaminare l’ufficio del Vescovo di Roma nella prospettiva della possibilità di una libera rinuncia ad esso da parte dell’eletto al Soglio Petrino. Si tratta di una materia estremamente controversa, poiché va ad incidere sull’intangibile immagine mistico-sacrale del Papato che la Tradizione ci ha consegnato, ormai da secoli, attraverso il succedersi di Pontefici che hanno regnato sulla Chiesa sino alla morte e, in una sorta di viaggio nel tempo, ci riporta ad epoche remote in cui soprattutto le condizioni storico-politiche avevano determinato il verificarsi di rinunce papali. Inaspettatamente, l’11 febbraio 2013, quella che doveva essere una semplice ipotesi di studio – giuridicamente contemplata sia dal CIC 1917 che da quello vigente, ma quiescente ab immemorabili - si è concretizzata in oggettiva certezza che ha stupito e spiazzato la Chiesa e il mondo, e la Sede Apostolica, per la prima volta dopo secoli, alle ore 20.00 del 28 febbraio 2013 è divenuta vacante non per la morte del Pontefice regnante ma per la sua rinuncia. All’esame analitico delle peculiarità della renuntiatio pontificalis è parso opportuno premettere una disamina dei caratteri generali e del concetto canonico di ufficio, vero e proprio cardine dell’intera organizzazione ecclesiastica, in quanto strumento mediante il quale la Chiesa esprime il suo aspetto istituzionale e realizza la sua missione per la salvezza del Popolo di Dio. Dopo aver illustrato i diversi sistemi di provvista canonica, attraverso i quali si dota di titolare un ufficio eretto, si approfondiranno le modalità di perdita dell’ufficio ecclesiastico, così da fornire il giusto inquadramento sistematico all’istituto della rinuncia all’ufficio, di cui verranno vagliati i caratteri generali, così come disciplinati ai canoni 187 – 189 del CIC 1983. Dal confronto con tale disciplina generale sarà possibile enucleare e comprendere le peculiarità della rinuncia ad un ufficio del tutto singolare, quello primaziale del Vescovo di Roma, che si connota per la sua apicalità ed unicità. Attraverso le riflessioni e i commenti che la Declaratio di Ratzinger ha suscitato all’interno e fuori dalla Chiesa, si cercherà, dapprima, di comprendere le motivazioni e il significato autentico di questa rinuncia, per poi confrontarla con i precedenti casi che la storia ci ha consegnato e coglierne analogie e diversità; si affronteranno, altresì, le disquisizioni dottrinali che hanno animato il dibattito tra teologi e canonisti, concernenti, in particolare, lo status canonico e la qualifica da attribuire al Pontefice resignante; ma, soprattutto, verrà compiuta un’analisi giuridica del canone 332 §2 CIC 1983, dalla quale si evincerà che la rinuncia è un atto che si colloca legittimamente nell’Ordinamento Canonico, in quanto esplicitamente contemplata dal Codice, che ne enuclea le condizioni di validità, necessarie affinché un atto tanto grave e pregnante di significato e conseguenze, anche incognite, possa essere in ogni caso compiuto nell’interesse superiore della Chiesa, che il Successore di Pietro, come si legge nel Vangelo di Giovanni (21, 15-19), è chiamato a servire ed amare “…più di costoro”.

Il Romano Pontefice: poteri primaziali e rinuncia all'ufficio / Tedesco, Vincenzo. - (2018 May 18).

