Fin dal IV sec., con l’affermazione del Cristianesimo, il viaggio a Roma diventa tanto usuale da dar luogo, nei secoli successivi, a un vero e proprio genere mirato a orientare gli spostamenti dei pellegrini e, ovviamente, a speculare sull’attrattività della città. Guide e opuscoli, elenchi e Mirabilia Urbis, nati come strumenti di uso della città, restano per secoli esclusivamente testuali e «aspaziali» , privi, cioè, di una reale volontà o, forse, capacità, di aiutare tramite qualsivoglia forma di comunicazione visiva. È con il Quattrocento che si assiste a una reale trasformazione legata alla presenza a Roma di viaggiatori esigenti, provenienti dall’ambiente culturale umanistico, che non viaggiano alla ricerca di una Roma necessariamente legata alla sfera religiosa ma richiedono un supporto alla ricostruzione filologica (anche laica) di luoghi e monumenti. Se le guide in forma di elenco e i primi Mirabilia Urbis non presupponevano conoscenze pregresse, con i viaggi colti nasce l’esigenza di georeferenziare sia gli spostamenti all’interno della complessità urbana, sia le informazioni legate a monumenti, chiese e opere d’arte, quelle stesse opere che, per volere della Renovatio urbis, andavano sempre più arricchendo la città. Inizia dunque un modo nuovo di raccontare Roma: con la Roma Instaurata di Biondo Flavio (1444-1446), con i primi approcci scientifici al rilievo topografico (in primis la Descriptio Urbis Romae di Leon Battista Alberti, 1450 ca.) e con il diffondersi della stampa, verso la metà del Quattrocento anche la restituzione visiva dello spazio urbano trova collocazione all’interno degli strumenti a supporto di viaggiatori e pellegrini. Il documento su base iconografica diventa parte essenziale della conoscenza di Roma, e inizia una descrizione mirata dello spazio urbano che si afferma come un reale passo avanti rispetto alle ricostruzioni esclusivamente testuali dalle quali trae origine, anche se inizialmente priva di scientificità. La città descritta dai Mirabilia appariva del tutto priva di abitanti, di attività, di vita : una città della quale era annientata la contemporaneità per esaltare l’autorevolezza delle glorie passate, testimoniante dai monumenti antichi, che, anche quando legati al mondo pagano, legittimavano l’autorità vescovile in virtù della continuità d’uso dello spazio. Nascendo come visualizzazione dei precedenti elenchi, anche le nuove immagini della Roma quattrocentesca descrivono una città in cui monumenti, chiese e resti della romanità fluttuano su un tessuto urbano azzerato, rappresentare il quale avrebbe comunque significato aggiungere un eccesso informativo, al punto da far perdere il controllo della fruibilità della città. Avrebbe significato, cioè, “disorientare” rispetto agli obiettivi primari: muoversi in maniera mirata e non perdere, nel tragitto, la possibilità di ammirare i segni del passato, di un passato, a volte, neanche più documentato da rimanenze fisiche, ma solo da conoscenze, leggende, toponimi magari storpiati o svuotati di senso, ma ancora utili a restituire lo spessore urbano . La pianta Strozzi, che De Rossi definisce uno dei più preziosi anelli della catena di topografie del secolo XV , nasce in questo clima, del quale sembra rispecchiare sia gli aspetti passatisti, sia le nuove istanze descrittive. La città strozziana è ancora priva del tessuto connettivo, ma l’addensarsi di monumenti e chiese e il modo in cui questi sono descritti sul piano grafico, sembrano raccogliere una tradizione per rilanciarla verso un modo del tutto nuovo di raccontare lo spazio urbano. Dagli esempi precedenti il disegnatore della pianta sembra infatti desumere il contenitore che riempie poi con gli edifici che incontra lungo i suoi percorsi di esplorazione inserendoli in un insieme topograficamente coerente. Come avveniva per gli elenchi, gli edifici e i monumenti rappresentati sono raggruppabili per tipologie (chiese, monumenti, acquedotti, resti antichi, …) e rappresentati secondo modelli prestabiliti e ripetuti, ma a questi vengono aggiunti alcuni dettagli che legano la descrizione ad una percezione reale dello spazio urbano, legata non solo – o non tanto – al punto privilegiato di visione, quanto piuttosto al movimento che deve essere compiuto nello spazio urbano per spostarsi da un punto all’altro. La pianta, dunque, sembra celare al suo interno alcuni, possibili itinerari che si dipanano all’interno dell’immagine unitaria che la carta stessa restituisce e che si svelano solo ponendosi “dentro” la città, al livello di percorrenza, dopo aver rinunciato al punto di vista bloccato dallo scorcio pseudo-prospettico.Troppo spesso, infatti, ricerchiamo in questi documenti le tracce di un’impostazione prospettica già matura e sedimentata, mentre è ancora lontano il momento in cui la nascente teoria prospettica potrà realmente coinvolgere l’intero spazio urbano. Una visione da un punto di vista unico su un territorio ampio e complesso quale quello cittadino, infatti, non fa parte della tradizione in cui queste vedute nascono. Già solo il definirle “vedute” significa attribuire loro intenzioni che sono proprie di un momento altro, successivo, di istanze diverse da quelle che muovono questo primo sforzo descrittivo. Rinunciare all’idea di un punto di veduta vincolata, sia pure tradito da eventuali “errori” ascrivibili alla naïveté descrittiva, significa non riconoscere al documento la sua valenza dinamica, di supporto alla referenziazione geografica di elenchi, all’indicazione di spostamenti all’interno di uno spazio che non è dunque unitario, ma che si sviluppa secondo micro-itinerari dotati di un significato, svelare i quali significa riconoscere al documento grafico una valenza dinamica che investe sia la preparazione e la raccolta delle informazioni che l’utilità stessa della carta. Significa, ancora, restituire spessore diacronico al grafico di sintesi. In quest’ottica, spostamento e sguardo direzionato diventano la chiave per la decodifica delle potenzialità del documento cartografico, potenzialità che vanno al di là del potere descrittivo per farsi interpretazione e indicazione .

