I ponti e le scale che affollano il seicentesco Castello di Adone immaginato da Giovan Battista Marino sono una allegorica eco degli scenari architettonici di tanti quadri rinascimentali, delle strutture che collegavano al castello i piani nobili dei palazzi o delle architetture effimere costruite per spettacoli e processioni. Nel secolo successivo, questo immaginario alimentò i palazzi reali, la scenografia teatrale e innumerevoli capricci pittorici. Secondo Anthony Wall, le scale, i ponti e le passarelle che spesso appaiono nell’immensa produzione di Hubert Robert, “rivestono una importanza capitale riguardo la questione dell’estensione del tempo e dello spazio […], costituendo delle materializzazioni estremamente ricche dei momenti dei passaggi critici”. Il loro aspetto, a volte regale, a volte precario, che suggerisce possibili “pericoli, trappole e, crolli improvvisi”, non mostra solo la possibilità del passaggio delle persone ma anche i segni del passaggio del tempo, come ruderi di cui la natura lentamente si riappropria. Nel XVIII secolo, lo stesso immaginario stabilì una intensa relazione con la letteratura gotica e fantastica e le sue labirintiche architetture, contribuendo a scardinare i tradizionali concetti di interno ed esterno. Mentre l’empirica complessità della English House suggerì ad Adolf Loos ed altri di portare scale e ballatoi in ambito domestico, connotando la casa come una piccola città da esplorare, il tema delle scale e dei ponti sospesi tra gli edifici acquistò nuovi valori funzionali e simbolici nell’immagine della città verticale del futuro, contribuendo a connotare lo spazio urbano esterno come un interno. La prospettica trasparenza della griglia regolare di Manhattan, immortalata dalle immagini di Moses King, William Robinson Leight, Harvey Wiley Corbett e Hugh Ferris, diventa “il luogo di una finzione, se non il luogo della finzione per eccellenza” che catalizza le visioni delle media popolari e dei primi cineasti, fissando le regole del gioco della traduzione intermediale tra i luoghi mentali della letteratura e quelli visuali del cinema, qui investigate nella fattispecie offerta dalla labirintica biblioteca de Il Nome della Rosa nel passaggio da luogo letterario ad architettura cinematografica.
Ponti e scali nell’immaginario architettonico. La biblioteca-labirinto de ‘Il Nome della Rosa’ tra letteratura e cinema / Colonnese, Fabio. - STAMPA. - (2016), pp. 32-39.
Ponti e scali nell’immaginario architettonico. La biblioteca-labirinto de ‘Il Nome della Rosa’ tra letteratura e cinema
COLONNESE, Fabio
2016
Abstract
I ponti e le scale che affollano il seicentesco Castello di Adone immaginato da Giovan Battista Marino sono una allegorica eco degli scenari architettonici di tanti quadri rinascimentali, delle strutture che collegavano al castello i piani nobili dei palazzi o delle architetture effimere costruite per spettacoli e processioni. Nel secolo successivo, questo immaginario alimentò i palazzi reali, la scenografia teatrale e innumerevoli capricci pittorici. Secondo Anthony Wall, le scale, i ponti e le passarelle che spesso appaiono nell’immensa produzione di Hubert Robert, “rivestono una importanza capitale riguardo la questione dell’estensione del tempo e dello spazio […], costituendo delle materializzazioni estremamente ricche dei momenti dei passaggi critici”. Il loro aspetto, a volte regale, a volte precario, che suggerisce possibili “pericoli, trappole e, crolli improvvisi”, non mostra solo la possibilità del passaggio delle persone ma anche i segni del passaggio del tempo, come ruderi di cui la natura lentamente si riappropria. Nel XVIII secolo, lo stesso immaginario stabilì una intensa relazione con la letteratura gotica e fantastica e le sue labirintiche architetture, contribuendo a scardinare i tradizionali concetti di interno ed esterno. Mentre l’empirica complessità della English House suggerì ad Adolf Loos ed altri di portare scale e ballatoi in ambito domestico, connotando la casa come una piccola città da esplorare, il tema delle scale e dei ponti sospesi tra gli edifici acquistò nuovi valori funzionali e simbolici nell’immagine della città verticale del futuro, contribuendo a connotare lo spazio urbano esterno come un interno. La prospettica trasparenza della griglia regolare di Manhattan, immortalata dalle immagini di Moses King, William Robinson Leight, Harvey Wiley Corbett e Hugh Ferris, diventa “il luogo di una finzione, se non il luogo della finzione per eccellenza” che catalizza le visioni delle media popolari e dei primi cineasti, fissando le regole del gioco della traduzione intermediale tra i luoghi mentali della letteratura e quelli visuali del cinema, qui investigate nella fattispecie offerta dalla labirintica biblioteca de Il Nome della Rosa nel passaggio da luogo letterario ad architettura cinematografica.File | Dimensione | Formato | |
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