Uno dei temi più attuali di cui le scienze sociali provano a ricostruire una mappa è la parità di genere, tema al quale sono associati problemi concettuali di grande rilevanza come quello del riconoscimento delle competenze e dell’affermazione di sé. Il luogo in cui questi meccanismi si esprimono maggiormente sono i luoghi di lavoro, nei quali, si generano spesso meccanismi di esclusione sociale e di genere. Questo è vero anche nel settore della ricerca caratterizzato da un insieme di ideologie male-dominated (Keller, 1985; Wertheim, 1995; Rolin, 1999) che definiscono sia modi specifici di fare scienza sia particolari modi di fare genere (West e Zimmerman 1987). Doing science e doing gender sembrano essere strettamente correlati e conflittuali (Faulkner, 2000), e nonostante sempre più donne accedano agli istituti dell’alta formazione e di élite, sono ancora correlativamente poche le donne che scelgono la carriera da scienziate in STEM (EU, 2015). Questo lavoro, che prova a definire sociologicamente questo fenomeno, vuole metter in discussione lo stereotipo, socialmente e culturalmente costruito, secondo cui le professioni di più alta e complessa caratterizzazione siano “naturalmente” meglio espresse dagli uomini, più propensi al lavoro logico-scientifico basato sul pensiero razionale, laddove le donne avrebbero più la vocazione per i lavori di cura e di relazione basati sul pensiero astratto (Bandura, 1977; Dahrendorf, 1989; Butler, 2011). Lo studio che si presenta ha natura esplorativa e si incarica di indagare la natura e le caratteristiche della diseguaglianza di genere nei percorsi di ricerca in Science, Technology, Engineering and Mathematics (STEM) all'interno del Consiglio Nazionale delle Ricerche. La scelta dell’universo STEM è sostenuta dal fatto che queste sembrano essere prevalentemente un monopolio maschile e dal fatto che negli ultimi anni un insieme di politiche di sostegno e promozione dell’uguaglianza di genere nella ricerca sono state messe in campo per scalfire quel monopolio. Lo scopo della ricerca è quindi anche quello di valutare l’efficacia e la possibile implementazione di queste politiche. Attraverso una metodologia qualitativa si è scelto di operare una serie di interviste semi-strutturate che permettessero di esplorare punti di forza e di debolezza dell’essere scienziata in STEM nel ventunesimo secolo. L’indagine ha riguardato un campione di donne ricercatrici che, a più livelli, lavorano per il CNR. Questo lavoro contribuisce ad un avanzamento delle conoscenze e testimonia che, al fine di rendere più appetibile e famigliare la carriera di ricerca in STEM, è necessario guardare al contesto culturale e sociale di riferimento. Le problematiche di genere sono insite nelle pratiche e nei processi e quindi, anche nelle istituzioni, da sempre caratterizzate per la mancanza di donne, la cui presenza è stata ed è tuttora centrale nella famiglia (Acker, 1992). Passando in rassegna le diverse aree di indagine che sono state esplorate nel corso delle interviste si conferma che il contesto culturale di riferimento, la socializzazione primaria e secondaria condizionano significativamente i processi di costruzione identitari e quindi di costruzione della propria self-efficacy (Bandura, 1994, 1997, 2002). Le influenze culturali suggestionano sensibilmente il comportamento di un individuo e possono inficiare sul raggiungimento dei risultati. Questo aiuta a rispondere alla domanda sul perché siano ancora così poche le donne della scienza e perché è da ritenersi un problema di tipo culturale. Infatti già all’accesso e nel corso della carriera poi, possono instillarsi sentimenti di frustrazione che, nella maggior parte dei casi fanno sì che non ci si senti a proprio agio nel ruolo che si ricopre e che si possa assoggettare quella posizione al caso e alla fortuna (sindrome dell’impostore). Inoltre, il mancato riconoscimento dei meriti (effetto San Matteo) e lo scarso riconoscimento formale delle competenze, concorre inevitabilmente ad instillare un clima di sfiducia e di insicurezza. Causa e conseguenza di ciò è quello che viene considerato il principale ostacolo nella carriera di un ricercatore in Italia: la precarietà. Questo fattore incide all’accesso e si potenzia con l’andare avanti della carriera femminile quando, parallelamente all’aumentare dell’età, si necessità di una maggiore stabilità mentre la precarietà, è noto, affliggere di più le donne che da sempre, sono più propense ad accettare passivamente un lavoro insicuro (Busso e Rivetti, 2014). Dalle interviste è emerso inoltre come le problematiche al rientro connesse ai periodi di mobilità all’estero siano fortemente deterrenti nel percorso formativo e professionale di una ricercatrice. Questo genera un effetto perverso, indesiderato e non voluto, che si sostanzia nella paura di perdere il posto in cui si lavora e il network sociale che si è costruito e frena la spinta a formarsi all’estero, che invece servirebbe per accrescere le proprie competenze. Un altro aspetto riguarda la conciliazione vita-lavoro. Il tempo biologico spesso non corrisponde al tempo della ricerca e l’andare in maternità comporta un’interruzione dell’attività lavorativa proprio nel periodo in cui si è maggiormente produttivi. Per questo si ritiene necessaria l’implementazione di politiche family friendly che agevolino il rientro. Infatti, nella ricerca, spesso, “tempo e maternità” appaiono come due costrutti sociali, che veicolano specifici modelli di genere che non sembrano legittimare la cittadinanza della maternità all’interno delle organizzazioni (Gherardi e Poggio, 2003). A corollario di ciò permangono discriminazioni che su più livelli si ripercuotono sulla vita delle scienziate e per questo si ritiene che il passaggio astrattivo dal percepire le discriminazioni sul posto di lavoro come discriminazioni di genere, e non “personali”, sia importante perché aiuta a destreggiarsi e a reagire in modo da non inficiare negativamente il proprio percorso formativo. Senza questa consapevolezza si rischia di cadere nella formazione di euristiche di giudizio che, come delle scorciatoie mentali e, basate sulla cultura dominante, ci portano a pensare che una donna, per il solo fatto di essere tale, non sia in grado di ricoprire un ruolo di rilevanza nella scienza. Un altro dato rilevante risiede nell’opinione che le scienziate hanno relativamente al Comitato Unico di Garanzia del CNR, l’organo preposto alla tutela della parità. Infatti, dall’indagine è emersa una scarsa o spesso nulla conoscenza riguardo ai compiti e alle attività che il CUG dovrebbe espletare. In conclusione questo studio, in linea con gli obiettivi della Commissione Europea sulla necessità di realizzare Gender Equality Plan in tutti i Paesi dell’Unione, fornendo una raccolta di testimonianze orali, può contribuire all’avanzamento delle conoscenze per la realizzazione di politiche pubbliche di sostegno e promozione per l’uguaglianza di genere che tutelino le scienziate e rendano più accessibili le carriere scientifiche in STEM.