Lo sguardo e il viaggiatore. L'itinerario come strumento di controllo della complessità urbana nella pianta Strozzi / Carlevaris, Anna Laura; INTRA SIDOLA, Giovanni. - ELETTRONICO. - 2017:(2017), pp. 439-446. (Intervento presentato al convegno La città, il viaggio, il turismo. Percezione, produzione e trasformazione tenutosi a Napoli nel 7-9 settembre 2017).

Lo sguardo e il viaggiatore. L'itinerario come strumento di controllo della complessità urbana nella pianta Strozzi

CARLEVARIS, Anna Laura
;
INTRA SIDOLA, GIOVANNI
2017

Abstract

Fin dal IV sec., con l’affermazione del Cristianesimo, il viaggio a Roma diventa tanto usuale da dar luogo, nei secoli successivi, a un vero e proprio genere mirato a orientare gli spostamenti dei pellegrini e, ovviamente, a speculare sull’attrattività della città. Guide e opuscoli, elenchi e Mirabilia Urbis, nati come strumenti di uso della città, restano per secoli esclusivamente testuali e «aspaziali» , privi, cioè, di una reale volontà o, forse, capacità, di aiutare tramite qualsivoglia forma di comunicazione visiva. È con il Quattrocento che si assiste a una reale trasformazione legata alla presenza a Roma di viaggiatori esigenti, provenienti dall’ambiente culturale umanistico, che non viaggiano alla ricerca di una Roma necessariamente legata alla sfera religiosa ma richiedono un supporto alla ricostruzione filologica (anche laica) di luoghi e monumenti. Se le guide in forma di elenco e i primi Mirabilia Urbis non presupponevano conoscenze pregresse, con i viaggi colti nasce l’esigenza di georeferenziare sia gli spostamenti all’interno della complessità urbana, sia le informazioni legate a monumenti, chiese e opere d’arte, quelle stesse opere che, per volere della Renovatio urbis, andavano sempre più arricchendo la città. Inizia dunque un modo nuovo di raccontare Roma: con la Roma Instaurata di Biondo Flavio (1444-1446), con i primi approcci scientifici al rilievo topografico (in primis la Descriptio Urbis Romae di Leon Battista Alberti, 1450 ca.) e con il diffondersi della stampa, verso la metà del Quattrocento anche la restituzione visiva dello spazio urbano trova collocazione all’interno degli strumenti a supporto di viaggiatori e pellegrini. Il documento su base iconografica diventa parte essenziale della conoscenza di Roma, e inizia una descrizione mirata dello spazio urbano che si afferma come un reale passo avanti rispetto alle ricostruzioni esclusivamente testuali dalle quali trae origine, anche se inizialmente priva di scientificità. La città descritta dai Mirabilia appariva del tutto priva di abitanti, di attività, di vita : una città della quale era annientata la contemporaneità per esaltare l’autorevolezza delle glorie passate, testimoniante dai monumenti antichi, che, anche quando legati al mondo pagano, legittimavano l’autorità vescovile in virtù della continuità d’uso dello spazio. Nascendo come visualizzazione dei precedenti elenchi, anche le nuove immagini della Roma quattrocentesca descrivono una città in cui monumenti, chiese e resti della romanità fluttuano su un tessuto urbano azzerato, rappresentare il quale avrebbe comunque significato aggiungere un eccesso informativo, al punto da far perdere il controllo della fruibilità della città. Avrebbe significato, cioè, “disorientare” rispetto agli obiettivi primari: muoversi in maniera mirata e non perdere, nel tragitto, la possibilità di ammirare i segni del passato, di un passato, a volte, neanche più documentato da rimanenze fisiche, ma solo da conoscenze, leggende, toponimi magari storpiati o svuotati di senso, ma ancora utili a restituire lo spessore urbano . La pianta Strozzi, che De Rossi