Questo breve volume raccoglie una riflessione svolta attraverso diverse occasioni di studio attorno alla Palazzina Furmanik, progettata e realizzata da Mario De Renzi e Giorgio Calza Bini fra il 1935 e il 1941 sul Lungotevere Flaminio 18. La prima opportunità di studio fu stimolata dall'eventualità di contribuire ad una pubblicazione che raccoglieva i lavori di un seminario tenuto nel primo anno del XXIX ciclo del Dottorato in Architettura e Costruzione della Sapienza sul tema dell’architettura mediterranea. E quindi di contribuire a contraddire una definizione della storiografia meno recente, di considerare quest’opera, così bella sotto la luce di Roma, come appartenente all’area culturale dell’architettura mediterranea in senso lato, e non soltanto ad un regesto selezionatissimo di opere del più canonico razionalismo italiano. Parallelamente, seguendo un diverso – ma non distante – percorso di studi avevo da qualche anno iniziato a partecipare, assieme a Cesare Tocci, professore di Restauro, ad una ricerca ricostruttiva diretta da Lucio Barbera su quelle speciali residenze scoperte durante gli scavi novecenteschi di Ostia Antica, note oggi come Case a Medianum, di cui fanno parte le cosiddette Case Giardino tra le più famose, ma non certo le uniche interessanti. La ricerca, tuttavia mi sembra avere il suo tratto caratteristico nel fatto di volere essere non solo, non tanto tipologica, quanto anatomica; con i disegni di Auguste Choisy nella memoria. In tal quadro, dopo un’indagine iniziatica sulle Case Giardino, la nostra attenzione fu attratta naturalmente dal complesso edilizio rappresentato con la maggiore cura documentaria nel fondamentale doppio articolo di Guido Calza – e appendice di Italo Gismondi – dal titolo programmatico Le origini latine della abitazione moderna apparso nei numeri di settembre e ottobre 1923 di “Architettura e Arti decorative”. Si tratta del complesso edilizio chiamato allora Casa dei Dipinti ed oggi meglio individuato come complesso delle tre case di Giove e Ganimede, di Bacco fanciullo, dei Dipinti. Esso è localizzato nella Regio I – Insula IV ed è fondato su un articolato e singolare sistema di spazi interni, che mi parve subito un probabile e plausibile riferimento tipologico e spaziale del progetto di Mario De Renzi e Giorgio Calza Bini per la palazzina sul Lungotevere. Non era certamente originale segnalare l’attenzione di De Renzi per il linguaggio edilizio della città ostiense antica. Ma nella Palazzina Furmanik non si trattava di una trasposizione linguistica generale – articolazione delle masse edilizie e apparato decorativo – come quella già sperimentata da De Renzi nel complesso di case economiche a Via Andrea Doria e in altri coevi e precedenti lavori. Nel progetto della Furmanik, tutta immersa nel linguaggio astratto di una tradizione mediterranea e purista, il riferimento alla città antica diventava il frutto di una meditazione strutturale – in senso levistraussiano – sulla articolazione degli spazi interni e culturale sull’idea di casa borghese. Il Medianum della Casa di Giove e Ganimede (II sec. d.C.), tornato ad una concezione introversa della dimora, diventa per l’architetto adrianeo che ne fu autore uno spazio difficile e nuovo, da indagare progettualmente perché non canonico – come era invece l’atrio del Domus classica. Ne nasce uno spazio impuro e ambiguo, affascinante per un architetto davvero moderno come Mario De Renzi. Egli, basando il progetto Furmanik sui principi del Medianum si trova in una condizione altrettanto, se non più difficile di quella dell’architetto della Casa di Giove e Ganimede. Il modo di vivere moderno non sopporta la scarsità di luce di molti spazi d’uso della dimora antica. Dividendo il Medianum in due parti, in quella esterna De Renzi raggiunge agevolmente l’obbiettivo di ricreare lo spazio unificato, indifferenziato e luminoso suggerito dalla case a Medianum. Ma egli comprende che alla parte più interna del suo Medianum è affidata la maggiore innovazione, quella di trasformare il cosiddetto “connettivo di servizio” dell’abitazione razionale nello spazio fondamentale per la vita interiore del nucleo famigliare. Per questo ne elabora due varianti: la prima ancora troppo soggetta ai vincoli della divisione delle funzioni e dei percorsi, la seconda (forse progettata per prima) dilatata e coinvolgente in profondità ogni spazio vitale dell’abitazione. Quasi dieci anni dopo l’esperienza della Furmanik, nel 1947, De Renzi affronta di nuovo il tema dell’alloggio signorile con un progetto non realizzato a Roma, in Via Martelli. Si tratta di una palazzina classica, quattro piani più attico arretrato, ma con un solo appartamento a piano. Mario De Renzi sembra ricominciare dove aveva lasciato il progetto Furmanik; si applica con grande determinazione alla ricerca sullo spazio interiore della casa, la parte interna del suo Medianum, non risolta perfettamente nel progetto Furmanik.
Modernità postantica. La palazzina Furmanik di Mario De Renzi / DEL MONACO, Anna. - STAMPA. - (2016), pp. 1-141.
