Sebbene quello della mobilità sociale sia spesso considerato il settore più avanzato nel panorama degli studi sociologici, diverse perplessità sono state sollevate verso i risultati teorici ottenuti da questa tradizione di ricerca (Boudon 1973; Coleman 1987; Cherkaoui 2005: 115-161; Sørensen 2009). Secondo la critica, poca attenzione è stata dedicata a quello che secondo Coleman (1986) costituisce l’obiettivo principale della ricerca sociologica, ossia lo studio di come i fenomeni sociali emergano a partire da azioni, interazioni e interdipendenze collocate a livello micro. Tale ritardo è imputabile, seguendo Bunge (1997: 411), a una tendenza diffusa che vede nella compressione dei dati all’interno di generalizzazioni empiriche l’unico obiettivo della ricerca (Goldthorpe 2000: 230). Muovendosi quasi esclusivamente a livello macro-macro, la ricerca tradizionale sulla mobilità ha invece spogliato gli attori sociali della loro importanza causale (Esser 1996), restando muta sui moventi della loro azione e sorvolando su quei processi interdipendenza il cui impatto è fondamentale nel determinare l’andamento di fenomeni di questo tipo. Il futuro degli studi di mobilità deve dunque fare i conti con tre ordini di problemi correlati. Il primo, di natura epistemologica, si riferisce allo stile di spiegazione cui si vorrebbe che i ricercatori si rivolgessero maggiormente; il secondo, di natura teorica, allo sviluppo delle conoscenze sul tema; il terzo, di natura metodologica, agli strumenti che dovrebbero agevolare una possibile revisione. Poiché nessuna di queste tre dimensioni problematiche può essere correttamente affrontata se non in relazione con le altre, è necessario rivolgersi a programmi di ricerca che valorizzino in maniera articolata (a) un modo di intendere la spiegazione sociologica che vada ben oltre il semplice obiettivo di individuare pattern di relazioni fra variabili, (b) una certa idea di teoria dell’azione e (c) una serie di strumenti e strategie di ricerca empirica volti ad afferrare aspetti dei fenomeni normalmente trascurati (Manzo 2014). La cornice epistemologica capace di consentire questo salto di qualità potrebbe dunque essere fornita da una concezione generativa della causalità il cui obiettivo sarebbe quello di fornire legami intellegibili tra fattori causali ed eventi da spiegare (Boudon 1979; Hedström 2005). All’interno di questa cornice, porre alla base della spiegazione una teoria dell’azione adeguata permetterebbe di collegare l’intenzionalità individuale al funzionamento del sistema sociale, ancorando così il macro al micro (Friedman e Hechter 1988). Un approccio individualista di questo tipo può essere ulteriormente connotato in termini “strutturali” (Udehn 2002) sia per l’attenzione verso quei meccanismi situazionali che danno alle azioni possibilità di trovare realizzazione, sia per la consapevolezza del fatto che la composizione di queste conduce spesso a conseguenze inattese dovute all’intervento di meccanismi di trasformazione. Nel repertorio di teorie dell’azione fra cui è possibile scegliere, il tipo di razionalità cui in questa sede sembra più proficuo rivolgersi è dunque una versione debole, non olimpica ma ordinaria, non ottimizzatrice ma euristica, contestualmente calibrata ma dinamicamente adattiva (Boudon 1996; Gigerenzer 2008). Infine, si può utilmente individuare nella simulazione multi-agente lo strumento capace di governare la transizione dal livello micro a quello macro, laddove le tradizionali tecniche di analisi multivariata dimostrano invece la loro insufficienza. Questa tecnica infatti è in grado di dimostrare per via computazionale come un macrofenomeno di interesse possa generarsi da un insieme di ipotesi specificate a livello micro (Epstein 1999: 42). Nel suo insieme, l’implementazione attraverso la simulazione di un modello teorico di mobilità sociale avrebbe non solo il pregio di analizzare il fenomeno in maniera inedita e nel rispetto di alcune sue caratteristiche ritenute di fondamentale importanza (soprattutto processualità e interdipendenza), ma consentirebbe anche di avanzare lungo la strada della costruzione di una teoria più soddisfacente, poiché non può esistere alcuna formalizzazione in assenza di una modellizzazione ex ante dei meccanismi ritenuti teoricamente rilevanti.

Teorie dell’azione, sistemi di interdipendenza e meccanismi generativi. Prospettive di sviluppo nello studio della mobilità sociale / DI PADOVA, Pasquale. - (2016). (Intervento presentato al convegno «Le cose non sono quelle che sembrano» La traccia di Luciano Gallino tra teoria sociale e impegno pubblico tenutosi a LUMSA -Roma).

