Il fenomeno della soft law è noto e studiato da tempo. Come si sa il termine nasce nel diritto internazionale per indicare una panoplia di atti non tipizzati e non riconducibili entro le tradizionali fonti del diritto (denominati, ad es., dichiarazioni di principi, raccomandazioni, risoluzioni, carte, codici di condotta, linee guida, programmi d’azione, ecc.), ed ha avuto una serrata consolidazione ed anzi un florilegio di manifestazioni nel diritto europeo, tanto che se ne sono dovute individuare tre subcategorie: la pre law (strumenti preparatori di atti giuridici vincolanti quali Libri bianchi, Libri verdi, piani di azione); la post law (strumenti di interpretazione di atti vincolanti, come linee guida, codici di condotta, comunicazioni interpretative, direttive); la para law (strumenti alternativi ad atti vincolanti quali dichiarazioni, raccomandazioni, pareri). Le forme di soft law si stanno altresì diffondendo a livello nazionale e regionale, sia in via diretta sia in via indiretta, ovvero attraverso il rinvio che la stessa normativa interna fa a strumenti europei di soft law. Gli atti di soft law nascono da una serie di ragioni, talvolta compresenti: perché non si ritiene di vincolarsi del tutto, ma nel contempo si ritiene opportuno sperimentare talune linee di condotta; perché si vuol dar corso in via graduata ad un processo di armonizzazione e di coordinamento; perché non si hanno i poteri per porre regole vincolanti; perché si intende dar luogo ad una soluzione di compromesso tra i fautori dell’hard law e fautori della conservazione dello status quo (questo vale specialmente a livello di organismi internazionali, ma può essere anche il risultato di una valutazione da parte di qualunque autorità titolare di potestà normativa). Talvolta invece la soft law viene preferita perché segue procedure più rapide e più praticabili, e di rimando è più agevolmente modificabile. Ed altre ragioni ancora, tra cui quella di dare orientamenti ed indirizzi senza ricorrere agli strumenti tipici rappresentati dalle fonti del diritto, anche perché appunto si preferisce dare suggerimenti o indicazioni, e non porre regole tassative, in considerazione del fatto che in determinate materie o con riguardo a specifici comportamenti da tenere è opportuno procedere con indicazioni di massima o di solo metodo. Fatto sta che l’“erompere” della soft law al di fuori dei rapporti tra Stati, cioè al di fuori dei rapporti politici, ha dato il là ad una querelle in ordine agli effetti e dunque agli obblighi che tali atti producono. Vi sono comunque dei punti fermi: a) la soft law consiste in regole di condotta prive di coercibilità in senso tradizionale; b) non è ascrivibile tra le fonti del diritto; c) tali regole possono tuttavia produrre effetti pratici. Effetti che si traducono anzitutto in una “influenza” verso i destinatari, tanto che in un rapporto di studi del Conseil d’État del 2013 dedicato a Le droit souple leggiamo: “il y a identité de fonction entre le droit dur et le droit souple. Tous deux ont pour objet d’influencer le comportament de leur destinataire”. Ma l’effetto pratico è anche giuridicamente rilevante? Vi sono cioè anche effetti giuridici? La prima cosa da osservare è che la risposta non può essere univoca, tante e tanto variegate sono le manifestazioni della soft law, ad ognuna delle quali corrispondono effetti diversi: in fondo la soft law non è una categoria, e anzi proprio la reductio ad unitatem attraverso cui di solito viene presentata è la causa di incertezze e divergenze, specie con riguardo agli effetti degli atti riconducibili a tale (ipotizzata) categoria. Si impone pertanto una delimitazione del campo di indagine, onde circoscriverlo a quella subcategoria (o più propriamente categoria autonoma), in genere ascritta entro le etichette “post law” o anche “para law” o meglio, tralasciando le etichette, a quegli atti, variamente denominati (circolari, orientamenti, indicazioni, direttive, raccomandazioni, linee guida, ecc., ovvero le c.d. tertiary rules) che hanno la funzione di dare indicazioni operative, sia in punto di interpretazione della hard law, sia in punto di specificazione ed esemplificazione di concetti indeterminati, sia in punto di contenuti specifici di azione (si pensi ad es. alle linee guida del Ministero della salute per la preparazione delle conserve alimentari per evitare il botulismo; o a quelle del Ministero del lavoro per la protezione dei lavoratori nel comparto trasporto su strada). Del resto è soprattutto con riguardo a tale categoria di atti che si pone il problema degli effetti. Ancora una volta, però, è indispensabile procedere a distinzioni, basate sul rapporto tra le istituzioni che emanano atti di soft law e i destinatari.

Degli effetti giuridici della soft-law / Morbidelli, Giuseppe. - In: RIVISTA DELLA REGOLAZIONE DEI MERCATI. - ISSN 2284-2934. - ELETTRONICO. - 2/2016:(2016), pp. 1-10.