Il Romano Pontefice: poteri primaziali e rinuncia all'ufficio

TEDESCO, VINCENZO
18/05/2018

Abstract

Questo lavoro è incentrato sulla figura del Vescovo di Roma, nella sua veste di Supremo Pastore e Maestro della Chiesa Universale, ed intende approfondire due tematiche legate al Sommo Ufficio di cui egli è investito, strettamente connesse tra loro: i suoi poteri primaziali e l’eventualità di una sua libera rinuncia al munus petrino. Preme, infatti, rilevare come la questione dei poteri primaziali conferiti dal Cristo a Pietro e ai suoi Successori permetta di cogliere l’essenza più vera dell’ufficio pontificale e la sua trattazione, pertanto, si rivela necessariamente prodromica alla comprensione delle peculiarità e delle gravose conseguenze scaturenti dalla rinuncia ad un munus unico e vitale per la Comunità Ecclesiale. Il primo tema, quello del Primato, che ha un fondamento evangelico e scaturisce direttamente dalla divina designazione di Pietro come capo del Collegio Apostolico, verrà analizzato a partire dal Concilio Vaticano I, mediante il quale la Chiesa di Pio IX reagì al razionalismo e al relativismo del XIX secolo, correnti filosofiche attivamente contrarie al pensiero e all’insegnamento tradizionale della Chiesa, fornendo come risposta alle coscienze un unico strumento unificante, individuato nel richiamo autoritario all’unità della Chiesa e nell’esaltazione del principio di autorità pontificia. La strada segnata dal Concilio verrà ripercorsa alla luce della Costituzione Pastor aeternus, il documento del Vaticano I che ha definito dogmaticamente le due prerogative attraverso le quali si estrinseca l’autorità petrina. Infatti, il potere primaziale del Pescatore di Galilea, perpetuamente trasmesso singolarmente e in pienezza ad ogni Vescovo che siede sulla sua Cattedra Romana, in virtù della Successione Apostolica, si articola nel Primato di giurisdizione e nell’infallibilità magisteriale. Il Primato di giurisdizione riguarda il munus regendi del Vescovo di Roma che, in qualità di Successore di Pietro, esercita sulla Chiesa Universale una potestà di governo suprema, piena ed immediata. L’infallibilità è connessa, invece, all’esercizio del munus docendi del Romano Pontefice. La seconda tematica di questo lavoro si prefigge di esaminare l’ufficio del Vescovo di Roma nella prospettiva della possibilità di una libera rinuncia ad esso da parte dell’eletto al Soglio Petrino. Si tratta di una materia estremamente controversa, poiché va ad incidere sull’intangibile immagine mistico-sacrale del Papato che la Tradizione ci ha consegnato, ormai da secoli, attraverso il succedersi di Pontefici che hanno regnato sulla Chiesa sino alla morte e, in una sorta di viaggio nel tempo, ci riporta ad epoche remote in cui soprattutto le condizioni storico-politiche avevano determinato il verificarsi di rinunce papali. Inaspettatamente, l’11 febbraio 2013, quella che doveva essere una semplice ipotesi di studio – giuridicamente contemplata sia dal CIC 1917 che da quello vigente, ma quiescente ab immemorabili - si è concretizzata in oggettiva certezza che ha stupito e spiazzato la Chiesa e il mondo, e la Sede Apostolica, per la prima volta dopo secoli, alle ore 20.00 del 28 febbraio 2013 è divenuta vacante non per la morte del Pontefice regnante ma per la sua rinuncia. All’esame analitico delle peculiarità della renuntiatio pontificalis è parso opportuno premettere una disamina dei caratteri generali e del concetto canonico di ufficio, vero e proprio cardine dell’intera organizzazione ecclesiastica, in quanto strumento mediante il quale la Chiesa esprime il suo aspetto istituzionale e realizza la sua missione per la salvezza del Popolo di Dio. Dopo aver illustrato i diversi sistemi di provvista canonica, attraverso i quali si dota di titolare un ufficio eretto, si approfondiranno le modalità di perdita dell’ufficio ecclesiastico, così da fornire il giusto inquadramento sistematico all’istituto della rinuncia all’ufficio, di cui verranno vagliati i caratteri generali, così come disciplinati ai canoni 187 – 189 del CIC 1983. Dal confronto con tale disciplina generale sarà possibile enucleare e comprendere le peculiarità della rinuncia ad un ufficio del tutto singolare, quello primaziale del Vescovo di Roma, che si connota per la sua apicalità ed unicità. Attraverso le riflessioni e i commenti che la Declaratio di Ratzinger ha suscitato all’interno e fuori dalla Chiesa, si cercherà, dapprima, di comprendere le motivazioni e il significato autentico di questa rinuncia, per poi confrontarla con i precedenti casi che la storia ci ha consegnato e coglierne analogie e diversità; si affronteranno, altresì, le disquisizioni dottrinali che hanno animato il dibattito tra teologi e canonisti, concernenti, in particolare, lo status canonico e la qualifica da attribuire al Pontefice resignante; ma, soprattutto, verrà compiuta un’analisi giuridica del canone 332 §2 CIC 1983, dalla quale si evincerà che la rinuncia è un atto che si colloca legittimamente nell’Ordinamento Canonico, in quanto esplicitamente contemplata dal Codice, che ne enuclea le condizioni di validità, necessarie affinché un atto tanto grave e pregnante di significato e conseguenze, anche incognite, possa essere in ogni caso compiuto nell’interesse superiore della Chiesa, che il Successore di Pietro, come si legge nel Vangelo di Giovanni (21, 15-19), è chiamato a servire ed amare “…più di costoro”.
18-mag-2018
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Tipologia: Tesi di dottorato
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