Il dettaglio, in architettura come ingegneria, è una cartina di tornasole. Se è vero, che nel dettaglio c’è Dio, è vero anche il contrario: che il dettaglio può rivelare la banalità di progetti solo apparentemente grandiosi. Ma quando si è in presenza di un pensiero forte, di un pensiero grande, di una visione che va al di là del contingente, il dettaglio non è mai insignificante, o incoerente, e riesce a riassumere la complessità di una poetica, è anzi il mezzo attraverso il quale questa diviene intellegibile ai più. E’ questo il caso di Lina Bo Bardi. Lo si capisce dai suoi disegni, dai suoi schizzi, dalla cura insieme infantile e colta, artigianale e artistica, ricercata e spontanea, con cui osservava, disegnava, progettava, ricostruiva e riusava le piccole cose, gli oggetti e le forme della cultura popolare riscattandoli a nuova vita, inseguendo nella semplicità nuovi standard, caratterizzati però da eleganza ed originalità «…e come attaccapanni – diceva Lina - basta un chiodo». E in questa battuta, icastica e tagliente, c’è il senso profondo di una ricerca volta all’essenziale; nella convinzione che solo attraverso l’uso di un linguaggio tecnico e formale semplice, chiaro, riconoscibile e riconosciuto, si può riuscire a riannodare il rapporto fra l’architettura e il popolo. Per Lina il progetto non deve mai cercare l’unicità, inseguendo magari lo snobismo dei benestanti; e l’architettura è tale solo se è vissuta, abitata, usata, a partire da ogni piccolo dettaglio. E questo può divenire il termine di mediazione, di incontro, tra l’opera e i suoi fruitori. Il dettaglio è misurato, appare “spensierato”. Negli allestimenti serve ad esempio a togliere il senso di solennità e soggezione che le opere esposte nei musei tradizionali, spesso incutono sui visitatori. Così le originali invenzioni costruttive, le scale, gli elementi per esporre - piccoli cenni ad un mondo irreale e favolistico, progettati con un gesto originale e spontaneo - permettono un percorso di avvicinamento e quindi un riconoscimento. E infine una vera inversione della relazione fra l’uomo e l’opera: dalla soggezione all’identificazione. L’intervento avrà dunque al suo centro lo studio del dettaglio in alcuni progetti della Bo Bardi. E prenderà in esame, oltre a singole soluzioni costruttive, alcuni tra i disegni, gli allestimenti, gli arredi progettati da Lina. Come la scala costruita per il Solar do Unhão a Salvador, Bahia (1959), dove il modo con cui i contadini costruivano i carri da buoi diventa tecnica di montaggio a incastro e il progetto della scala-fiore per il Centro Vera Cruz a San Bernardo di Campo; o i pilastri della passerella soprelevata Anhangabau, immaginati “come vecchi alberi tropicali”.

Il dettaglio povero di Lina Bo Bardi, il grande concentrato nel piccolo / Argenti, Maria. - STAMPA. - (2017), pp. 134-143.

Il dettaglio povero di Lina Bo Bardi, il grande concentrato nel piccolo

ARGENTI, Maria
2017

Abstract

Il dettaglio, in architettura come ingegneria, è una cartina di tornasole. Se è vero, che nel dettaglio c’è Dio, è vero anche il contrario: che il dettaglio può rivelare la banalità di progetti solo apparentemente grandiosi. Ma quando si è in presenza di un pensiero forte, di un pensiero grande, di una visione che va al di là del contingente, il dettaglio non è mai insignificante, o incoerente, e riesce a riassumere la complessità di una poetica, è anzi il mezzo attraverso il quale questa diviene intellegibile ai più. E’ questo il caso di Lina Bo Bardi. Lo si capisce dai suoi disegni, dai suoi schizzi, dalla cura insieme infantile e colta, artigianale e artistica, ricercata e spontanea, con cui osservava, disegnava, progettava, ricostruiva e riusava le piccole cose, gli oggetti e le forme della cultura popolare riscattandoli a nuova vita, inseguendo nella semplicità nuovi standard, caratterizzati però da eleganza ed originalità «…e come attaccapanni – diceva Lina - basta un chiodo». E in questa battuta, icastica e tagliente, c’è il senso profondo di una ricerca volta all’essenziale; nella convinzione che solo attraverso l’uso di un linguaggio tecnico e formale semplice, chiaro, riconoscibile e riconosciuto, si può riuscire a riannodare il rapporto fra l’architettura e il popolo. Per Lina il progetto non deve mai cercare l’unicità, inseguendo magari lo snobismo dei benestanti; e l’architettura è tale solo se è vissuta, abitata, usata, a partire da ogni piccolo dettaglio. E questo può divenire il termine di mediazione, di incontro, tra l’opera e i suoi fruitori. Il dettaglio è misurato, appare “spensierato”. Negli allestimenti serve ad esempio a togliere il senso di solennità e soggezione che le opere esposte nei musei tradizionali, spesso incutono sui visitatori. Così le originali invenzioni costruttive, le scale, gli elementi per esporre - piccoli cenni ad un mondo irreale e favolistico, progettati con un gesto originale e spontaneo - permettono un percorso di avvicinamento e quindi un riconoscimento. E infine una vera inversione della relazione fra l’uomo e l’opera: dalla soggezione all’identificazione. L’intervento avrà dunque al suo centro lo studio del dettaglio in alcuni progetti della Bo Bardi. E prenderà in esame, oltre a singole soluzioni costruttive, alcuni tra i disegni, gli allestimenti, gli arredi progettati da Lina. Come la scala costruita per il Solar do Unhão a Salvador, Bahia (1959), dove il modo con cui i contadini costruivano i carri da buoi diventa tecnica di montaggio a incastro e il progetto della scala-fiore per il Centro Vera Cruz a San Bernardo di Campo; o i pilastri della passerella soprelevata Anhangabau, immaginati “come vecchi alberi tropicali”.
2017
Lina Bo Bardi. Un’architettura tra Italia e Brasile.
978-88-917-4101-1
Lina Bo Bardi; Brasile; dettaglio
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
Il dettaglio povero di Lina Bo Bardi, il grande concentrato nel piccolo / Argenti, Maria. - STAMPA. - (2017), pp. 134-143.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/954249
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