Modernità postantica. La palazzina Furmanik di Mario De Renzi
DEL MONACO, Anna
2016
Abstract
Questo breve volume raccoglie una riflessione svolta attraverso diverse occasioni di studio attorno alla Palazzina Furmanik, progettata e realizzata da Mario De Renzi e Giorgio Calza Bini fra il 1935 e il 1941 sul Lungotevere Flaminio 18. La prima opportunità di studio fu stimolata dall'eventualità di contribuire ad una pubblicazione che raccoglieva i lavori di un seminario tenuto nel primo anno del XXIX ciclo del Dottorato in Architettura e Costruzione della Sapienza sul tema dell’architettura mediterranea. E quindi di contribuire a contraddire una definizione della storiografia meno recente, di considerare quest’opera, così bella sotto la luce di Roma, come appartenente all’area culturale dell’architettura mediterranea in senso lato, e non soltanto ad un regesto selezionatissimo di opere del più canonico razionalismo italiano. Parallelamente, seguendo un diverso – ma non distante – percorso di studi avevo da qualche anno iniziato a partecipare, assieme a Cesare Tocci, professore di Restauro, ad una ricerca ricostruttiva diretta da Lucio Barbera su quelle speciali residenze scoperte durante gli scavi novecenteschi di Ostia Antica, note oggi come Case a Medianum, di cui fanno parte le cosiddette Case Giardino tra le più famose, ma non certo le uniche interessanti. La ricerca, tuttavia mi sembra avere il suo tratto caratteristico nel fatto di volere essere non solo, non tanto tipologica, quanto anatomica; con i disegni di Auguste Choisy nella memoria. In tal quadro, dopo un’indagine iniziatica sulle Case Giardino, la nostra attenzione fu attratta naturalmente dal complesso edilizio rappresentato con la maggiore cura documentaria nel fondamentale doppio articolo di Guido Calza – e appendice di Italo Gismondi – dal titolo programmatico Le origini latine della abitazione moderna apparso nei numeri di settembre e ottobre 1923 di “Architettura e Arti decorative”. Si tratta del complesso edilizio chiamato allora Casa dei Dipinti ed oggi meglio individuato come complesso delle tre case di Giove e Ganimede, di Bacco fanciullo, dei Dipinti. Esso è localizzato nella Regio I – Insula IV ed è fondato su un articolato e singolare sistema di spazi interni, che mi parve subito un probabile e plausibile riferimento tipologico e spaziale del progetto di Mario De Renzi e Giorgio Calza Bini per la palazzina sul Lungotevere. Non era certamente originale segnalare l’attenzione di De Renzi per il linguaggio edilizio della città ostiense antica. Ma nella Palazzina Furmanik non si trattava di una trasposizione linguistica generale – articolazione delle masse edilizie e apparato decorativo – come quella già sperimentata da De Renzi nel complesso di case economiche a Via Andrea Doria e in altri coevi e precedenti lavori. Nel progetto della Furmanik, tutta immersa nel linguaggio astratto di una tradizione mediterranea e purista, il riferimento alla città antica diventava il frutto di una meditazione strutturale – in senso levistraussiano – sulla articolazione degli spazi interni e culturale sull’idea di casa borghese. Il Medianum della Casa di Giove e Ganimede (II sec. d.C.), tornato ad una concezione introversa della dimora, diventa per l’architetto adrianeo che ne fu autore uno spazio difficile e nuovo, da indagare progettualmente perché non canonico – come era invece l’atrio del Domus classica. Ne nasce uno spazio impuro e ambiguo, affascinante per un architetto davvero moderno come Mario De Renzi. Egli, basando il progetto Furmanik sui principi del Medianum si trova in una condizione altrettanto, se non più difficile di quella dell’architetto della Casa di Giove e Ganimede. Il modo di vivere moderno non sopporta la scarsità di luce di molti spazi d’uso della dimora antica. Dividendo il Medianum in due parti, in quella esterna De Renzi raggiunge agevolmente l’obbiettivo di ricreare lo spazio unificato, indifferenziato e luminoso suggerito dalla case a Medianum. Ma egli comprende che alla parte più interna del suo Medianum è affidata la maggiore innovazione, quella di trasformare il cosiddetto “connettivo di servizio” dell’abitazione razionale nello spazio fondamentale per la vita interiore del nucleo famigliare. Per questo ne elabora due varianti: la prima ancora troppo soggetta ai vincoli della divisione delle funzioni e dei percorsi, la seconda (forse progettata per prima) dilatata e coinvolgente in profondità ogni spazio vitale dell’abitazione. Quasi dieci anni dopo l’esperienza della Furmanik, nel 1947, De Renzi affronta di nuovo il tema dell’alloggio signorile con un progetto non realizzato a Roma, in Via Martelli. Si tratta di una palazzina classica, quattro piani più attico arretrato, ma con un solo appartamento a piano. Mario De Renzi sembra ricominciare dove aveva lasciato il progetto Furmanik; si applica con grande determinazione alla ricerca sullo spazio interiore della casa, la parte interna del suo Medianum, non risolta perfettamente nel progetto Furmanik.File | Dimensione | Formato | |
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