In questo testo si vuole pensare, o provare a pensare, una «filosofia ebraica» a partire dall’idea di traduzione o, se si preferisce, a partire dall’idea di un «pensiero della traduzione da inventare», secondo una formulazione di Jacques Derrida in Addio. A Emmanuel Levinas. Infatti, questi filosofi contemporanei, per i quali certo si può ascrivere una qualche familiarità, se non una reale fonte di ispirazione, con la tradizione ebraica, sebbene nelle loro diverse prospettive, a volte esplicite o solo allusive, hanno pensato il ruolo centrale della traduzione in ambito filosofico e, forse anche in relazione a quelle stesse “frange” della tradizione ebraica. Sia essa intesa come tensione delle lingue storiche verso la «pura lingua» o la lingua adamitica (Benjamin), sia come «tentazione delle tentazioni» o il rischio dell’universale (Levinas), sia come l’essenza della filosofia che tocca e ingloba l’altro che è ai margini della filosofia stessa oppure sia essa paragonabile alla politica nella sua inventabilità stessa, la traduzione è descritta da questi filosofi come un’opera essenzialmente filosofica e ma anche in tensione con le fonti ebraico-bibliche. Ma, nei tre casi proposti, non si tratta mai di un’analisi vera e propria, quanto piuttosto di un’ipotesi tutta da sviluppare e da «inventare» appunto, e che volentieri l’interprete che qui legge Benjamin, Levinas e Derrida, pensa come prossima all’utopia.
Un pensiero della traduzione da inventare. Con Benjamin, Levinas e Derrida / Ombrosi, Orietta. - In: QUADERNI DI INSCHIBBOLETH. - ISSN 2279-9303. - STAMPA. - 8:(2017), pp. 79-91.
Un pensiero della traduzione da inventare. Con Benjamin, Levinas e Derrida
Ombrosi Orietta
2017
Abstract
In questo testo si vuole pensare, o provare a pensare, una «filosofia ebraica» a partire dall’idea di traduzione o, se si preferisce, a partire dall’idea di un «pensiero della traduzione da inventare», secondo una formulazione di Jacques Derrida in Addio. A Emmanuel Levinas. Infatti, questi filosofi contemporanei, per i quali certo si può ascrivere una qualche familiarità, se non una reale fonte di ispirazione, con la tradizione ebraica, sebbene nelle loro diverse prospettive, a volte esplicite o solo allusive, hanno pensato il ruolo centrale della traduzione in ambito filosofico e, forse anche in relazione a quelle stesse “frange” della tradizione ebraica. Sia essa intesa come tensione delle lingue storiche verso la «pura lingua» o la lingua adamitica (Benjamin), sia come «tentazione delle tentazioni» o il rischio dell’universale (Levinas), sia come l’essenza della filosofia che tocca e ingloba l’altro che è ai margini della filosofia stessa oppure sia essa paragonabile alla politica nella sua inventabilità stessa, la traduzione è descritta da questi filosofi come un’opera essenzialmente filosofica e ma anche in tensione con le fonti ebraico-bibliche. Ma, nei tre casi proposti, non si tratta mai di un’analisi vera e propria, quanto piuttosto di un’ipotesi tutta da sviluppare e da «inventare» appunto, e che volentieri l’interprete che qui legge Benjamin, Levinas e Derrida, pensa come prossima all’utopia.File | Dimensione | Formato | |
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