Il recupero della teoria malthusiana, per spiegare la presunta stagnazione dell’economia europea prima della rivoluzione industriale inglese e della sua diffusione nel continente, ha riportato in auge lo studio delle relazioni economiche in età pre-industriale. Estendendo lo sguardo a sistemi economici particolarmente dinamici in età preindustriale non sfugge che l’ipotesi di una stagnazione di lungo periodo rischia di oscurare le fasi di espansione e di contrazione dell’economia, derubricandole a meri effetti della cosiddetta legge ferrea dei salari e non considerando le ragioni del mancato decollo di alcune aree che ben promettevano in termini di potenziale crescita economica. Tra queste aree, l’Italia e le sue unità politiche, dall’epoca tardo-medievale al rinascimento e fino al XVIII secolo, rappresentano un caso di plurisecolare decadenza. Prima Firenze e Genova, poi Venezia, e infine Milano, da primari poli di agglomerazione dell’attività mercantile e industriale sperimentarono un progressivo declino dell’attività economica rispetto alla regione nord-atlantica dell’Europa e all’area continentale. Queste ultime avviarono e intensificarono il processo d’industrializzazione dalla seconda metà del XVII secolo fino aglalbori del XX secolo. L’intera letteratura sugli andamenti comparativi dell’attività economica in età pre-industriale è dominata dalle ricerche sui salari reali percepiti dai lavoratori qualificati e non qualificati. In assenza di statistiche macroeconomiche adeguate, la ricerca storico-economica guarda ai salari reali per comparare i livelli di sviluppo relativi. Tuttavia, l’equivalenza tra le due grandezze è alterata da istituzioni che allentano il vincolo teorico tra produttività e salari. Il mercato del lavoro pre-industriale, e lo stesso vale per i moderni mercati del lavoro, non può essere assunto come mercato impersonale e privo di rigidità, dove i salari sono determinati esclusivamente dalla domanda e dall’offerta libere di adeguarsi ai cambiamenti dei prezzi relativi e viceversa. Per il caso preindustriale basta ricordare il sistema La ricerca svolta in queste pagine aspira ad aggiungere evidenza al dibattito corrente presentando i salari reali percepiti a Roma nei secoli XVI e XVII e una stima del reddito annuo disponibile. Il caso romano introduce nel dibattito i percorsi di sviluppo dell’area mediterranea, solo parzialmente soddisfatti dagli studi su Napoli e Valencia, e della capitale di uno stato plurisecolare in cui le continuità istituzionali offrono la garanzia di comparare con maggiore certezza l’evoluzione del fenomeno studiato. Aggiungiamo, inoltre,che i dati e le informazioni qui di seguito introdotti rappresentano un unicum nel panorama degli studi sui salari. Il nostro contributo discute per la prima volta una serie dei salari che proviene dalla medesima fonte e che raccoglie le esperienze della stessa organizzazione che erogava i salari, la Fabbrica di San Pietro, garantendo un flusso d’informazione pressoché unico per la storiografia economica. I principali spunti di riflessione riguardano la domanda di lavoro della Fabbrica, la tipologia dei lavoratori impiegati, le loro retribuzioni e il confronto tra l’area romana e altri contesti rilevanti, quali l’Italia settentrionale e la regione nord-atlantica dell’Europa. I paragrafi che seguono presentano, in sequenza, riflessioni critiche su tali argomenti. Il saggio si chiude con alcune considerazioni di carattere storiografico. corporativo di accesso alle professioni o i meccanismi di calmiere dei prezzi di alcuni beni primari, il grano su tutti, che sono sufficienti a farci dubitare che il mercato del lavoro fosse un mercato impersonale e perfetto. Inoltre, lo studio dei salari reali nel settore non agricolo sono per lo più limitati ai centri urbani i cui percorsi di crescita differiscono dalle aree rurali o a maggiore vocazione agricola. Pur con le cautele metodologiche dovute, tuttavia, i salari reali continuano a rappresentare un primo modo per quantificare i livelli di sviluppo relativi tra aree e il livello di benessere tra individui,qualora fossimo in grado di poter fornire anche una qualche quantificazione del reddito annuo disponibile.
Mercato del lavoro, salari reali e standard di vita a Roma nel XVI e XVII secolo: le evidenze nella costruzione della Basilica di San Pietro in Vaticano / Rota, Mauro; Weisdorf, JACOB LOUIS. - STAMPA. - (2016), pp. 95-112.
