Se già l’araldica è una disciplina relegata a torto nello spazio delle cosiddette discipline ausiliarie della Storia (e talvolta della già subalterna Diplomatistica), quella del Mezzogiorno ha subìto pure una tendenziale estromissione da parte di blasonari di impianto postunitario che hanno finito per attribuire in modo arbitrario maggiore ufficialità a certo patriziato d’altra estrazione geografica e storica, strumentalmente a un revisionismo in chiave subalpina. La massiccia e ingenerosa minimizzazione nei riguardi del ricco e prestigioso patrimonio araldico meridionale ha tra le conseguenze quella di aver messo ancora più in difficoltà i tentativi di ricostruzione storica relativi tanto alle genealogie quanto alla descrizione artistica degli stemmi.1 In un quadro siffatto appare quindi temerario cercare di individuare addirittura filoni di maestranze e scuole artigiane, siano esse riferibili a scalpellini, marmorari o intagliatori. Ci proviamo lo stesso, e con qualche risultato, partendo paradossalmente dall’estrema periferia della Provincia di Cosenza. Anzi da un brandello di territorio che storicamente ha altalenato nella sua pertinenza ora alla Calabria ora alla Basilicata. Perché se l’attuale territorio di questa provincia corrisponde pressoché fedelmente a quello della plurisecolare Provincia di Calabria Citeriore, è pur vero che il suo ultimo lembo nordorientale si trova attualmente al di là di quella Petra Roseti che ha sempre segnato il confine fra la Val di Crati e la Terra Giordana, indicando perciò l’ingresso in Lucania.
Di alcuni stemmi dell’Alto Ionio, tra portali e pietre minori: Canna e il circondario in un’ipotesi migratoria delle maestranze / Fragale, Luca. - STAMPA. - (2015), pp. 186-202.
Di alcuni stemmi dell’Alto Ionio, tra portali e pietre minori: Canna e il circondario in un’ipotesi migratoria delle maestranze
FRAGALE, LUCA
2015
Abstract
Se già l’araldica è una disciplina relegata a torto nello spazio delle cosiddette discipline ausiliarie della Storia (e talvolta della già subalterna Diplomatistica), quella del Mezzogiorno ha subìto pure una tendenziale estromissione da parte di blasonari di impianto postunitario che hanno finito per attribuire in modo arbitrario maggiore ufficialità a certo patriziato d’altra estrazione geografica e storica, strumentalmente a un revisionismo in chiave subalpina. La massiccia e ingenerosa minimizzazione nei riguardi del ricco e prestigioso patrimonio araldico meridionale ha tra le conseguenze quella di aver messo ancora più in difficoltà i tentativi di ricostruzione storica relativi tanto alle genealogie quanto alla descrizione artistica degli stemmi.1 In un quadro siffatto appare quindi temerario cercare di individuare addirittura filoni di maestranze e scuole artigiane, siano esse riferibili a scalpellini, marmorari o intagliatori. Ci proviamo lo stesso, e con qualche risultato, partendo paradossalmente dall’estrema periferia della Provincia di Cosenza. Anzi da un brandello di territorio che storicamente ha altalenato nella sua pertinenza ora alla Calabria ora alla Basilicata. Perché se l’attuale territorio di questa provincia corrisponde pressoché fedelmente a quello della plurisecolare Provincia di Calabria Citeriore, è pur vero che il suo ultimo lembo nordorientale si trova attualmente al di là di quella Petra Roseti che ha sempre segnato il confine fra la Val di Crati e la Terra Giordana, indicando perciò l’ingresso in Lucania.File | Dimensione | Formato | |
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