Gender equality in STEM: uno studio di caso sulle ricercatrici del Consiglio Nazionale delle Ricerche / DI TULLIO, Ilaria. - (2018 Feb 28).

Gender equality in STEM: uno studio di caso sulle ricercatrici del Consiglio Nazionale delle Ricerche

DI TULLIO, ILARIA
28/02/2018

Abstract

Uno dei temi più attuali di cui le scienze sociali provano a ricostruire una mappa è la parità di genere, tema al quale sono associati problemi concettuali di grande rilevanza come quello del riconoscimento delle competenze e dell’affermazione di sé. Il luogo in cui questi meccanismi si esprimono maggiormente sono i luoghi di lavoro, nei quali, si generano spesso meccanismi di esclusione sociale e di genere. Questo è vero anche nel settore della ricerca caratterizzato da un insieme di ideologie male-dominated (Keller, 1985; Wertheim, 1995; Rolin, 1999) che definiscono sia modi specifici di fare scienza sia particolari modi di fare genere (West e Zimmerman 1987). Doing science e doing gender sembrano essere strettamente correlati e conflittuali (Faulkner, 2000), e nonostante sempre più donne accedano agli istituti dell’alta formazione e di élite, sono ancora correlativamente poche le donne che scelgono la carriera da scienziate in STEM (EU, 2015). Questo lavoro, che prova a definire sociologicamente questo fenomeno, vuole metter in discussione lo stereotipo, socialmente e culturalmente costruito, secondo cui le professioni di più alta e complessa caratterizzazione siano “naturalmente” meglio espresse dagli uomini, più propensi al lavoro logico-scientifico basato sul pensiero razionale, laddove le donne avrebbero più la vocazione per i lavori di cura e di relazione basati sul pensiero astratto (Bandura, 1977; Dahrendorf, 1989; Butler, 2011). Lo studio che si presenta ha natura esplorativa e si incarica di indagare la natura e le caratteristiche della diseguaglianza di genere nei percorsi di ricerca in Science, Technology, Engineering and Mathematics (STEM) all'interno del Consiglio Nazionale delle Ricerche. La scelta dell’universo STEM è sostenuta dal fatto che queste sembrano essere prevalentemente un monopolio maschile e dal fatto che negli ultimi anni un insieme di politiche di sostegno e promozione dell’uguaglianza di genere nella ricerca sono state messe in campo per scalfire quel monopolio. Lo scopo della ricerca è quindi anche quello di valutare l’efficacia e la possibile implementazione di queste politiche. Attraverso una metodologia qualitativa si è scelto di operare una serie di interviste semi-strutturate che permettessero di esplorare punti di forza e di debolezza dell’essere scienziata in STEM nel ventunesimo secolo. L’indagine ha riguardato un campione di donne ricercatrici che, a più livelli, lavorano per il CNR. Questo lavoro contribuisce ad un avanzamento delle conoscenze e testimonia che, al fine di rendere più appetibile e famigliare la carriera di ricerca in STEM, è necessario guardare al contesto culturale e sociale di riferimento. Le problematiche di genere sono insite nelle pratiche e nei processi e quindi, anche nelle istituzioni, da sempre caratterizzate per la mancanza di donne, la cui presenza è stata ed è tuttora centrale nella famiglia (Acker, 1992). Passando in rassegna le diverse aree di indagine che sono state esplorate nel corso delle interviste si conferma che il contesto culturale di riferimento, la socializzazione primaria e secondaria condizionano significativamente i processi di costruzione identitari e quindi di costruzione della propria self-efficacy (Bandura, 1994, 1997, 2002). Le influenze culturali suggestionano sensibilmente il comportamento di un individuo e possono inficiare sul raggiungimento dei risultati. Questo aiuta a rispondere alla domanda sul perché siano ancora così poche le donne della scienza e perché è da ritenersi