L’identità di un luogo, tema sul quale si è dibattuto molto in anni recenti, è affidata sul piano percettivo in primis al colore che di esso si manifesta, espresso al singolare in qualità di insieme organico, più o meno armonico a seconda dei casi, delle variazioni cromatiche delle sue componenti: per i centri storici, il colore è l’espressione unitaria – al 12 di là delle molteplici declinazioni che esso assume – delle cromaticità relative ai singoli edifici, monumenti, spazi aperti. Il primo avvicinamento a un brano di città, e a un centro storico in particolare, è demandato alla vista prima ancora che agli altri sensi: alla distanza, infatti, non è impossibile cogliere odori, suoni, sapori, né avere una percezione tattile di ciò che, in quello stesso momento, si sta osservando. Ed ecco, dunque, la manifestazione dell’immagine della città: la città del tufo, la ‘città bianca’, la ‘città di pietra’ ecc. Ne deriva un carattere del paesaggio urbano difficilmente scindibile dagli aspetti più precipuamente costruttivi, naturalistici, urbanistici. E, come tale, esso va preservato proprio per consegnare al futuro quanto ereditato dal passato, valutando l’autenticità della materia e, quindi, anche delle proprietà cromatiche che questa assume di volta in volta. Il contributo intende proporre una riflessione sul delicato equilibrio, nelle posizioni teoriche e nelle pratiche conservative, fra il rispetto della tradizione e il rischio del tradimento di questa particolare immagine dei centri storici. Saranno analizzati, in particolare, due casi‐studio molto differenti fra loro: il centro storico minore di Calcata, nel viterbese, caratterizzato dalla netta predominanza – almeno sui paramenti esposti verso l’esterno dell’abitato – del tufo a vista, con tutte le sue sfumature dovute alla natura del materiale ma anche alle forme del degrado, interessato recentemente da interventi di “recupero e risanamento” solo di alcune delle abitazioni (nella sostanza, poco più di un “piano del colore”), stravolgendo gli equilibri cromatici della piazza e del percorso principale; il centro storico di Ostuni, nel brindisino, nota come “città bianca” per il candore della tinteggiatura a latte di calce che periodicamente viene imposta tramite apposite ordinanze comunali, preservando il senso complessivo del luogo ma tradendo i segni del passaggio del tempo, le patine. I due casi appaiono paradigmatici di modalità e approcci profondamente differenti al tema; senza stabilire se e quale dei due sia più opportuno, dovendo gli interventi conservativi e di restauro rapportarsi caso per caso, il contributo intende interrogarsi sulle strategie di una possibile programmazione degli interventi che, fra tradizione e tradimento, perseguano una traduzione rispettosa della materia e del significato dei centri storici, con particolare riguardo per le superfici architettoniche e, dunque, per il loro colore.
Il colore dei centri storici: tradizione versus tradimento / Cardone, Sergio. - ELETTRONICO. - XIII A:(2017), pp. 214-225. (Intervento presentato al convegno XIII Conferenza del Colore tenutosi a Napoli nel 4-5 settembre 2017).
Il colore dei centri storici: tradizione versus tradimento
Sergio Cardone
2017
Abstract
L’identità di un luogo, tema sul quale si è dibattuto molto in anni recenti, è affidata sul piano percettivo in primis al colore che di esso si manifesta, espresso al singolare in qualità di insieme organico, più o meno armonico a seconda dei casi, delle variazioni cromatiche delle sue componenti: per i centri storici, il colore è l’espressione unitaria – al 12 di là delle molteplici declinazioni che esso assume – delle cromaticità relative ai singoli edifici, monumenti, spazi aperti. Il primo avvicinamento a un brano di città, e a un centro storico in particolare, è demandato alla vista prima ancora che agli altri sensi: alla distanza, infatti, non è impossibile cogliere odori, suoni, sapori, né avere una percezione tattile di ciò che, in quello stesso momento, si sta osservando. Ed ecco, dunque, la manifestazione dell’immagine della città: la città del tufo, la ‘città bianca’, la ‘città di pietra’ ecc. Ne deriva un carattere del paesaggio urbano difficilmente scindibile dagli aspetti più precipuamente costruttivi, naturalistici, urbanistici. E, come tale, esso va preservato proprio per consegnare al futuro quanto ereditato dal passato, valutando l’autenticità della materia e, quindi, anche delle proprietà cromatiche che questa assume di volta in volta. Il contributo intende proporre una riflessione sul delicato equilibrio, nelle posizioni teoriche e nelle pratiche conservative, fra il rispetto della tradizione e il rischio del tradimento di questa particolare immagine dei centri storici. Saranno analizzati, in particolare, due casi‐studio molto differenti fra loro: il centro storico minore di Calcata, nel viterbese, caratterizzato dalla netta predominanza – almeno sui paramenti esposti verso l’esterno dell’abitato – del tufo a vista, con tutte le sue sfumature dovute alla natura del materiale ma anche alle forme del degrado, interessato recentemente da interventi di “recupero e risanamento” solo di alcune delle abitazioni (nella sostanza, poco più di un “piano del colore”), stravolgendo gli equilibri cromatici della piazza e del percorso principale; il centro storico di Ostuni, nel brindisino, nota come “città bianca” per il candore della tinteggiatura a latte di calce che periodicamente viene imposta tramite apposite ordinanze comunali, preservando il senso complessivo del luogo ma tradendo i segni del passaggio del tempo, le patine. I due casi appaiono paradigmatici di modalità e approcci profondamente differenti al tema; senza stabilire se e quale dei due sia più opportuno, dovendo gli interventi conservativi e di restauro rapportarsi caso per caso, il contributo intende interrogarsi sulle strategie di una possibile programmazione degli interventi che, fra tradizione e tradimento, perseguano una traduzione rispettosa della materia e del significato dei centri storici, con particolare riguardo per le superfici architettoniche e, dunque, per il loro colore.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.