La corporate governance rappresenta un campo di ricerca interdisciplinare molto dinamico che si è evoluto notevolmente dalla pubblicazione di Berle e Means del 1932, fino a diventare uno dei topic più ricercati dagli studiosi di management (Tihanyi et al., 2014, p. 1536). A partire dalla metà degli anni ‘90, si è discusso molto, in ambito accademico, della convergenza dei sistemi di corporate governance; alcuni studiosi hanno sottolineato la tendenza agli standard anglo-americani dei sistemi europei (ad esempio, Denis e McConnell 2003; Zattoni e Judge, 2012); altri hanno sostenuto che non solo la corporate governance europea converga verso standard americani, ma che anche la stessa corporate governance statunitense abbia diversi elementi, sotto svariati aspetti, convergenti agli standard europei (Thomsen, 2003), tanto che si può parlare di una reciproca convergenza. Tali cambiamenti indicano che è sempre più rilevante analizzare ed osservare le configurazioni delle pratiche di governance, non solo a livello nazionale, ma anche a livello di singola impresa. In effetti, recenti contributi (Aguilera et al., 2012, Ward et al., 2009) mostrano che i diversi meccanismi di corporate governance possono apparire inefficaci, se indagati individualmente, al contrario esercitano impatti interessanti sui risultati in combinazione con altri meccanismi di corporate governance (interni ed esterni). Ne consegue che individuare una “one best way” in tema di corporate governance è un compito arduo in quanto specifici meccanismi saranno efficaci solo in determinate combinazioni e ambienti. Cambiamenti nella corporate governance sono riscontrabili in modo significativo con riferimento alla shareholder activism, “a relatively young and vibrant field” (Goranova e Ryan 2014). Lo shareholder activism, inteso come azionisti, che avviano delle attività per influenzare direttamente, o indirettamente le decisioni del board,, ha come principale obiettivo quello di assicurare una sostenibilità, anche finanziaria, a lungo termine e un rapporto duraturo tra l’investitore e la società di cui detiene le quote. Difatti è diffusa l’opinione, che ritiene gli investitori “passivi” responsabili degli eventi della recente crisi finanziaria e di essere diventati dei “padroni di casa assenti” (Randazzo, 2011) dimenticando dunque il ruolo di controllo, che possono assumere nei confronti degli amministratori, a tutela delle minoranze. Negli ultimi anni l’Unione Europea (UE) ha incoraggiato l’adozione di politiche societarie improntate ad una maggiore partecipazione di tutti gli azionisti (Alvaro e Lupini, 2013); ne è un esempio il “Piano d’Azione: diritto europeo delle società e governo societario – una disciplina giuridica moderna a favore di azionisti più impegnati e società sostenibili”, mediante il quale la Commissione europea ha voluto esporre le future linee di azione da perseguire, sia con riferimento alla corporate governance delle società quotate, sia in quello del diritto societario. Aumento della trasparenza delle società relativamente alle politiche adottate per assicurare la diversità all’interno dell’organo di amministrazione e alla gestione dei rischi non finanziari, aumento della trasparenza delle politiche retributive e delle singole remunerazioni degli amministratori, nonché riconoscimento del diritto di voto agli azionisti sulla politica retributiva e sulla relazione relativa alle retribuzioni, rafforzamento del controllo degli azionisti sulle operazioni con parti correlate, introduzione di norme operative adeguate sui consulenti in materia di voto (proxy advisor), nell’ottica di un miglioramento della trasparenza e dei conflitti di interesse sono solo alcune delle più recenti novità. Pertanto l’attivismo degli azionisti e il monitoraggio da parte degli stessi sono al centro del dibattito della corporate governance (Van der Elst, 2011), riconoscendo nell’attivismo stesso una forza dirompente. I dati e le situazioni aziendali dimostrano che l’attivismo degli azionisti sia aumentato in misura notevole negli ultimi anni (anche nel contesto italiano) e ora svolge un ruolo importante nella definizione della corporate governance delle società. Ciò ha evidenziato nuove problematiche (come facilitare o meno l’attivismo) e questioni (creazione di valore più a breve o a lungo termine per tutti gli azionisti) che occorre tenere in considerazione sia in un’ottica di dialettica societaria sia di policy maker. Partendo da tali considerazioni lo scopo del presente lavoro è quello di esaminare la letteratura esistente sul tema dello shareholder activism, soffermandosi sull’importanza della direzione del voto (assenso o dissenso); e verificare l’esistenza di una configurazione di corporate governance che determini un elevato dissenso. Del resto, come si avrà modo di notare, si ritiene che in contesti concentrati come quelli latini il meccanismo di voice più semplice per gli azionisti è la possibilità di votare in assemblea. Ne consegue che il voto degli azionisti in assemblea esprime una valutazione del set-up dell’intera corporate governance della società, poiché il voto degli azionisti funge da segnale per le preferenze degli azionisti rispetto a specifiche scelte strategiche e gestionali. Date queste premesse, la tesi si pone la seguente domanda di ricerca: è possibile individuare una configurazione di governance che determini un maggiore attivismo societario, inteso come maggiore livello di dissenso, e di conseguenza qual è la combinazione di fattori interni ed esterni che determinano il voto degli azionisti? I risultati del voto dipendono da diversi fattori in alcuni casi tra loro contrastanti. Si è, dunque, voluto sperimentare se l’adozione di un approccio basato sulle configurazioni potesse individuare e chiarire meglio alcuni aspetti contraddittori delle determinanti del voto degli azionisti.

Shareholder activism e dissenso degli azionisti: un approccio configurazionale allo studio della corporate governance / Cucari, Nicola. - (2018 Jan 11).