un problema di tipo culturale. Infatti già all’accesso e nel corso della carriera poi, possono instillarsi sentimenti di frustrazione che, nella maggior parte dei casi fanno sì che non ci si senti a proprio agio nel ruolo che si ricopre e che si possa assoggettare quella posizione al caso e alla fortuna (sindrome dell’impostore). Inoltre, il mancato riconoscimento dei meriti (effetto San Matteo) e lo scarso riconoscimento formale delle competenze, concorre inevitabilmente ad instillare un clima di sfiducia e di insicurezza. Causa e conseguenza di ciò è quello che viene considerato il principale ostacolo nella carriera di un ricercatore in Italia: la precarietà. Questo fattore incide all’accesso e si potenzia con l’andare avanti della carriera femminile quando, parallelamente all’aumentare dell’età, si necessità di una maggiore stabilità mentre la precarietà, è noto, affliggere di più le donne che da sempre, sono più propense ad accettare passivamente un lavoro insicuro (Busso e Rivetti, 2014). Dalle interviste è emerso inoltre come le problematiche al rientro connesse ai periodi di mobilità all’estero siano fortemente deterrenti nel percorso formativo e professionale di una ricercatrice. Questo genera un effetto perverso, indesiderato e non voluto, che si sostanzia nella paura di perdere il posto in cui si lavora e il network sociale che si è costruito e frena la spinta a formarsi all’estero, che invece servirebbe per accrescere le proprie competenze. Un altro aspetto riguarda la conciliazione vita-lavoro. Il tempo biologico spesso non corrisponde al tempo della ricerca e l’andare in maternità comporta un’interruzione dell’attività lavorativa proprio nel periodo in cui si è maggiormente produttivi. Per questo si ritiene necessaria l’implementazione di politiche family friendly che agevolino il rientro. Infatti, nella ricerca, spesso, “tempo e maternità” appaiono come due costrutti sociali, che veicolano specifici modelli di genere che non sembrano legittimare la cittadinanza della maternità all’interno delle organizzazioni (Gherardi e Poggio, 2003). A corollario di ciò permangono discriminazioni che su più livelli si ripercuotono sulla vita delle scienziate e per questo si ritiene che il passaggio astrattivo dal percepire le discriminazioni sul posto di lavoro come discriminazioni di genere, e non “personali”, sia importante perché aiuta a destreggiarsi e a reagire in modo da non inficiare negativamente il proprio percorso formativo. Senza questa consapevolezza si rischia di cadere nella formazione di euristiche di giudizio che, come delle scorciatoie mentali e, basate sulla cultura dominante, ci portano a pensare che una donna, per il solo fatto di essere tale, non sia in grado di ricoprire un ruolo di rilevanza nella scienza. Un altro dato rilevante risiede nell’opinione che le scienziate hanno relativamente al Comitato Unico di Garanzia del CNR, l’organo preposto alla tutela della parità. Infatti, dall’indagine è emersa una scarsa o spesso nulla conoscenza riguardo ai compiti e alle attività che il CUG dovrebbe espletare. In conclusione questo studio, in linea con gli obiettivi della Commissione Europea sulla necessità di realizzare Gender Equality Plan in tutti i Paesi dell’Unione, fornendo una raccolta di testimonianze orali, può contribuire all’avanzamento delle conoscenze per la realizzazione di politiche pubbliche di sostegno e promozione per l’uguaglianza di genere che tutelino le scienziate e rendano più accessibili le carriere scientifiche in STEM.
28-feb-2018
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Tesi Dottorato Di Tullio

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Tipologia: Tesi di dottorato
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1079536
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