I fenomeni d’immigrazione tendono ancora oggi a essere trattati come stati d’eccezione, di cui vanno narrati i momenti più eclatanti (il viaggio, la prima accoglienza) e i cui unici protagonisti sono i migranti stessi; le migrazioni vengono infatti quasi sempre narrate attraverso le azioni di chi si mette in movimento. Lungi dal voler negare la fondamentale importanza di una simile attenzione, ritengo però necessario anche mettere in luce le reazioni da parte degli abitanti dei territori dove i migranti, in maniera più o meno informale, si insediano. Sembra infatti rischioso abbandonare la riflessione sul punto di vista di queste persone, sulle immaginazioni e pratiche che mettono all’opera rispetto alla presenza dell’altro da sé nel territorio; si rischia infatti di lasciare tutto in mano ad agende politiche che cercano di cristallizzare il discorso sui temi dell’identità e della difesa della patria e dei suoi valori. Per queste ragioni, ritengo sia invece fondamentale che il lavoro dei ricercatori si occupi anche di questa prospettiva, per riappropriarsi di queste narrazioni, decostruirle e proporne di nuove. Presenterò quindi i risultati di una ricerca etnografica compiuta all’interno del territorio del III municipio di Roma, dove ho lavorato sull’utilizzo dei dispostivi mobili di comunicazione, internet e i social network, cercando di vedere in che modalità si sviluppassero all’interno di questi habitat discorsi riguardanti il territorio, le sue criticità, le sue qualità e la sua gestione. Non sorprenderà sapere che buona parte di questi discorsi convergono in maniera conflittuale sulla figura dello straniero, la cui rappresentazione ha continuamente luogo all’interno dei vari luoghi di discussioni “immateriali” attraverso una pedissequa narrazione degli effetti che l’arrivo degli immigrati provoca nei quartieri. Attorno a questi resoconti si formano discussioni che pongono ogni volta nuovi confini su cosa e come sia “l’altro”, seguendo due principali filoni narrativi: l’altro come simbolo e colpevole del degrado urbano e dell’impossibilità di un’integrazione, o l’altro “buono e lavoratore”, disposto a veri sacrifici per migliorare il “nostro” territorio e, attraverso questo sacrificio integrarsi. Entrambi questi stereotipi che vengono a formarsi contribuiscono a creare un’immagine distorta tanto dei comportamenti degli immigrati, quanto dei giusti comportamenti da tenere nei loro confronti da parte della popolazione “accogliente”, facendo spesso assurgere ogni comportamento semplicemente corretto a forme di “perbenismo”. L’osservazione di una simile dinamica risulta però fondamentale per comprendere profondamente le motivazioni di comportamenti simili, per quanto possano non piacerci. Attraverso questa comprensione infatti, credo sia possibile individuare le modalità più efficaci di instaurare con gli abitanti una decostruzione condivisa di questi stereotipi, e una costruzione di nuovi modelli di convivenza.
Il migrante nelle narrazioni quotidiane / Aliberti, Francesco. - ELETTRONICO. - 2.2 workshop(2019). (Intervento presentato al convegno XXI Conferenza Nazionale SIU. Confini, movimenti, luoghi. Politiche e progetti per città e territori in transizione tenutosi a Firenze).
Il migrante nelle narrazioni quotidiane
Francesco Aliberti
2019
Abstract
I fenomeni d’immigrazione tendono ancora oggi a essere trattati come stati d’eccezione, di cui vanno narrati i momenti più eclatanti (il viaggio, la prima accoglienza) e i cui unici protagonisti sono i migranti stessi; le migrazioni vengono infatti quasi sempre narrate attraverso le azioni di chi si mette in movimento. Lungi dal voler negare la fondamentale importanza di una simile attenzione, ritengo però necessario anche mettere in luce le reazioni da parte degli abitanti dei territori dove i migranti, in maniera più o meno informale, si insediano. Sembra infatti rischioso abbandonare la riflessione sul punto di vista di queste persone, sulle immaginazioni e pratiche che mettono all’opera rispetto alla presenza dell’altro da sé nel territorio; si rischia infatti di lasciare tutto in mano ad agende politiche che cercano di cristallizzare il discorso sui temi dell’identità e della difesa della patria e dei suoi valori. Per queste ragioni, ritengo sia invece fondamentale che il lavoro dei ricercatori si occupi anche di questa prospettiva, per riappropriarsi di queste narrazioni, decostruirle e proporne di nuove. Presenterò quindi i risultati di una ricerca etnografica compiuta all’interno del territorio del III municipio di Roma, dove ho lavorato sull’utilizzo dei dispostivi mobili di comunicazione, internet e i social network, cercando di vedere in che modalità si sviluppassero all’interno di questi habitat discorsi riguardanti il territorio, le sue criticità, le sue qualità e la sua gestione. Non sorprenderà sapere che buona parte di questi discorsi convergono in maniera conflittuale sulla figura dello straniero, la cui rappresentazione ha continuamente luogo all’interno dei vari luoghi di discussioni “immateriali” attraverso una pedissequa narrazione degli effetti che l’arrivo degli immigrati provoca nei quartieri. Attorno a questi resoconti si formano discussioni che pongono ogni volta nuovi confini su cosa e come sia “l’altro”, seguendo due principali filoni narrativi: l’altro come simbolo e colpevole del degrado urbano e dell’impossibilità di un’integrazione, o l’altro “buono e lavoratore”, disposto a veri sacrifici per migliorare il “nostro” territorio e, attraverso questo sacrificio integrarsi. Entrambi questi stereotipi che vengono a formarsi contribuiscono a creare un’immagine distorta tanto dei comportamenti degli immigrati, quanto dei giusti comportamenti da tenere nei loro confronti da parte della popolazione “accogliente”, facendo spesso assurgere ogni comportamento semplicemente corretto a forme di “perbenismo”. L’osservazione di una simile dinamica risulta però fondamentale per comprendere profondamente le motivazioni di comportamenti simili, per quanto possano non piacerci. Attraverso questa comprensione infatti, credo sia possibile individuare le modalità più efficaci di instaurare con gli abitanti una decostruzione condivisa di questi stereotipi, e una costruzione di nuovi modelli di convivenza.File | Dimensione | Formato | |
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