Sono passati quasi settant’anni da quando Norbert Wiener segnalava l’avvento in corso di una nuova era, basata sull’informazione e sulla conoscenza, e una trentina da quando Jacques Delors e la Commissione europea individuavano la knowledge-based economy come orizzonte dello sviluppo dell’Europa. Il fatto è che nel mondo l’economia reale è sempre meno basata sul lavoro fisico e sempre più fondata sul sapere e sul lavoro intellettuale. Una storia dell’organizzazione della cultura in Italia non c’è, e gli stimoli gramsciani su questo specifico terreno non hanno dato molti frutti. Non è questa la sede, ovviamente, per avviarsi su una strada così impegnativa, ma qualcosa si può dire, soprattutto in termini di paletti metodologici. Innanzitutto, questa storia deve essere affrontata tenendo insieme tutti i pezzi, considerando le istituzioni culturali come un sistema, e non come un insieme di tipologie distinte che procedono ognuna per conto proprio. Inoltre questa storia non ha avuto un andamento lineare, non è stata una storia nella quale le distanze fra l’Italia e gli altri paesi avanzati è costantemente cresciuta, né una storia nella quale il dualismo economico e sociale dell’Italia è sempre aumentato. Non è stata neppure una storia segnata solo da insuccessi: l’Italia era (dati economici alla mano) una delle prime dieci economie mondiali già mettendo insieme gli Stati preunitari, e tale è rimasta fino alla fine del Novecento, benché avanzando e retrocedendo nella posizione relativa in questo gruppo di testa. Dal quale sta uscendo oggi, dopo 160 anni di storia unitaria: non si possono incolpare gli antenati per questo, bisogna assumersene la responsabilità.
Infrastrutture e servizi culturali: riflessioni tra storia e politica / Paoloni, Giovanni. - STAMPA. - (2016), pp. 283-297.
Infrastrutture e servizi culturali: riflessioni tra storia e politica
PAOLONI, Giovanni
2016
Abstract
Sono passati quasi settant’anni da quando Norbert Wiener segnalava l’avvento in corso di una nuova era, basata sull’informazione e sulla conoscenza, e una trentina da quando Jacques Delors e la Commissione europea individuavano la knowledge-based economy come orizzonte dello sviluppo dell’Europa. Il fatto è che nel mondo l’economia reale è sempre meno basata sul lavoro fisico e sempre più fondata sul sapere e sul lavoro intellettuale. Una storia dell’organizzazione della cultura in Italia non c’è, e gli stimoli gramsciani su questo specifico terreno non hanno dato molti frutti. Non è questa la sede, ovviamente, per avviarsi su una strada così impegnativa, ma qualcosa si può dire, soprattutto in termini di paletti metodologici. Innanzitutto, questa storia deve essere affrontata tenendo insieme tutti i pezzi, considerando le istituzioni culturali come un sistema, e non come un insieme di tipologie distinte che procedono ognuna per conto proprio. Inoltre questa storia non ha avuto un andamento lineare, non è stata una storia nella quale le distanze fra l’Italia e gli altri paesi avanzati è costantemente cresciuta, né una storia nella quale il dualismo economico e sociale dell’Italia è sempre aumentato. Non è stata neppure una storia segnata solo da insuccessi: l’Italia era (dati economici alla mano) una delle prime dieci economie mondiali già mettendo insieme gli Stati preunitari, e tale è rimasta fino alla fine del Novecento, benché avanzando e retrocedendo nella posizione relativa in questo gruppo di testa. Dal quale sta uscendo oggi, dopo 160 anni di storia unitaria: non si possono incolpare gli antenati per questo, bisogna assumersene la responsabilità.File | Dimensione | Formato | |
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