Shareholder activism e dissenso degli azionisti: un approccio configurazionale allo studio della corporate governance

CUCARI, NICOLA
11/01/2018

Abstract

La corporate governance rappresenta un campo di ricerca interdisciplinare molto dinamico che si è evoluto notevolmente dalla pubblicazione di Berle e Means del 1932, fino a diventare uno dei topic più ricercati dagli studiosi di management (Tihanyi et al., 2014, p. 1536). A partire dalla metà degli anni ‘90, si è discusso molto, in ambito accademico, della convergenza dei sistemi di corporate governance; alcuni studiosi hanno sottolineato la tendenza agli standard anglo-americani dei sistemi europei (ad esempio, Denis e McConnell 2003; Zattoni e Judge, 2012); altri hanno sostenuto che non solo la corporate governance europea converga verso standard americani, ma che anche la stessa corporate governance statunitense abbia diversi elementi, sotto svariati aspetti, convergenti agli standard europei (Thomsen, 2003), tanto che si può parlare di una reciproca convergenza. Tali cambiamenti indicano che è sempre più rilevante analizzare ed osservare le configurazioni delle pratiche di governance, non solo a livello nazionale, ma anche a livello di singola impresa. In effetti, recenti contributi (Aguilera et al., 2012, Ward et al., 2009) mostrano che i diversi meccanismi di corporate governance possono apparire inefficaci, se indagati individualmente, al contrario esercitano impatti interessanti sui risultati in combinazione con altri meccanismi di corporate governance (interni ed esterni). Ne consegue che individuare una “one best way” in tema di corporate governance è un compito arduo in quanto specifici meccanismi saranno efficaci solo in determinate combinazioni e ambienti. Cambiamenti nella corporate governance sono riscontrabili in modo significativo con riferimento alla shareholder activism, “a relatively young and vibrant field” (Goranova e Ryan 2014). Lo shareholder activism, inteso come azionisti, che avviano delle attività per influenzare direttamente, o indirettamente le decisioni del board,, ha come principale obiettivo quello di assicurare una sostenibilità, anche finanziaria, a lungo termine e un rapporto duraturo tra l’investitore e la società di cui detiene le quote. Difatti è diffusa l’opinione, che ritiene gli investitori “passivi” responsabili degli eventi della recente crisi finanziaria e di essere diventati dei “padroni di casa assenti” (Randazzo, 2011) dimenticando dunque il ruolo di controllo, che possono assumere nei confronti degli amministratori, a tutela delle minoranze. Negli ultimi anni l’Unione Europea (UE) ha incoraggiato l’adozione di politiche societarie improntate ad una maggiore partecipazione di tutti gli azionisti (Alvaro e Lupini, 2013); ne è un esempio il “Piano d’Azione: diritto europeo delle società e governo societario – una disciplina giuridica moderna a favore di azionisti più impegnati e società sostenibili”, mediante il quale la Commissione europea ha voluto esporre le future linee di azione da perseguire, sia con riferimento alla corporate governance delle società quotate, sia in quello del diritto societario. Aumento della trasparenza delle società relativamente alle politiche adottate per assicurare la diversità all’interno dell’organo di amministrazione e alla gestione dei rischi non finanziari, aumento della trasparenza delle politiche retributive e delle singole remunerazioni degli amministratori, nonché riconoscimento del diritto di voto agli azionisti sulla politica retributiva e sulla relazione relativa alle retribuzioni, rafforzamento del controllo degli azionisti sulle operazioni con parti correlate, introduzione di norme operative adeguate sui consulenti in materia di voto (proxy advisor), nell’ottica di un miglioramento della trasparenza e dei conflitti di interesse sono solo alcune delle più recenti novità. Pertanto l’attivismo degli azionisti e il monitoraggio da parte degli stessi sono al centro del dibattito della corporate governance (Van der Elst, 2011), riconoscendo nell’attivismo stesso una forza dirompente. I dati e le situazioni aziendali dimostrano che l’attivismo degli azionisti sia aumentato in misura notevole negli ultimi anni (anche nel contesto italiano) e ora svolge un ruolo importante nella definizione della corporate governance delle società. Ciò ha evidenziato nuove problematiche (come facilitare o meno l’attivismo) e questioni (creazione di valore più a breve o a lungo termine per tutti gli azionisti) che occorre tenere in considerazione sia in un’ottica di dialettica societaria sia di policy maker. Partendo da tali considerazioni lo scopo del presente lavoro è quello di esaminare la letteratura esistente sul tema dello shareholder activism, soffermandosi sull’importanza della direzione del voto (assenso o dissenso); e verificare l’esistenza di una configurazione di corporate governance che determini un elevato dissenso. Del resto, come si avrà modo di notare, si ritiene che in contesti concentrati come quelli latini il meccanismo di voice più semplice per gli azionisti è la possibilità di votare in assemblea. Ne consegue che il voto degli azionisti in assemblea esprime una valutazione del set-up dell’intera corporate governance della società, poiché il voto degli azionisti funge da segnale per le preferenze degli azionisti rispetto a specifiche scelte strategiche e gestionali. Date queste premesse, la tesi si pone la seguente domanda di ricerca: è possibile individuare una configurazione di governance che determini un maggiore attivismo societario, inteso come maggiore livello di dissenso, e di conseguenza qual è la combinazione di fattori interni ed esterni che determinano il voto degli azionisti? I risultati del voto dipendono da diversi fattori in alcuni casi tra loro contrastanti. Si è, dunque, voluto sperimentare se l’adozione di un approccio basato sulle configurazioni potesse individuare e chiarire meglio alcuni aspetti contraddittori delle determinanti del voto degli azionisti.
11-gen-2018
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Tesi dottorato Cucari

Open Access dal 01/01/2020

Tipologia: Tesi di dottorato
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1058742
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