Mercato del lavoro, salari reali e standard di vita a Roma nel XVI e XVII secolo: le evidenze nella costruzione della Basilica di San Pietro in Vaticano
ROTA, MAURO;Jacob Weisdorf
2016
Abstract
Il recupero della teoria malthusiana, per spiegare la presunta stagnazione dell’economia europea prima della rivoluzione industriale inglese e della sua diffusione nel continente, ha riportato in auge lo studio delle relazioni economiche in età pre-industriale. Estendendo lo sguardo a sistemi economici particolarmente dinamici in età preindustriale non sfugge che l’ipotesi di una stagnazione di lungo periodo rischia di oscurare le fasi di espansione e di contrazione dell’economia, derubricandole a meri effetti della cosiddetta legge ferrea dei salari e non considerando le ragioni del mancato decollo di alcune aree che ben promettevano in termini di potenziale crescita economica. Tra queste aree, l’Italia e le sue unità politiche, dall’epoca tardo-medievale al rinascimento e fino al XVIII secolo, rappresentano un caso di plurisecolare decadenza. Prima Firenze e Genova, poi Venezia, e infine Milano, da primari poli di agglomerazione dell’attività mercantile e industriale sperimentarono un progressivo declino dell’attività economica rispetto alla regione nord-atlantica dell’Europa e all’area continentale. Queste ultime avviarono e intensificarono il processo d’industrializzazione dalla seconda metà del XVII secolo fino aglalbori del XX secolo. L’intera letteratura sugli andamenti comparativi dell’attività economica in età pre-industriale è dominata dalle ricerche sui salari reali percepiti dai lavoratori qualificati e non qualificati. In assenza di statistiche macroeconomiche adeguate, la ricerca storico-economica guarda ai salari reali per comparare i livelli di sviluppo relativi. Tuttavia, l’equivalenza tra le due grandezze è alterata da istituzioni che allentano il vincolo teorico tra produttività e salari. Il mercato del lavoro pre-industriale, e lo stesso vale per i moderni mercati del lavoro, non può essere assunto come mercato impersonale e privo di rigidità, dove i salari sono determinati esclusivamente dalla domanda e dall’offerta libere di adeguarsi ai cambiamenti dei prezzi relativi e viceversa. Per il caso preindustriale basta ricordare il sistema La ricerca svolta in queste pagine aspira ad aggiungere evidenza al dibattito corrente presentando i salari reali percepiti a Roma nei secoli XVI e XVII e una stima del reddito annuo disponibile. Il caso romano introduce nel dibattito i percorsi di sviluppo dell’area mediterranea, solo parzialmente soddisfatti dagli studi su Napoli e Valencia, e della capitale di uno stato plurisecolare in cui le continuità istituzionali offrono la garanzia di comparare con maggiore certezza l’evoluzione del fenomeno studiato. Aggiungiamo, inoltre,che i dati e le informazioni qui di seguito introdotti rappresentano un unicum nel panorama degli studi sui salari. Il nostro contributo discute per la prima volta una serie dei salari che proviene dalla medesima fonte e che raccoglie le esperienze della stessa organizzazione che erogava i salari, la Fabbrica di San Pietro, garantendo un flusso d’informazione pressoché unico per la storiografia economica. I principali spunti di riflessione riguardano la domanda di lavoro della Fabbrica, la tipologia dei lavoratori impiegati, le loro retribuzioni e il confronto tra l’area romana e altri contesti rilevanti, quali l’Italia settentrionale e la regione nord-atlantica dell’Europa. I paragrafi che seguono presentano, in sequenza, riflessioni critiche su tali argomenti. Il saggio si chiude con alcune considerazioni di carattere storiografico. corporativo di accesso alle professioni o i meccanismi di calmiere dei prezzi di alcuni beni primari, il grano su tutti, che sono sufficienti a farci dubitare che il mercato del lavoro fosse un mercato impersonale e perfetto. Inoltre, lo studio dei salari reali nel settore non agricolo sono per lo più limitati ai centri urbani i cui percorsi di crescita differiscono dalle aree rurali o a maggiore vocazione agricola. Pur con le cautele metodologiche dovute, tuttavia, i salari reali continuano a rappresentare un primo modo per quantificare i livelli di sviluppo relativi tra aree e il livello di benessere tra individui,qualora fossimo in grado di poter fornire anche una qualche quantificazione del reddito annuo disponibile.File | Dimensione | Formato | |
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