Degli effetti giuridici della soft-law

Giuseppe Morbidelli
2016

Abstract

Il fenomeno della soft law è noto e studiato da tempo. Come si sa il termine nasce nel diritto internazionale per indicare una panoplia di atti non tipizzati e non riconducibili entro le tradizionali fonti del diritto (denominati, ad es., dichiarazioni di principi, raccomandazioni, risoluzioni, carte, codici di condotta, linee guida, programmi d’azione, ecc.), ed ha avuto una serrata consolidazione ed anzi un florilegio di manifestazioni nel diritto europeo, tanto che se ne sono dovute individuare tre subcategorie: la pre law (strumenti preparatori di atti giuridici vincolanti quali Libri bianchi, Libri verdi, piani di azione); la post law (strumenti di interpretazione di atti vincolanti, come linee guida, codici di condotta, comunicazioni interpretative, direttive); la para law (strumenti alternativi ad atti vincolanti quali dichiarazioni, raccomandazioni, pareri). Le forme di soft law si stanno altresì diffondendo a livello nazionale e regionale, sia in via diretta sia in via indiretta, ovvero attraverso il rinvio che la stessa normativa interna fa a strumenti europei di soft law. Gli atti di soft law nascono da una serie di ragioni, talvolta compresenti: perché non si ritiene di vincolarsi del tutto, ma nel contempo si ritiene opportuno sperimentare talune linee di condotta; perché si vuol dar corso in via graduata ad un processo di armonizzazione e di coordinamento; perché non si hanno i poteri per porre regole vincolanti; perché si intende dar luogo ad una soluzione di compromesso tra i fautori dell’hard law e fautori della conservazione dello status quo (questo vale specialmente a livello di organismi internazionali, ma può essere anche il risultato di una valutazione da parte di qualunque autorità titolare di potestà normativa). Talvolta invece la soft law viene preferita perché segue procedure più rapide e più praticabili, e di rimando è più agevolmente modificabile. Ed altre ragioni ancora, tra cui quella di dare orientamenti ed indirizzi senza ricorrere agli strumenti tipici rappresentati dalle fonti del diritto, anche perché appunto si preferisce dare suggerimenti o indicazioni, e non porre regole tassative, in considerazione del fatto che in determinate materie o con riguardo a specifici comportamenti da tenere è opportuno procedere con indicazioni di massima o di solo metodo. Fatto sta che l’“erompere” della soft law al di fuori dei rapporti tra Stati, cioè al di fuori dei rapporti politici, ha dato il là ad una querelle in ordine agli effetti e dunque agli obblighi che tali atti producono. Vi sono comunque dei punti fermi: a) la soft law consiste in regole di condotta prive di coercibilità in senso tradizionale; b) non è ascrivibile tra le fonti del diritto; c) tali regole possono tuttavia produrre effetti pratici. Effetti che si traducono anzitutto in una “influenza” verso i destinatari, tanto che in un rapporto di studi del Conseil d’État del 2013 dedicato a Le droit souple leggiamo: “il y a identité de fonction entre le droit dur et le droit souple. Tous deux ont pour objet d’influencer le comportament de leur destinataire”. Ma l’effetto pratico è anche giuridicamente rilevante? Vi sono cioè anche effetti giuridici? La prima cosa da osservare è che la risposta non può essere univoca, tante e tanto variegate sono le manifestazioni della soft law, ad ognuna delle quali corrispondono effetti diversi: in fondo la soft law non è una categoria, e anzi proprio la reductio ad unitatem attraverso cui di solito viene presentata è la causa di incertezze e divergenze, specie con riguardo agli effetti degli atti riconducibili a tale (ipotizzata) categoria. Si impone pertanto una delimitazione del campo di indagine, onde circoscriverlo a quella subcategoria (o più propriamente categoria autonoma), in genere ascritta entro le etichette “post law” o anche “para law” o meglio, tralasciando le etichette, a quegli atti, variamente denominati (circolari, orientamenti, indicazioni, direttive, raccomandazioni, linee guida, ecc., ovvero le c.d. tertiary rules) che hanno la funzione di dare indicazioni operative, sia in punto di interpretazione della hard law, sia in punto di specificazione ed esemplificazione di concetti indeterminati, sia in punto di contenuti specifici di azione (si pensi ad es. alle linee guida del Ministero della salute per la preparazione delle conserve alimentari per evitare il botulismo; o a quelle del Ministero del lavoro per la protezione dei lavoratori nel comparto trasporto su strada). Del resto è soprattutto con riguardo a tale categoria di atti che si pone il problema degli effetti. Ancora una volta, però, è indispensabile procedere a distinzioni, basate sul rapporto tra le istituzioni che emanano atti di soft law e i destinatari.
2016
soft law; diritto amministrativo
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Degli effetti giuridici della soft-law / Morbidelli, Giuseppe. - In: RIVISTA DELLA REGOLAZIONE DEI MERCATI. - ISSN 2284-2934. - ELETTRONICO. - 2/2016:(2016), pp. 1-10.
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