definisce uno dei più preziosi anelli della catena di topografie del secolo XV , nasce in questo clima, del quale sembra rispecchiare sia gli aspetti passatisti, sia le nuove istanze descrittive. La città strozziana è ancora priva del tessuto connettivo, ma l’addensarsi di monumenti e chiese e il modo in cui questi sono descritti sul piano grafico, sembrano raccogliere una tradizione per rilanciarla verso un modo del tutto nuovo di raccontare lo spazio urbano. Dagli esempi precedenti il disegnatore della pianta sembra infatti desumere il contenitore che riempie poi con gli edifici che incontra lungo i suoi percorsi di esplorazione inserendoli in un insieme topograficamente coerente. Come avveniva per gli elenchi, gli edifici e i monumenti rappresentati sono raggruppabili per tipologie (chiese, monumenti, acquedotti, resti antichi, …) e rappresentati secondo modelli prestabiliti e ripetuti, ma a questi vengono aggiunti alcuni dettagli che legano la descrizione ad una percezione reale dello spazio urbano, legata non solo – o non tanto – al punto privilegiato di visione, quanto piuttosto al movimento che deve essere compiuto nello spazio urbano per spostarsi da un punto all’altro. La pianta, dunque, sembra celare al suo interno alcuni, possibili itinerari che si dipanano all’interno dell’immagine unitaria che la carta stessa restituisce e che si svelano solo ponendosi “dentro” la città, al livello di percorrenza, dopo aver rinunciato al punto di vista bloccato dallo scorcio pseudo-prospettico.Troppo spesso, infatti, ricerchiamo in questi documenti le tracce di un’impostazione prospettica già matura e sedimentata, mentre è ancora lontano il momento in cui la nascente teoria prospettica potrà realmente coinvolgere l’intero spazio urbano. Una visione da un punto di vista unico su un territorio ampio e complesso quale quello cittadino, infatti, non fa parte della tradizione in cui queste vedute nascono. Già solo il definirle “vedute” significa attribuire loro intenzioni che sono proprie di un momento altro, successivo, di istanze diverse da quelle che muovono questo primo sforzo descrittivo. Rinunciare all’idea di un punto di veduta vincolata, sia pure tradito da eventuali “errori” ascrivibili alla naïveté descrittiva, significa non riconoscere al documento la sua valenza dinamica, di supporto alla referenziazione geografica di elenchi, all’indicazione di spostamenti all’interno di uno spazio che non è dunque unitario, ma che si sviluppa secondo micro-itinerari dotati di un significato, svelare i quali significa riconoscere al documento grafico una valenza dinamica che investe sia la preparazione e la raccolta delle informazioni che l’utilità stessa della carta. Significa, ancora, restituire spessore diacronico al grafico di sintesi. In quest’ottica, spostamento e sguardo direzionato diventano la chiave per la decodifica delle potenzialità del documento cartografico, potenzialità che vanno al di là del potere descrittivo per farsi interpretazione e indicazione .
2017
La città, il viaggio, il turismo. Percezione, produzione e trasformazione
Pianta Strozzi; Roma; cartografia; proiezioni cartografiche; veduta; itinerari urbani; rappresentazione
04 Pubblicazione in atti di convegno::04b Atto di convegno in volume
Lo sguardo e il viaggiatore. L'itinerario come strumento di controllo della complessità urbana nella pianta Strozzi / Carlevaris, Anna Laura; INTRA SIDOLA, Giovanni. - ELETTRONICO. - 2017:(2017), pp. 439-446. (Intervento presentato al convegno La città, il viaggio, il turismo. Percezione, produzione e trasformazione tenutosi a Napoli nel 7-9 settembre 2017).
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