Teorie dell’azione, sistemi di interdipendenza e meccanismi generativi. Prospettive di sviluppo nello studio della mobilità sociale

DI PADOVA, PASQUALE
2016

Abstract

Sebbene quello della mobilità sociale sia spesso considerato il settore più avanzato nel panorama degli studi sociologici, diverse perplessità sono state sollevate verso i risultati teorici ottenuti da questa tradizione di ricerca (Boudon 1973; Coleman 1987; Cherkaoui 2005: 115-161; Sørensen 2009). Secondo la critica, poca attenzione è stata dedicata a quello che secondo Coleman (1986) costituisce l’obiettivo principale della ricerca sociologica, ossia lo studio di come i fenomeni sociali emergano a partire da azioni, interazioni e interdipendenze collocate a livello micro. Tale ritardo è imputabile, seguendo Bunge (1997: 411), a una tendenza diffusa che vede nella compressione dei dati all’interno di generalizzazioni empiriche l’unico obiettivo della ricerca (Goldthorpe 2000: 230). Muovendosi quasi esclusivamente a livello macro-macro, la ricerca tradizionale sulla mobilità ha invece spogliato gli attori sociali della loro importanza causale (Esser 1996), restando muta sui moventi della loro azione e sorvolando su quei processi interdipendenza il cui impatto è fondamentale nel determinare l’andamento di fenomeni di questo tipo. Il futuro degli studi di mobilità deve dunque fare i conti con tre ordini di problemi correlati. Il primo, di natura epistemologica, si riferisce allo stile di spiegazione cui si vorrebbe che i ricercatori si rivolgessero maggiormente; il secondo, di natura teorica, allo sviluppo delle conoscenze sul tema; il terzo, di natura metodologica, agli strumenti che dovrebbero agevolare una possibile revisione. Poiché nessuna di queste tre dimensioni problematiche può essere correttamente affrontata se non in relazione con le altre, è necessario rivolgersi a programmi di ricerca che valorizzino in maniera articolata (a) un modo di intendere la spiegazione sociologica che vada ben oltre il semplice obiettivo di individuare pattern di relazioni fra variabili, (b) una certa idea di teoria dell’azione e (c) una serie di strumenti e strategie di ricerca empirica volti ad afferrare aspetti dei fenomeni normalmente trascurati (Manzo 2014). La cornice epistemologica capace di consentire questo salto di qualità potrebbe dunque essere fornita da una concezione generativa della causalità il cui obiettivo sarebbe quello di fornire legami intellegibili tra fattori causali ed eventi da spiegare (Boudon 1979; Hedström 2005). All’interno di questa cornice, porre alla base della spiegazione una teoria dell’azione adeguata permetterebbe di collegare l’intenzionalità individuale al funzionamento del sistema sociale, ancorando così il macro al micro (Friedman e Hechter 1988). Un approccio individualista di questo tipo può essere ulteriormente connotato in termini “strutturali” (Udehn 2002) sia per l’attenzione verso quei meccanismi situazionali che danno alle azioni possibilità di trovare realizzazione, sia per la consapevolezza del fatto che la composizione di queste conduce spesso a conseguenze inattese dovute all’intervento di meccanismi di trasformazione. Nel repertorio di teorie dell’azione fra cui è possibile scegliere, il tipo di razionalità cui in questa sede sembra più proficuo rivolgersi è dunque una versione debole, non olimpica ma ordinaria, non ottimizzatrice ma euristica, contestualmente calibrata ma dinamicamente adattiva (Boudon 1996; Gigerenzer 2008). Infine, si può utilmente individuare nella simulazione multi-agente lo strumento capace di governare la transizione dal livello micro a quello macro, laddove le tradizionali tecniche di analisi multivariata dimostrano invece la loro insufficienza. Questa tecnica infatti è in grado di dimostrare per via computazionale come un macrofenomeno di interesse possa generarsi da un insieme di ipotesi specificate a livello micro (Epstein 1999: 42). Nel suo insieme, l’implementazione attraverso la simulazione di un modello teorico di mobilità sociale avrebbe non solo il pregio di analizzare il fenomeno in maniera inedita e nel rispetto di alcune sue caratteristiche ritenute di fondamentale importanza (soprattutto processualità e interdipendenza), ma consentirebbe anche di avanzare lungo la strada della costruzione di una teoria più soddisfacente, poiché non può esistere alcuna formalizzazione in assenza di una modellizzazione ex ante dei meccanismi ritenuti teoricamente rilevanti.
2016
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